Manovra finanziaria: tassati i libretti di risparmio al portatore
redazione | Il 26, Set 2011
L’analisi di Corrado Tocci e Maurizio Compagnone, rispettivamente segretario politico e segretario organizzativo dei Popolari Glocalizzati. In allegato un sunto esplicativo del decreto legislativo 138, denominato “Manovra di Ferragosto”
Manovra finanziaria: tassati i libretti di risparmio al portatore
L’analisi di Corrado Tocci e Maurizio Compagnone, rispettivamente segretario politico e segretario organizzativo dei Popolari Glocalizzati. In allegato un sunto esplicativo del decreto legislativo 138, denominato “Manovra di Ferragosto”
LA NUOVA RICETTA: RISANARE IL BILANCIO CON I SOLDI DEI PENSIONATI
Gli italiani sono un popolo molto risparmiatore e per decenni hanno finanziato lo Stato acquistando BOT e CCT.
I grandi risparmiatori sono soprattutto i pensionati avanti con l’età che per non gravare sui figli mettono da parte dei soldini per far fronte a malattie e, soprattutto, per lasciare ai figli i soldi per il funerale.
La maggior parte degli anziani erano abituati ad accumulare più soldi possibile versandoli nei libretti a risparmio, ma in questi ultimi anni sono entrati a far parte della schiera dei riciclatori per cui debbono limitarsi a versare somme nei libretti, considerato che le norme fissano importi massimi che variano. Si è passati da dodicimila e cinquecento euro a cinquemila euro, poi con fasi altalenanti entro il 30 giugno u.s. l’importo è stato riportato a cinquemila euro. Coloro che tenevano somme superiori all’importo consentito si trovavano le somme bloccate dalla banca.
Con il D.L. 13 agosto 2011 n. 138 contenente “ ulteriori disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo” si dispone che la somma massima per i libretti di deposito bancari al portatore non deve superare i duemila e cinquecento euro.
Fino a qui niente di eccezionale, fatto salvo che un funerale oscilla tra i seimila e diecimila euro, quindi l’anziano dovrà tornare a mettere i soldi necessari per il suo funerale sotto il mattone.
Ma la cosa interessante viene adesso, a tal proposito dal 01 ottobre 2011 le banche sono obbligate a trasmettere al Ministero dell’economia e delle finanze l’elenco dei clienti che hanno sui libretti di deposito un importo superiore ai duemila e cinquecento euro.
Il genio dell’artista emerge adesso A CARICO DEL CLIENTE E’ PREVISTA UNA SANZIONE CHE VA DAL 10 PER CENTO AL VENTI PER CENTO DEL SALDO DEL LIBRETTO.
Finalmente al Ministero hanno scovato i soggetti evasori.
Questi piccoli risparmiatori stanno commettendo un errore fatale, non comprano la gazzetta ufficiale tutti i giorni e preferiscono andare al “Centro Anziani” piuttosto che leggere le normative che Li riguardano.
E’ facile punirli decurtando in forma coattiva risparmi accumulati con sudore e rinunce.
Anche l’informazione è complice di questa disinformazione, si fanno trasmissioni su tutto, ma una bella informazione su questo aspetto non porta lustro, chi vuoi che pensa a dei vecchietti che invece di spendere i soldi li mettono da parte per pagarsi il funerale.
Quando il diritto positivo di uno Stato “si incarta” su problemi del genere quel tipo di diritto non potrà che essere spazzato via in breve tempo.
“PERCHE IL PIL ITALIANO NON PUO CRESCERE”
L’attenzione del mondo è centrata sulle economie occidentali e sulla loro capacità di far fronte a un debito pubblico molto elevato, che fa correre loro il rischio di continui declassamenti, prima allo Stato poi ai vari attori dell’economia.
Per far fronte al problema le ricette che vanno per la maggiore sono due: la crescita del PIL e il progressivo azzeramento dello stato sociale.
Come Popolari Glocalizzati siamo fermamente contrari alla riduzione dello stato sociale, considerato che il livello attuale può essere mantenuto, come già dimostrato da alcuni nostri progetti basati sulla sussidiarietà orizzontale, per cui è possibile mantenere questo sistema dei servizi, escluso l’assistenza ospedaliera, facendo a meno del contributo dello stato; questo per non tornare a scenari ottocenteschi.
Riguardo alla situazione italiana per potere fare delle proposte efficaci occorre ripensare a come nei vari anni questa situazione sia così degenerata, prendendo in esame sia la spesa, che il PIL.
I mali che hanno causato l’enorme debito pubblico vengono da lontano.
La teoria del welfare propone che lo stato possa indebitarsi per favorire la realizzazione di progetti di interesse generale, che abbiano una ricaduta occupazionale, capaci di far aumentare la ricchezza media collettiva, con il risultato di un aumento delle entrate fiscali necessarie al ripianamento del debito.
