Morte per infezione da batterio “Escherichia Coli” I familiari chiedono i danni
La nuova battaglia della famiglia di Franca ha prima di tutto un obiettivo: ottenere verità e giustizia. Ma c’è poi anche il desiderio di contribuire a cambiare le cose: «Non deve accader mai più. Lo facciamo solo per lei, del resto è l’ultima cosa che resta da fare» racconta l’avvocato Dario Malinconico incaricato dagli eredi di Franca, 64 anni di Acquarica Del Capo, di curare i loro interessi e aiutarli a fare luce su questo decesso. La paziente nel giugno 2015 era stata sottoposta ad un intervento cardiochirurgico presso la clinica Città di lecce Hospital S.r.l., con innesto di arteria mammaria interna di sinistra che viene eseguito per la rivascolarizzazione miocardica.
Un intervento programmato e riuscito, tanto che il decorso post operatorio non evidenziò problemi di alcun tipo. A pochi giorni di distanza la donna continuava a non migliorare ed in data 21.06.2015, insorgeva nella paziente stato febbrile trattato con Perfalgan e richiesta di indici di flogosi. Persistendo lo stato febbrile, in data 29.06.2015, giorno programmato per le dimissioni veniva effettuata emocoltura e, solo a partire da tale giorno, veniva avviata terapia antibiotica con Targosid.
L’esame di emocoltura, al secondo prelievo del 29.06.2015, risultava positivo per “Esterichia coli”. Nonostante il quadro clinico non evidenziasse un miglioramento delle condizioni, la sig.ra Franca veniva dimessa dal reparto riabilitativo, in data 13.07.2015, con segnalata iperpiressia e valori elevati di VES. Al termine del breve periodo a casa, la paziente venne nuovamente ricoverata in clinica e dopo un po’ di tempo accusò un rialzo febbrile importante, tanto che le analisi evidenziarono la presenza di un’altra infezione la “Klebsiella pneumoniae”.
A causa di queste patologie la donna, nata a Presicce (LE) il 23.02.1951, morì successivamente in data 19.10.2015.
Un decesso la cui responsabilità, secondo i familiari, è da attribuirsi alla clinica: la loro accusa è che l’infezione “nosocomiale” che ha condotto Franca alla morte sarebbe stata presa nel corso della degenza post operatoria. Rilevante, sempre per i parenti, sarebbe la circostanza che, nel periodo in cui la sig.ra Franca veniva
ricoverata e sottoposta ad intervento chirurgico, la “Città di Lecce Hospital” era interessata da opere di ristrutturazione con presenza all’interno della struttura di un cantiere.
Adesso i familiari per far valere le proprie ragioni, come prassi, assistiti dall’avvocato Dario Malinconico del foro di Lecce, intendono chiamare in giudizio la clinica davanti al tribunale competente: la (legittima) richiesta è di accertare la responsabilità dell’accaduto ed in caso di condanna dell’azienda sanitaria, a farle risarcire tutti i danni subiti «nella misura ritenuta di giustizia», senza indicare una somma. Sarà la Magistratura a dare tutte le risposte. Le cronache e non solo, osserva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti [1]”, associazione che nelle sue molteplici attività per la tutela dei cittadini, dà anche voce ed assistenza alle vittime della malasanità, ovvero a coloro i quali hanno subito danni ascrivibili ad errori medici, spesso ricercando le verità, da tempo riportano casi di morti sospette di cui i responsabili spesso sono le Infezioni Ospedaliere.
Entrare in ospedale per un banale intervento chirurgico e non uscirne vivi a causa di un’infezione contratta in sala operatoria, succede molto più frequentemente di quanto si possa immaginare ed è un fenomeno che va assolutamente frenato ed impedito. Ogni anno, in Italia, 15mila pazienti muoiono dopo essere stati operati. Al di là dei casi che coinvolgono le responsabilità dei sanitari – lungi da voler effettuare una campagna di generale criminalizzazione per l’insostituibile compito che svolgono quotidianamente a servizio della collettività – il 3 % dei decessi dipenderebbe da infezioni causate dagli impianti di aereazione, prima tra tutte quella provocata dal famigerato «Legionella Pneumophila», batterio-killer che provoca la morte nel quindici per cento dei casi.
Le infezioni più ricorrenti, che rappresentano da sole oltre l’80% sono quelle del tratto urinario, del chirurgico, dell’apparato respiratorio e infine quelle sistemiche (sepsi, batteriemie). Ma le infezioni del sistema urinario rappresentano il 30-35% di tutte le infezioni correlate all’assistenza. L’allarme arriva dall’Anmdo, l’associazione nazionale dei medici dirigenti ospedalieri che evidenzia quanto siano contaminate le sale operatorie e gli ospedali
e quindi a rischio infezioni.
L’Associazione Microbiologi Clinici Italiani sostiene che ogni anno in Italia sono circa 700mila le persone che contraggono un’infezione durante la permanenza in ospedale. Quelli che ci lasciano la pelle, su tutto il territorio nazionale, sono dirittura a 15mila, come detto. Dati che prima riguardano le sofferenze di vittime e dei loro parenti, ma che tradotti in danaro significano: una spesa aggiuntiva per il sistema sanitario nazionale di circa due miliardi di euro. Il costo per curare un’infezione ospedaliera in Italia è stato stimato, infatti, in circa novemila euro, secondo uno studio condotto dal Cergas della «Bocconi» di Milano.