Minacce a Marisa Manzini, Dda richiede verbali udienza Nel corso di un'udienza del processo “Black Money” il boss Pantaleone Mancuso “Scarpuni”, rivolgendosi al pm della Distrettuale le ha intimato di «stare zitta»
VIBO VALENTIA – «Stai zitta, finiscila, adesso parlo io». Sono state le parole gravissime e censurabili pronunciate dal boss Panteleone Mancuso (“Scarpuni”), in video-conferenza dalla casa circondariale dell’Aquila (dove è detenuto in regime di 41 bis), in direzione del pm Marisa Manzini nel corso dell’ultima udienza, lunedì scorso, del processo “Black money” che vede alla sbarra i vertici del clan Mancuso.
Una vicenda che ha indotto la Direzione Distrettuale Antimafia a richiedere i verbali dell’udienza per quella che, oltre ad essere un’evidente mancanza di rispetto verso una donna e nei confronti di un magistrato, potrebbe configurare il reato di minaccia aggravata. Gli agenti della Squadra Mobile di Catanzaro, infatti, hanno chiesto alla cancelleria al Tribunale di Vibo Valentia la copia, sia cartacea che su supporto audio, del verbale dell’udienza in esame.
E non è solo questo il fatto che sarà vagliato dagli inquirenti antimafia: sarà valutato anche quanto affermato dall’avvocato Francesco Sabatino, che avrebbe denunciato di essere stato minacciato, nel corso dell’esame, dal suo ex assistito Andrea Mantella, oggi collaboratore di giustizia.
ARTURO BOVA
“L’atteggiamento minaccioso assunto da un boss della ‘ndrangheta di Vibo Valentia contro lo Stato, rappresentato in aula dibattimentale dalla dottoressa Marisa Manzini, Sostituto procuratore distrettuale antimafia di Catanzaro, è la dimostrazione lampante del livello di arroganza ormai raggiunto dai poteri criminali in questa regione”. Lo afferma in una dichiarazione il Presidente della Commissione regionale antindrangheta, Arturo Bova.
“In quell’aula di Giustizia si sta celebrando uno dei più importanti processi contro la ndrangheta del vibonese grazie al lavoro credibile e puntuale degli inquirenti che hanno saputo convincere alla collaborazione un killer pentito il quale sta ricostruendo dinanzi ad un Collegio episodi criminali di straordinaria violenza. La dottoressa Manzini, per suo dovere – dice Arturo Bova – è stata oggetto di inquietanti contestazioni e minacce durante il processo dal principale imputato, Pantaleone Mancuso, mentre interrogava un collaboratore di giustizia, reo confesso di otto omicidi, e dalle cui testimonianze emergerebbero inquietanti compromissioni tra ‘colletti bianchi’ e cosche della ndrangheta di quell’area. Vibo Valentia e la sua provincia – prosegue il presidente della Commissione regionale antindrangheta – per come risulta dalle inchieste di magistratura ed organi di polizia, sono una realtà caratterizzata da forti interessi speculativi legati al territorio, dove ndrangheta, pezzi delle istituzioni e poteri occulti, a discapito del bene e dell’interesse comune, impongono le loro decisioni corrompendo e minacciando. E l’episodio delle minacce alla dottoressa Manzini in un’aula di Giustizia è il classico campanello d’allarme, un segnale che la politica e gli organi dello Stato devono raccogliere interamente, al di là dell’episodicità o meno dell’evento. Non è più possibile, infatti – continua Arturo Bova – considerare come semplice sfogo di un imputato quanto avvenuto nel Tribunale di Vibo Valentia, anzi, vanno allertati quanto più possibile i sistemi di prevenzione e di controllo per scongiurare eventi davvero inquietanti contro uomini e donne dello Stato che altro non fanno che il loro lavoro con assoluta coerenza e dedizione a difesa dei cittadini e della democrazia. Lo è conferma gli arresti, ultimi in ordine di tempo, dei boss della ndrangheta Antonio Pelle e Francesco Di Marte. Alla dottoressa Marisa Manzini – termina Arturo Bova – va non solo la mia solidarietà, ma la riconoscenza delle persone perbene di questa regione per il suo lavoro, insieme a tutti gli apparati dello Stato che operano a Vibo Valentia, spesso con scarsità di mezzi e personale, per fronteggiare una criminalità organizzata che ha potuto anche contare per il raggiungimento dei suoi obiettivi su personaggi ‘invisibili’ che occupano posti importanti negli snodi più delicati della pubblica amministrazione”.