Per una Repubblica parlamentare fondata sui partiti, bisognosi di consenso elettorale, la teoria del welfare è la ricetta giusta.
La teoria permette di creare un circolo virtuoso dove il debito pubblico porta più investimenti, più investimenti creano più occupazione, più occupazione crea più consenso, il consenso permette ai partiti di continuare a governare.
Questo sistema ha retto finché il disavanzo del bilancio invece di essere destinato agli investimenti è servito per pagare gli interessi del debito contratto negli anni precedenti.
Questa situazione ha messo in difficoltà i partiti che si sono trovati per alcuni anni senza possibilità di distribuire posti di lavoro necessari a garantire il consenso.
Il sistema produttivo si stava ristrutturando l’automazione richiedeva sempre meno manodopera.
In questa fase avviene anche un cambiamento culturale all’interno del sistema politico, alla persona si offre non più un lavoro ma un posto dove percepire uno stipendio, in questa fase si passa dalla cultura del lavoratore alla cultura dell’occupato; si inizia a parlare di terziario.
Questa trasformazione avviene negli anni ’70: con l’avvio delle regioni a statuto ordinario nel 1970 e l’avvio della riforma sanitaria nel 1978.
I partiti si erano ritagliati due grandi bacini da occupare politicamente in grado di erogare decine di migliaia di posti.
Le regioni a statuto ordinario, che avrebbero dovuto essere degli Enti di programmazione per favorire lo sviluppo territoriale, con il tempo hanno assunto tutti i connotati di quello Stato burocratico e pletorico di cui avrebbero dovuto limitare l’ingerenza.
La riforma sanitaria, fatta decollare in Italia quando in Inghilterra era fallita, con la motivazione di estendere l’assistenza sanitaria a tutti i cittadini, ha permesso l’occupazione del sistema sanitario nazionale da parte di tutti i partiti, con l’arricchimento di coloro che sono partecipi del sistema, ma a scapito del bilancio delle regioni che è quasi tutto destinato alla sanità a detrimento delle politiche per lo sviluppo.
Questa occupazione “militare” del sistema regionale da parte dei partiti verso la fine degli anni ’80 non dava più i frutti sperati, mentre pressante era la necessità di occupare le nuove generazioni. Questa classe politica incapace di attivare politiche di sviluppo che creassero ricchezza ha scelto la via più congeniale e semplice al proprio tipo di cultura politica, si sono inventate le varie forme di “lavori socialmente utili” in modo da occupare decine di migliaia di “clienti” negli Enti locali e territoriali.
Così piccoli Comuni che erano stati gestisti fino ad allora con il supporto di alcuni dipendenti si sono ritrovati a disposizione decine di dipendenti ai quali bisognava attribuire mansioni per giustificarne la presenza.
Tutte queste politiche assistenziali sono la causa dell’enorme debito pubblico al quale hanno attinto tutti i Governi e i Parlamenti che si sono succeduti, senza distinzione di ideologia o scuola di pensiero economica; non a caso la pubblicistica parla di casta e non di elite.
Occorre adesso parlare del bilancio dello Stato dal punto di vista delle entrate e delle politiche di sviluppo atte ad incrementarlo.
L’Italia alla fine della seconda guerra mondiale era un paese agricolo mercantile. Il territorio, escluso il triangolo industriale, fondava la sua economia su agricoltura, artigianato e commercio, queste categorie erano chiamate a garantirsi il sistema previdenziale, tramite un Ente di categoria presso l’INPS, e l’assistenza sanitaria attraverso le mutue, sempre di categoria.
Il bilancio dello stato si fondava sulle entrate garantite dal sistema industriale e sul debito, garantito da BOT e CCT sottoscritti per lo più da risparmio interno.
Dopo le lotte sindacali della seconda metà degli anni ’60, portate avanti per il riconoscimento dei diritti dei lavoratori e con l’entrata in vigore dello “statuto dei lavoratori” il sistema industriale italiano entrò in una profonda crisi che lo obbligò a trasformazioni organizzative radicali.
Questa congiuntura economica comportò una modifica sostanziale del sistema organizzativo dello Stato, soprattutto dal punto di vista della riscossione delle entrate.
Questo processo fu guidato da due uomini: per l’accentramento delle entrate; Gaetano Stammati; per il coinvolgimento tributario di tutte le categorie, Bruno Visentini.
Il sistema produttivo italiano si fonda sulla micro-impresa, basta pensare che oltre il novanta per cento delle imprese non supera i due dipendenti; eppure questo sistema tra la seconda metà degli anni settanta e tutti gli anni ottanta favori una crescita inimmaginabile per il sistema Italia, infatti fu coniato lo slogan “piccolo è bello”.
