Per il Governo tutto è impopolare, ma cosa c’è di più impopolare di quello che sta facendo?
redazione | Il 22, Set 2011
Perchè sono sempre i poveri a pagare?
di BRUNO MORGANTE
Per il Governo tutto è impopolare, ma cosa c’è di più impopolare di quello che sta facendo?
Perchè sono sempre i poveri a pagare?
Dopo l’Italia e la Fiat anche le sette maggiori banche italiane sono state declassate in termini di affidabilità.
Se pensiamo che solo pochi mesi fa ci veniva detto che eravamo i più virtuosi d’Europa e che l’Italia era fuori dalla bufera che investiva l’Islanda e la Grecia è normale che ci sentiamo smarriti da queste notizie.
Lo smarrimento e l’inquietudine aumentano di fronte alla confusione di una classe dirigente che non sembra sapere quali pesci prendere e che difende interessi di ceti che pensa di rappresentare o posizioni di potere, per cui non decide niente se non quello che gli viene imposto dalla BCE, quale condizione per comprare i nostri titoli di stato ed evitare il nostro fallimento.
Questo atteggiamento di insicurezza aumenta la fibrillazione dei mercati, per cui per acquistare i nostri titoli vengono richiesti sempre maggiori interessi.
Siamo arrivati al 5,7% di interesse per i titoli a scadenza decennale, ben il 4,05% in più di quanto paga la Germania e il 2% in più di quanto pagavamo l’anno scorso.
Ogni 1% di interesse significa un aggravio di circa 20 miliardi di euro sul bilancio dello stato che fra dieci anni il popolo italiano dovrà fronteggiare.
Già oggi dobbiamo pagare circa cento miliardi di euro per interessi sul debito.
E’ una cifra immensa, che se, in assenza di debito, fosse disponibile ogni anno per investimenti potremmo essere il paese più ricco e avanzato del mondo.
Se prendessimo tutti coscienza del circolo vizioso in cui ci troviamo e pretendessimo di uscirne per sempre, accettando anche i sacrifici necessari, non sarebbe un fatto impossibile.
Tutti gli economisti ci dicono che bisognerebbe operare tagli significativi ai costi di funzionamento dello stato, snellendo la burocrazia e i centri di spesa, operare riforme per immettere concorrenza in settori oggi protetti e liberalizzare servizi e professioni, riformare il welfare e le pensioni, investire nella ricerca e nella cultura, riformare il fisco, alleggerendo il peso fiscale su lavoratori e imprese e facendo pagare le tasse a tutti, eliminando l’attuale vergognosa evasione fiscale, alienare parte dell’immenso patrimonio immobiliare pubblico per abbattere il debito.
La nostra classe politica ci dice che operare tagli alla spesa pubblica e che pretendere che tutti i cittadini facciano il proprio dovere con il fisco sia impopolare e che in democrazia non si può pretendere che una maggioranza si castri e che lavori per far vincere l’opposizione.
In questo ragionamento c’è qualcosa che non quadra.
Le manovre varate in questi due mesi per complessivi 77 miliardi in due anni prevedono misure molto impopolari, perché a pagare sono soprattutto i ceti medi, i pensionati e le famiglie.
Ancora non è scoppiata la bomba di venti miliardi di tagli lineari allo stato sociale prevista dal decreto per il pareggio di bilancio, che ci è stato imposto dalla BCE, che scoppierà automaticamente fra due anni, per far fronte a minori entrate eventualmente (si potrebbe dire sicuramente) dovute alla mancata riforma del fisco dalla quale dovranno venire maggiori entrate per almeno venti miliardi (quindi questa riforma, se mai si farà, dovrà aumentare le tasse e non diminuirle come viene continuamente ripetuto).
Le agevolazioni, le detrazioni, gli interventi sociali ammontano a circa 40 miliardi di euro, per cui il taglio lineare di 20 miliardi corrisponderà al taglio di circa il 50% di quanto è rimasto degli assegni familiari, già decurtati del 10% dal decreto, al taglio del 50% delle detrazioni per figli e familiari a carico e così via.
Cosa c’è di più impopolare, oltre che sbagliato, di quello che stanno facendo?
Già si parla di una nuova manovra entro Dicembre e di intervento sulle pensioni e l’orientamento è di eliminare le pensioni di anzianità, per cui tutti andremo in pensione a sessantasei anni e tre mesi, anche se uno ha compiuto prima quaranta anni di servizio e tutti andremo con il sistema contributivo, cioè l’assegno di pensione sarà parametrato ai contributi effettivamente versati.
Si parla anche di patrimoniale, che non sarebbe un intervento sbagliato, non solo perché in tutta Europa sono tassati i grandi patrimoni immobiliari, ma anche perché, in presenza di una evasione fiscale che non ha pari in tutto il mondo, la tassa sul patrimonio colpirebbe anche i grandi evasori proprietari di grandi patrimoni.
Questa eventuale ulteriore manovra non toccherebbe interessi popolari e diffusi?
Allora il problema non è questo. Del popolo non interessa niente a nessuno. Viene tirato in ballo come alibi per non fare le cose che andrebbero fatte.
In Italia ci sono poteri forti che non si toccano e che vivono in simbiosi con questo ceto politico. Ognuno è nutrimento dell’altro.
Sono i settori protetti, che non vengono toccati dalle crisi, dagli ordini professionali (dottori, avvocati, notai, commercialisti, ingegneri), protetti dalle leggi e destinatari di nomine, vere e proprie corporazioni chiuse senza concorrenti e con il mercato protetto dalle leggi, alle farmacie, ai concessionari a numero chiuso di servizi e di pubbliche funzioni, alle grandi banche.
E’ il ceto politico, dai consiglieri comunali ai parlamentari, che spesso diventano imprenditori in settori legati agli affidamenti pubblici dopo essere diventati rappresentanti del popolo, e che presiede agli acquisti, agli appalti per lavori pubblici, al controllo della spesa pubblica, alle nomine e alla gestione delle società pubbliche o miste per la gestione di servizi o di beni pubblici, agli incarichi distribuiti a familiari e a clienti.
Questi sono i settori che non si possono toccare, settori che non c’entrano niente con il popolo.
A fine ottocento nacquero le grandi organizzazioni sindacali e i partiti operai per organizzare e fare prendere coscienza ai salariati del loro stato e per difendersi dallo sfruttamento dei padroni.
Oggi piccoli e medi imprenditori e loro lavoratori dipendenti, artigiani, commercianti, agricoltori pagano sulla loro pelle una crisi dovuta al potere incontrollato della finanza internazionale, mentre i settori protetti e il ceto politico non hanno nessun danno.
Chiudono migliaia di aziende, migliaia di lavoratori si ritrovano disoccupati, milioni di donne e di giovani vivono nel precariato o non riescono ad entrare nel mondo del lavoro.
La Confindustria è scesa in campo in maniera netta dando un vero e proprio ultimatum al governo.
I sindacati tutti annunciano manifestazioni e proteste.
Il mondo della produzione reale di beni e servizi, datori di lavoro e dipendenti, incomincia a prendere coscienza che deve pretendere dalla politica di avere voce per fare prevalere la propria superiorità economica e morale, quale garanzia di una società basata su valori che guardano all’uomo.
Forse si è preso coscienza che non può ulteriormente durare una politica basata sullo spettacolo, sulla demagogia e sul populismo.
Bruno Morgante
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