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TAURIANOVA (RC), MERCOLEDì 18 DICEMBRE 2024

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Nave “Cavtat”: quei bidoni tossici recuperati al largo di Otranto Forse è ora di verificare le condizioni del relitto e di affrontare una ricerca controllare se vi siano altre “Cavtat” nel mare intorno alle coste pugliesi. Altro che ricerche petrolifere

Nave “Cavtat”: quei bidoni tossici recuperati al largo di Otranto Forse è ora di verificare le condizioni del relitto e di affrontare una ricerca controllare se vi siano altre “Cavtat” nel mare intorno alle coste pugliesi. Altro che ricerche petrolifere
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Era il 14 luglio 1974 quando a seguito di una terribile quanto assurda collisione
tra navi al largo di Otranto, affondava la nave “Cavtat”, poi oggetto di una
delle più importanti opere di recupero del carico che si siano registrate nei mari
italiani a seguito dell’attività d’inchiesta dell’allora pretore di Otranto
e poi senatore Alberto Maritati. In un bell’articolo del 05 marzo 2014, il giornalista
Gianni Lannes, ricordava che “/La Cavtat era partita il 28 giugno dall’Inghilterra,
porto fluviale di Manchester. Destinazione: Rijeka-Fiume. 2.800 tonnellate di carico.
E in più, duecentosettanta tonnellate di piombo, tetraetile e tetrametile, in 909
bidoni trasportati per metà sopracoperta e per l’altra metà nelle due stive.
La Lady Rita /[ndr l’altra nave]/, invece vuota, navigava in senso inverso:destinazione
Djela e Casablanca. Di questi, ufficialmente 863 furono recuperati nel 1978./”
Ed infine, sempre lo stesso giornalista pone un’inquietante domanda: “*/Una parte
dei veleni è ancora nel relitto della Cavtat?/*”. Ed è questo quesito che oggi,
specie dopo la diffusione dei dati epidemiologici sull’incidenza di tumori nel
Salento ed in particolare in alcuni comuni rivieraschi, torna nella mente per cercare
di comprendere se vi siano concause per quella che sembra una vera e propria epidemia
che si diffonde nella provincia di Lecce che probabilmente non è determinata da
una sola fonte, ma da più scaturigini che andrebbero tutte indistintamente vagliate.
Nel corso degli ultimi quarant’anni, infatti, molti si sono chiesti se le operazioni
di bonifica avessero risolto quello che poteva certamente essere un disastro ambientale
di proporzioni indefinibili, anche perché il relitto giace ancora a 93 metri di
profondità e solo a tre miglia dalla costa salentina, mentre risulta tuttora in
vigore l’ordinanza della capitaneria di Porto di Brindisi che vieta la navigazione
e la sosta in quel punto. Sembra dunque arrivata l’ora, rileva Giovanni D’Agata,
presidente dello “Sportello dei Diritti”, delle verifiche a partire dal Ministero
dell’Ambiente, data anche l’evoluzione delle tecniche e delle ricerche che si
è realizzata nel corso degli ultimi quattro decenni. Verifiche che vorremmo si estendessero
a tutta la costa salentina per controllare se vi siano altre “Cavtat” o altri
carichi pericolosi ancora in fondo al nostro meraviglioso mare, al posto delle inutili
indagini petrolifere.