Questa dinamicità delle piccole imprese ha favorito la nascita di decine di distretti industriali anche in zone del paese considerate da sempre terre di emigranti.
Il fiore all’occhiello del sistema è rappresentato dal Triveneto dove si avviano politiche atte a favorire l’immigrazione.
Verso la fine degli anni ’80 cambia la politica economica mondiale, si fanno strada le politiche reganiane che possono essere applicate in paesi come l’Inghilterra, la Germania, la Francia, ma non all’Italia che fonda il suo sistema produttivo sulla micro-impresa.
Come reazione i Governi di sinistra propongono politiche sempre più stataliste.
Con la seconda Repubblica la classe politica non proviene più dalle organizzazioni socio-economiche presenti sul territorio ma viene “cooptata” dalle professioni.
Ha inizio “la dittatura delle corporazioni” , che di concerto con la politica, supportati da una Europa delle burocrazie, avviano tutta una serie di riforme atte a soddisfare i bisogni corporativi di entrambi, normative non sempre chiare e l’aumento delle procedure garantivano lavoro alle professioni e permettevano alla politica di giustificare la gran mole di occupati nel sistema pubblico ai vari livelli istituzionali.
Questo sistema si diffonde anche grazie alla cecità del sistema universitario che avallava le teorie che consideravano identici i problemi del lavoro presenti sia nella catena di montaggio della Fiat che nella falegnameria dove lavorano l’artigiano e un apprendista.
In questa fase emergono tutti i limiti della politica, gli uomini politici e la dirigenza della burocrazia dimostrano: primo di non essere a conoscenza della composizione e del funzionamento del sistema produttivo italiano, soprattutto di quello artigiano, dando per scontato che questo appesantimento del sistema procedurale non può incidere sulla produttività dell’impresa; secondo non prendendo in esame l’aspetto psicologico della applicazione delle nuove normative, per cui l’artigiano deve cominciare a dedicare diverse ore settimanali all’espletamento di costosi aspetti burocratici tralasciando il lavoro produttivo.
In questa fase il sistema politico invece di sostenere il piccolo imprenditore nel processo di crescita necessario ad affrontare il nuovo che avanzava, attivando strutture pubbliche di sostegno, ha permesso agli ordini professionali di fare i propri affari e alla burocrazia di fermarsi all’aspetto di mero controllo tipico di uno Stato di polizia. Non a caso in questa fase c’è stata la rincorsa tra i vari corpi e organi dello stato per essere considerati come polizia giudiziaria.
Così per l’avvio di una impresa occorrono decine di procedure dove tutte le componenti burocratiche, con la motivazione del controllo, vogliono garantirsi un ruolo.
Questa incapacità della politica, derivante dalla non conoscenza del sistema produttivo reale, ha permesso tutta una serie di aberrazioni che hanno sconcertato il piccolo imprenditore facendolo sentire sempre più suddito e sempre meno cittadino. Così un artigiano che compra una macchina utensile certificata da un organismo dello stato deve farsi fare una relazione sul rumore, pagandola; un falegname che tiene delle tavole per fare i mobili deve fare la relazione antincendio, sempre pagando un professionista; una impresa chiude l’attività ma spesso la camera di commercio la obbliga a pagare anche la quota dell’anno successivo, pena andare incontro a sanzioni erogate da Equitalia; che per chiudere una impresa venga richiesto l’atto notarile, questo nella logica che gli imprenditori, da sudditi, non possono certificare un atto a titolarità da cittadini; che alcune sedi Inps richiedano il pagamento dei contributi pure per l’amministratore di una società che non svolge attività; di questi esempi se ne possono portare a centinaia.
Ma una caratteristica del sistema burocratico italiano è la soggettività dei vari uffici sulla interpretazione e applicazione delle varie norme, un esempio su tutti, basta ricordare quello che è accaduto a livello tributario con la interpretazione della Visco sud, dove lo stesso caso è stato trattato con visioni opposte dalle varie Agenzie delle entrate regionali, con gravi ricadute sul piano finanziario delle imprese.
Altro problema è rappresentato dalla competenza ispettiva di più organi sullo stesso aspetto di una attività di produzione.
Con il trascorre del tempo la prima preoccupazione del piccolo imprenditore non è più quella di lavorare e produrre, ma di evitare sanzioni e multe.
Contemporaneamente anche i professionisti, che dovrebbero sostenere l’impresa nel districarsi tra le abbondanti normative, si sono trovati in difficoltà a causa della pubblicazione di circolari esplicative pochi giorni prima della scadenza, vedendosi trasformati così da consulenti dell’impresa in uffici esattoriali territoriali.
Questa non chiarezza ha messo in difficoltà gli imprenditori puri, che hanno preferito delocalizzare la produzione, queste scelte hanno fatto perdere al sistema delle PMI italiane decine di migliaia di imprese e milioni di posti di lavoro.
