Maltrattamenti in famiglia e rapporti matrimoniali, linea dura della Cassazione Basta un solo episodio di percosse per far scattare l’addebito della separazione. Il giudice è anche esonerato dal comparare gli atti di violenza con i comportamenti contrari ai doveri coniugali di chi li ha subiti
Gli atti di violenza da parte di un coniuge sull’altro o sulla prole sono comportamenti
così gravi che sono ritenuti sufficienti a far scattare l’addebito della separazione
nei confronti di chi li perpetra. E per la Cassazione, anche un solo episodio di
percosse può far scattare l’addebito della separazione a carico di chi ha aggredito
l’altro coniuge in quanto la violazione è dotata di una gravità tale che il giudice
del merito è esonerato perfino dal comparare i comportamenti della vittima contrari
ai doveri coniugali. Sono questi i principi ribaditi nella sentenza 22689/17 pubblicata
oggi 28 settembre, dalla Suprema Corte civile nel rigettare il ricorso di un marito
che aveva sottoposto la moglie e i figli a reiterate violenze e umiliazioni, tanto
da aver subito anche una condanna penale per il reato di cui all’articolo 572 del
codice penale per “maltrattamenti contro familiari” uniti sotto il vincolo della
continuazione. Nei due gradi di merito era stato ritenuto responsabile della crisi
familiare con conseguente addebito della separazione. Sentenze confermate poi anche
innanzi ai giudici di legittimità che hanno ricordato il principio già espresso
secondo cui è sufficiente anche un solo episodio di violenza a far scattare l’addebito.
Gli ermellini hanno sottolineato che «le violenze fisiche e morali costituiscono
violazioni talmente gravi e inaccettabili dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare,
di per sé sole, quand’anche concretantisi in un unico episodio di percosse, non
solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti l’intollerabilità
della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all’autore,
e da esonerare il giudice del merito dal dovere di comparare con esse, ai fini dell’adozione
delle relative pronunce, il comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze
trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili
solo con comportamenti omogenei». Insomma, per Giovanni D’Agata, presidente dello
“Sportello dei Diritti”, con la decisione di oggi viene ribadito il pugno
duro da parte della giurisprudenza sull’intollerabilità di qualsiasi manifestazione
di violenza in famiglia, in un momento in cui i delitti che avvengono all’interno
delle mura domestiche continuano ad essere permanentemente sulle cronache nere di
ogni luogo d’Italia.