AMMAZZATECI TUTTI
«Esprimiamo la nostra vicinanza e il nostro sostegno al Pubblico Ministero Dott.ssa Marisa Manzini e ai Carabinieri, che durante l’ultima udienza del processo “Black money” hanno subito gravi attacchi da parte del boss Pantaleone Mancuso, che non ha esitato di intimare a voce alta al PM di stare zitta».
Lo dichiarano in una nota Lia Staropoli, Presidente dell’Associazione “ConDivisa” e ed Aldo Pecora presidente del Movimento Antimafia “Ammazzateci Tutti”, facendo riferimento alle parole espresse da Pantaleone Mancuso, capo dell’omonima ‘ndrina di Limbadi in aula, nel corso della recente udienza del procedimento scaturito dall’Operazione “Black money”, il quale ha accusato il PM Dott.ssa Manzini e i Carabinieri di essere la causa del suicidio della moglie Tita Buccafusca, intimando a voce alta al PM di stare zitta.
«Nella nostra regione – sottolinea concludendo la nota personalmente la Staropoli – , ed in particolare in questo territorio di Limbadi in cui anche io risiedo, i cittadini onesti possono contare sugli uomini e sulle donne delle Forze dell’Ordine e su Magistrati come la Dott.ssa Manzini. Non consentiremo a nessuno di tentare di intimidirli o delegittimarli, dentro e fuori le aule dei Tribunali».
SALVATORE MAGARO’ (ASSOCIAZIONE PIU’ DI CENTO)
«Manifesto la mia solidarietà personale, e quella dell’Associazione che rappresento, alla dott.ssa Marisa Manzini, oggetto di minacce gravi ed inaccettabili pronunciate da un esponente della criminalità organizzata durante l’udienza di un processo in corso a Vibo Valentia». Lo afferma Salvatore Magarò, presidente dell’Associazione Più di Cento – Tana per la legalità. «Un mese fa, il 14 settembre scorso, abbiamo consegnato al magistrato il Pacchero d’Argento per la sua attività contro la ‘ndrangheta ed il malaffare. Sono convinto che questa deprecabile aggressione verbale non ne fiaccherà l’impegno quotidiano per l’affermazione della giustizia e della legalità».
NESCI E PARENTELA (M5S)
«Siamo tanto vicini al magistrato Marisa Manzini, per le gravi minacce subite di recente». Lo affermano in una nota i deputati M5s Dalila Nesci e Paolo Parentela, che aggiungono: «Fanno paura le modalità dell’accaduto, da cui emerge, purtroppo, una condizione di chiara debolezza dello Stato. La politica deve tanto riflettere su se stessa e sulla propria capacità e volontà di contrastare il fenomeno mafioso. A riguardo c’è bisogno di fornire esempi veri, testimonianze forti e prove concrete». «Inoltre – sottolineano i parlamentari 5 stelle – va fatta una riflessione, tra le forze politiche, su come in concreto viene contrastata la ‘ndrangheta in Calabria, mostratasi fieramente spavalda e arrogante contro la dottoressa Manzini. La discussione e la proposta politica sull’argomento devono essere riprese con coerenza e fermezza, nella consapevolezza che viviamo in una regione molto condizionata dalla ‘ndrangheta, infiltrata nei partiti, nei palazzi del potere e negli uffici amministrativi». «Ci aspettiamo – concludono Nesci e Parentela – segnali concreti dal governo centrale, che deve investire risorse in favore della giustizia e della polizia, ma anche per divulgare una cultura profonda della legalità e dello Stato, troppo spesso considerata inutile o propagandata in circuiti di pura apparenza».