La giustificazione che in alcuni ambienti si da nel parlare di queste scelte è riferita alla necessità di ricercare luoghi con un costo del lavoro più basso, ma questa è solo una parte della verità, forse quella di valenza minore, perché se quello che affermano fosse vero in Italia ci sarebbero molti investitori stranieri, ma in giro per il mondo parlare di investire in Italia è come parlare di giocare alla roulette, stante la complessità della burocrazia che rende le norme sempre impugnabili.
Oggi l’imprenditore che investe, che crea ricchezza vera, ha bisogno di normative chiare e di tempi di start-up certi, non è più disponibile ad esporsi al rischio che un qualsiasi ufficio, anche in buona fede, blocchi un progetto e le decisioni di merito non hanno tempi definiti.
Emigrati gli imprenditori puri in Italia, tolte alcune grandi imprese, sono rimasti: gli imprenditori legati a doppio filo con la politica, dei quali sentiamo parlare nelle Procure della repubblica; e le micro-imprese.
Il settore della micro-impresa vive una situazione molto complessa, visto la scenario in cui si muove: considerando sia l’aumento costante di imprese con titolari non italiani, e se qualcuno di costoro ritiene di non versare l’IVA o di non pagare quanto dovuto alla previdenza e all’erario, le relative somme sono di difficile riscossione; sia le difficoltà del piccolo imprenditore italiano messo alle strette dalla crisi e dalla mancanza di accesso al credito, e che è portato sempre più ad adottare forme di economia informale e meccanismi di baratto.
La difficoltà del sistema pubblico di indire nuove gare di appalto, il ritardo con cui paga i fornitori, i comportamenti di imprenditori stranieri che evadono e trasferiscono le somme nei Paesi di origine, la deriva delle micro-imprese italiane verso l’economia informale ed il sommerso, la incapacità della burocrazia di invertire il suo ruolo da mero controllo ad assistenza di crescita nella legalità, sono le cause per cui il PIL italiano nei prossimi anni non potrà che essere stagnante.
LA FINE DELLA SECONDA REPUBBLICA
Questa ultima legislatura sta mostrando tutti i limiti del sistema: una politica che ha perso la sua capacità profetica; la morte dell’etica, privata e pubblica; elite che sono diventate casta, come nelle migliori corti settecentesche; lo Stato visto come un qualcosa da rosicchiare per ottenere vantaggi personali; fare politica non più per contribuire all’interesse generale ma per arricchire se stessi e il gruppo di appartenenza.
Ma l’aspetto più grave è rappresentato dal considerare l’avversario politico come un nemico.
Tutti parlano, ma nessuno dialoga; tutti vogliono imporre all’altro il punto di vista quotidiano sul problema, dato che le idee cambiano ogni giorno.
I cittadini sono costretti ad assistere alla “fiera dell’ovvio”, in questo bombardati dai mezzi di comunicazione, comunicazione pervasiva abbarbicata alle indicazioni dei gruppi di appartenenza, speranzosi di onnubilare la mente dei telespettatori.
Il Presidente della Repubblica quasi quotidianamente richiama il paese, e in special modo la sua classe dirigente, a tenere comportamenti funzionali al mantenimento della democrazia e alla crescita complessiva del sistema. Purtroppo questo sforzo non raggiunge gli obiettivi desiderati, anzi, accentua le carenze della situazione, dato che i vari gruppi cercano di strumentalizzare i richiami all’unità, alla coerenza, all’onestà morale e intellettuale.
Come Popolari cerchiamo di analizzare la situazione politica italiana e quello che potrebbe accadere a breve. Cerchiamo di ripercorrere questo ventennio: le inchieste di mani pulite fanno emergere un sistema di corruzione all’interno dei partiti che deve essere eliminato, queste inchieste portano alla chiusura di partiti popolari come la DC e il PSI, mentre sfiorano il PCI, permettendo alla sua dirigenza di riconvertirsi in altre sigle, ma lasciando intatta la nomenclatura organizzativa; i comunisti che non erano mai riusciti ad andare al Governo con libere elezioni si trovano la strada spianata; la componente cattolica, socialista, liberal-democratica, rimane senza più riferimenti partitici.
Mentre la sinistra pensa di essere giunta al Governo ecco che entra in politica Silvio Berlusconi industriale proprietario del sistema televisivo privato italiano in grado di fare concorrenza al sistema pubblico.
L’uomo è un industriale capace e intelligente, applica alla politica una strategia tipica della comunicazione del sistema produttivo sostituendo il prodotto da lanciare sul mercato con la sua leadership. Una leadership basata sul suo successo come imprenditore in grado di dare risposte politiche a tutti quei milioni di cittadini rimasti orfani del sistema partitico precedente. La rete territoriale messa in piedi in brevissimo tempo, con logiche di marketing, si fonda su gruppi di interesse che vanno a sostituire le sezioni dei partiti quadri-massa.
Questo ventennio non fondando la politica su valori ma su interessi ci ha fatto assistere allo sgretolamento di sistemi che hanno cercato di riaggregarsi in funzione dei gruppi di riferimento.
Tutte le varie corporazioni hanno voluto non più come nel sistema precedente inserire uomini da eleggere ma avere un proprio partito di riferimento. Questo ha comportato uno scollamento del sistema e si è passati dal dialogo politico fondato sulla mediazione, riferita a valori e principi, al puro scambio di favori. Il tutto a detrimento del debito pubblico.
Il problema vero del Paese è la mancanza di una opposizione in grado di fare proposte atte ad accreditarla come forza di governo alla successive elezioni. Le vittorie e le sconfitte ai vari turni elettorali non sono derivate dalle proposte ma dal livello del carisma del leader.
In questa fase stiamo assistendo alla fine, con ignomia, di una legislatura e di una epoca politica. Il Presidente del Consiglio è incappato in una serie di disavventure magistralmente edulcorate dalla sinistra, che in assenza di una linea politica ha messo in campo tutte le sue risorse, sulla comunicazione, sullo spettacolo, sui media, sulla satira, che quotidianamente debbono fare il lavaggio del cervello per instillare l’odio contro Silvio Berlusconi che non è un avversario ma un nemico politico. Andando a rileggere le tecniche dell’Inquisizione ci si trovano molte similitudini.
Anche all’interno della maggioranza molti beneficiati cercano il momento di gloria “alzando la cresta” per dimostrare la loro esistenza.
Questo Governo nel bene e nel male, con il sostegno del Presidente della Repubblica, ha portato in porto la manovra, ma le varie corporazioni, mancando un sistema politico che garantisce la sussidiarietà verticale ed orizzontale, pretendono che i sacrifici li facciano gli altri. Un dato è certo, il debito pubblico è figlio di nessuno, nessuno vuol farsi un esame di coscienza ricordando i benefici avuti per anni grazie ai disavanzi del bilancio pubblico.
Silvio Berlusconi si trova nell’occhio del ciclone, lo attaccano da tutte le parti, viene dipinto come l’emblema del male, la crisi del sistema è il suo peccato originale.
Se la situazione non fosse tragica il grottesco potrebbe divertire.
Quale potrebbe essere lo scenario a breve termine? Silvio Berlusconi emula Zapatero, si ritira dalla politica e indice nuove elezioni da tenere nel primo semestre del prossimo anno.
Questa scelta è sostenuta dal fatto che Berlusconi vuol dimostrare che la sua leadeership ha dato senso ad una epoca e che preferisce ritirarsi piuttosto che modificare la sua linea politica.
Per immaginare cosa succederebbe ad un annuncio del genere solo Moliere ci può venire in aiuto.
Il trenta per cento dell’elettorato italiano si ritroverebbe senza leader, per cui la percentuale maggiore potrebbe astenersi, portando intorno al cinquanta per cento il numero degli elettori che non vanno a votare.
La sinistra ed il suo esercito di comunicatori ritiratosi il nemico, dopo aver cercato di accreditare una vittoria, come pensa di ottenere il consenso, visto che fino ad oggi è rimasta abbarbicata ad una visione di società fordista incapace di dialogare con un sistema globalizzato.
L’armata Brancaleone del centro-destra che per vincere le elezioni in questi venti anni, nei momenti forti e decisivi, è dovuta ricorrere alla forza trascinante del suo leader; come si sgretolerà? Chi potrà
fare da collante? Saranno capaci di proporre una politica non collegata a “interessi di bottega”? La pletora dei nominati sarà in grado di ottenere il consenso?
I partiti che fino ad oggi hanno fatto politica facendo circolare le intercettazioni, a dispregio della riservatezza dei cittadini, a quale attività si dedicheranno?
La storia di questo Paese ci ha dimostrato che l’utilizzo di dossier per colpire l’avversario politico non esclude che anche l’avversario politico potrebbe essere entrato in possesso di documenti scabrosi da immettere nel circuito mediatico.
La Lega nord, che ha condizionato la politica di governo imponendo scelte non sempre accettabili, si dovrà ritirare nella sua Padania e dovrà cominciare a spiegare al suo elettorato che non è più possibile fare politiche autarchiche e che il vantaggio competitivo che aveva il nord in Italia scompare nel momento in cui l’Italia è sotto protettorato franco-tedesco.
Come Popolari continueremo a promuovere la Glocalizzazione sostenendo tutte le forze giovani e capaci di rimboccarsi le maniche a dispetto di quella mentalità assistenzialistica che “ha bruciato” una serie di generazioni, di fatto escludendole dal processo produttivo e dal mercato del lavoro.
Come Popolari continuiamo a denunciare il fatto più grave che è avvenuto nella seconda repubblica, la incapacità e la mancanza di volontà della classe politica e dirigente di ascoltare i suggerimenti di decine di migliaia di imprenditori, che alla fine sono stati costretti a delocalizzare le loro imprese facendo perdere all’Italia alcuni milioni di posti di lavoro; e poi ci lamentiamo che il PIL non cresce, mentre cresce il debito pubblico.
CORRADO TOCCI – SEGRETARIO POLITICO POPOLARI GLOCALIZZATI
COSA NASCONDE LA BCE DIETRO LE MANOVRE CHE IMPONE AGLI STATI FANALINI DI CODA DELL’EUROPA? SMONTIAMO IL CASTELLO DI LEGO E ANALIZZIAMO I SINGOLI PEZZI.
1 Mattoncino – BCE: Iniziamo dall’Organo “benefattore” dell’Europa la BCE: uno dei suo membri che compongono i Comitato esecutivo, non ha lasciato l’incarico dopo la nomina di Mario Draghi a Presidente della BCE, nonostante gli accordi presi. Chi è il “ribelle” che ha osato opporsi allo strapotere della BCE? E’ l’economista fiorentino Lorenzo Bini Snaghi. In ogni caso gli strateghi della BCE di concerto con lo Staff del Presidente Draghi stanno cercando un “pic indolor” per “toglierselo” di torno, magari con una buonuscita da nababbi, ma il signor no non si accontenta solo del “vile” denaro e quindi si cerca per lui anche una ri-collocazione prestigiosa.
La soluzione che mi balena, anche se sembra fantasiosa, oramai sono abituato ad essere etichettato come un “catastrofista”, che vola sui tetti ma poi la realtà mi ha dato sempre ragione e anche questa volta voglio espormi nei miei voli pindarici. Ricorrerò alla scienza della matematica 1 + 1 = 2. Fermiamoci per un momento alla situazione italiana, il momento è difficile e tra Tremonti e la BCE non è mai corso buon sangue, questo è risaputo. Cosa fa un Presidente di una squadra di calcio che non rende, il primo passo del suo Presidente, azionista di maggioranza, è sostituire il suo allenatore e quale più ghiotta occasione per la BCE?
Di motivazioni se ne possono essere estrapolare tante, l’economia ha necessità di maggiore smalto, oppure l’economia ha bisogno di un rilancio per le imprese del Paese. – Pronta la ricetta: “Tremonti fatti da parte”, un diktat, velato dall’Europa, tapperebbe la bocca al Leder della Lega e libererebbe Berlusconi di un suo ministro scomodo ed inamovibile.
2 Mattoncino – Grecia: Siamo così convinti che il piano di aiuti alla Grecia risollevi il Paese? Io ne sono poco convinto, anche se dal punto di vista finanziario la matematica non condanna la Grecia ma a volte la matematica non basta c’è bisogno di legarla ad altri fattori inevitabili: – Un Paese può si ridurre il suo debito vendendo i suoi asset migliori e rimodulando il sistema tributario e la spesa del pubblico impiego, ma questo vale anche per la Grecia? Credo di no, la Grecia è un Paese povero, con redditi bassi. Lo stato finanziario della Grecia ci presenta un paese che si trascina con fatica e come possiamo credere alla BCE che continua a fare proclami che la Grecia ce la può fare?
Il futuro che si prospetta per il paese che è stata culla di grandi civiltà è fosco, la Grecia non ha chance di sviluppo economico ha un nodo scorsoi al collo è in un vicolo cieco se paga il debito il paese regredisce, il debito condanna o sviluppo del Paese.
Il macigno del debito è una tegola e pur mettendo in vendita i suoi gioielli, il rapporto debito Pil oggi fermo al 160% non scenderebbe sotto il 140%. Non solo la BCE da sanguisuga quale è non ha concessone deroghe all’allungamento della dilazione del prestito ne alla rinegoziazione dello stesso.
3 Mattoncino – esposizione della Grecia in numeri: la maggiore esposizione è verso la BCE 190 Mld, seguono le banche tedesche per circa 23 Mld, e le francesi per 15 Mld. Con queste cifre la Grecia pur vendendo isole, monumenti, aree protette, suolo pubblico, proprietà del demanio, infrastrutture. porti aeroporti, la rete dei trasporti, la rete telefonica, cedere la sovranità del controllo delle acque e del proprio spazio marittimo, non riuscirebbe in nessun modo a far fronte al debito. Non solo ma bisogna tener conto che pur ammettendo nella capacità della Grecia di far fronte al suo debito, che futuro si prospetta per il Paese?
La Grecia è un Paese in saldo dove poter far buoni affari, le banche tedesche in primis forte del suo prestito di 23 Mld concesso alle Banche greche si sono messe a caccia di buoni affari da fare per i loro clienti tedeschi, e il Governo si da da fare per cartolarizzare più beni possibili utili a sanare le finanze del Paese.
Lo strapotere della Commissione europea dell’FMI e della BCE ha riportato la società ad un nuovo sistema oligarchico, “l’oligarchia della finanza”, dalle armi per la conquista dei territori, alla finanza, meno dolorosa dal punto di vista delle perdite ma altrettanto violenta. Le Banche concedono prestiti e sono pronti ad ulteriore innesti di liquidità, intanto il debito non più controllabile sale; le entrate non sono più sufficienti a coprire gli interessi che crescono esponenzialmente fino a portare il Paese ad un passo dal default, il paese si ferma i consumi si congelano mettendo sul lastrico un intero stato, ogni forma di ammortizzatore sociale cessa di esistere. Occasione ghiotta per le banche che presentano un conto amaro al Paese, “per rientrare bisogna alienare tutto ciò che il Paese può mettere sul mercato”. Soccombe sotto la scure della troika la Grecia non potendo più contare su uno stratega come Alessandro il Grande che ha dato lustro al suo Paese.
4 Mattoncino – mercato del lavoro: La Germania ha iniziato ad affacciarci sulle coste greche già nel lontano 1990 dapprima in modo soft, come osservatori.
Poi quando hanno capito le opportunità che la Grecia presentava dal punto di vista strategico, sbocco sul Mare, turismo hanno iniziato ad impiantare i primi insediamenti industriali, per i greci creduloni non gli sembrava, vero opportunità di lavoro, crescita economica, turismo, ma non sapevano che tutto questo nascondeva un piano “bellico” molto pericoloso colonizzare la Grecia, si aspettava la mossa giusta che desse inizio al piano di conquista morbida, l’Euro. Le Banche tedesche sono entrate nel suolo greco, hanno dispensato denaro alle imprese, allo Stato e sono entrate nei capitali dei gioielli ellenici, telefonia, trasporti, porti, aeroporti sistema televisivo, mostrando sempre il volto di benefattori, senza far mai trapelare il vero progetto aberrante che si stava mettendo in piedi.
Entrati nel tessuto socio economico del Paese i cosiddetti benefattori, hanno iniziato a condizionare le scelte del paese ellenico di concerto con il Sindacato. I Benefattori hanno illuso gli stessi sindacati che per aumentare la competitività bisognava intervenire sul costo della manodopera, e i creduloni, almeno voglio pensarlo allontanando da me qualsiasi congettura fuori luogo, si sono fatti abbindolare anche per il finto benessere creato ad artificio dai Benefattori. Il Popolo si era illuso di vivere bene ma non si accorgeva che tutto era fondato su un sistema di cristallo pronto a rompersi in mille pezzi al primo accenno di recessione e così è accaduto.
Nel periodo di benessere virtuale i cittadini continuavano a contrarre debiti, le imprese li seguivano a ruota le banche elargivano senza porsi problemi sapendo che prima o poi tutto sarebbe finito e loro sarebbero rientrate dall’esposizione con i cittadini greci.
Nessun greco si è posto però il problema di capire come mai ci fosse tanta magnanimità da parte delle banche, oggi lo stanno capendo sulla loro pelle. La contrazione economica che ha colpito la globalizzazione ha rivelato il castello di sabbia su cui si basava l’economia greca. Gli interessi crescevano, il costo del denaro saliva e i salari si erano ridotti per accordi pregressi, nel frattempo nessuno ha pensato che tutto potesse essere una trama tessuta a tavolino, un filo logico diabolico, preparare le grandi imprese metalmeccaniche tedesche ad un trasloco in terra greca, dove il costo del lavoro è sicuramente più competitivo rispetto alla Germania a seguito degli accordi pilotati dalle banche tedesche anni prima in periodo di finte vacche grasse.
I conflitti nel futuro non saranno più fatti con armi, ma con strumenti finanziari, molto più aggressivi delle armi, un debito mette a rischio lo sviluppo di una nazione e rende sudditi i suoi cittadini.
Dalla Grecia stiamo imparando a conoscere quale sarà la schiavitù del prossimo 20 ennio, essere sottomessi con la vaselina. Si perderanno posti di lavoro, la produzione crollerà aumenteranno le sacche di povertà, i beni dello Stato finiranno nelle tasche delle banche creditrici, le quali proprietarie di tutto metteranno mano ad aumenti indiscriminati sui servizi primi ad essere rivisti tutto in favore di “Santo Profitto”.
5 Mattoncino – denaro sperperato e Manovre di rientro: La Grecia è il primo paese sotto attacco degli speculatori finanziari, a fine Giugno il Governo Papandreou ha dovuto porre drastici tagli alla spesa pubblica come richiesto da Bruxelles, le più colpite sono state le fasce deboli: ribassati gli stipendi pubblici, le pensioni, ridotta l’assistenza sanitaria, ma l’intervento principale lo ha lasciato nel dimenticatoio, ridurre le spese per la difesa. Gran parte dei prestiti ottenuti negli anni precedenti, il Governo greco li ha bruciati in acquisto di armi, in tre anni sono stati elargiti prestiti alla Grecia per 160 Mld di $, i quali invece di essere dirottati per ridurre l’enorme debito, sono stati usati per incrementare la difesa. E’ da folli comperare armi con denaro preso in prestito, lo Stato deve comportarsi come un buon padre di famiglia, deve pensare prima a migliorare la vita dei suoi cittadini e poi ad altro, cosa che il Governo ellenico ha dimenticato di fare e oggi paga gli errori.
A cosa serviva incrementare le spese per la difesa del 35% pari a 4.3% del PIL? Il metodo sicuramente sarà sempre lo stesso, le banche erogatrici di denaro sono anche socie di molte aziende di produzione armi belliche, quindi avranno sicuramente elargito denaro a funzionari dello Stato, Politici e militari affinché venissero stipulati contratti per acquisto armi, un metodo per rientrare immediatamente di parte del denaro prestato, lasciando intatto il debito iniziale. Soldi sperperati inutilmente per l’acquisto di elicotteri da combattimento francesi, Mirage Francesi, aerei da guerra americani, sottomarini tedeschi. Se Papandreou avesse ridotto le spese militari, la manovra di rientro, poteva essere meno dolorosa. E intanto a Bruxelles preparavano il piano di rientro della Grecia senza sconti. Un Governo costretto solo ad ubbidire e a fare mea culpa sulle spese sconsiderate. Dall’Europa arrivava un messaggio chiaro alla Grecia non ci sono altre alternative. In una notte fu decisa la manovra salasso, 28 Mld di Euro con aumenti delle tasse in cui sono stati colpiti tutti ad esclusione delle banche e delle imprese, tagli alla spesa pubblica in particolare il settore sanitario, in pochi giorni il salasso si è ripercosso negativamente sull’occupazione, si sono persi migliaia di posti di lavoro.
Mi viene un sorriso, amaro sentire dopo la manovra lacrime e sangue dire: ora che la Grecia si è incamminata sulla strada giusta possiamo dare l’ulteriore tranche del prestito, una domanda l’ulteriore immissione di liquidità a chi è rivolto, al popolo…non credo, al governo.. sarebbe troppo sporca, e allora a chi alle stesse banche che lo hanno erogato… penso proprio di si.
Come si dice il denaro esce da una porta e rientra dalla finestra e il popolo e cornuto e mazziato.
6 Mattoncino – Controllo del bilancio degli stati e interventi di riequilibrio: cosa si sta decidendo in Europa alle nostre spalle, di creare un organo che sovraintenda le finanze pubbliche degli Stati membri, che verifichi i bilanci, i piani di sviluppo e le riforme strutturali. Tutto questo indica una economia liberista.
Bruxelles si prepara a smantellare lo stato sociale, a rivedere i contratti collettivi di lavoro, ad intervenire sul Pubblico impiego con riduzione degli stipendi e dei dipendenti, ad alzare l’età pensionabile, per dare l’ultima stoccata alla privatizzazione dei servizi, Sanità e Trasporti.
L’Europa di Mazzini a cui tanto avevamo creduto, coesione sociale, fratellanza tra i popoli, sta assumendo sempre più connotati di uno Squalo che mangia i pesci piccoli, oggi è toccato alla Grecia, non è corretto prima della Grecia hanno tentato di inghiottire la piccola isola islandese, ma lo squalo BCE non ha trovato vita facile, i pescatori di queste inospitali terre sono abituati ad uscire con il mare il mare grosso e lo Squalo lo hanno tenuto a debita distanza.
Si sono rifiutati di pagare i debiti delle banche e di contrarre prestiti per onorare il debito. L’Islanda non fa testo, è una piccola landa di appena 300.000 abitanti per lo più gelata tutto l’anno, ma potrebbe essere un esempio da riportare negli altri Paesi che si trovano con un debito pubblico alto, a partire dal nostro Paese.
Sarebbe un segnale forte da mandare a Bruxelles da cittadini liberi, ricordo che L’Europa è nata come unione di “STATI SOVRANI” ognuno con una propria identità, cultura, storia e non come prede da conquistare.
Maurizio Compagnone – Segretario Organizzativo dei Popolari Glocalizzati
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