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‘Ndrangheta, il potere delle cosche sulla Juventus

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Depositate le motivazioni della sentenza sul “caso Juve” che ha portato alla condanna di 14 persone. Saverio Dominello e il figlio Rocco erano, secondo quanto emerge dal dispositivo, conosciuti come “quelli del campo” negli ambienti della ‘ndrangheta. Il processo in Appello scaturito dall’operazione Alto Piemonte, terminato a Torino lo scorso 16 luglio, tra le sue varie articolazioni ha riguardato anche l’inserimento delle cosche nel business del bagarinaggio dei biglietti per le partite della Juventus.

I giudici riportano il sunto di una intercettazione in carcere nel 2015 di un colloquio i “fratelli Crea”, definiti “indiscutibilmente ai vertici del sodalizio ‘ndranghetista piemontese”, che si riferiscono ai Dominello come “quelli del campo”. L’espressione, secondo la sentenza, deve intendersi come “campo di calcio, posto che stanno discutendo di una divisa della Juventus che doveva essere regalata a un appartenente della famiglia Bellocco” di Rosarno. “E’ indubitabile”, da quanto sentenziato nel dispositivo, che ci sia stato “un interessamento diretto delle ‘locali’ piemontesi della ‘ndrangheta nella spartizione del business dei biglietti della Juventus”. Uno dei filoni dell’indagine riguardava le infiltrazioni delle cosche tra la tifoseria organizzata.

La sentenza della Corte d’appello ripercorre la storia dei rapporti tra boss, tifoseria organizzata e dirigenza bianconera, sposando quasi integralmente la ricostruzione dei pubblici ministeri. Compreso il passaggio in cui Rocco Dominello chiede al dg Beppe Marotta (mai indagato) di organizzare un provino per il giovane figlio di Umberto Bellocco. Con tanto di intercettazione in cui si sente un uomo, che ha appena mandato a Torino un curriculum del ragazzo, assicurare lo stesso Bellocco: “La richiesta che gli hanno fatto è che devono prenderlo e basta. Ok? Quindi devono prenderlo” (ma non risulta che il giovane sia poi entrato in squadra). Era da “almeno dieci anni” (secondo il pg Marcello Tatangelo) che la ‘ndrangheta aveva allungato le mani sulla spartizione dei biglietti, ma a vincere la partita nel 2012, fu Rocco Dominello, che approfittò di un “vuoto di potere” generato da un’ondata di arresti e, sfruttando l’amicizia con un ex capo ultras, Fabio Germani (condannato a quattro anni, cinque mesi e dieci giorni), si impose sui gruppi organizzati e prese il controllo di tutto.

Le carte processuali dipingono una Juventus intimidita, quasi succube. Il capo della biglietteria, Stefano Merulla, nel 2014 si sfoga con Germani: “(Dominello) l’hai portato tu, non io. Io non so che mestiere faccia, ma ho la percezione che abbia una influenza abbastanza forte all’interno della curva”. Era il “metodo mafioso”: un metodo che, dicono i giudici, non era nemmeno necessario manifestare apertamente. “La società – è scritto – era ben disposta a fornire ai gruppi ultras cospicue quote di biglietti e abbonamenti perché li rivendessero, ottenendo in contropartita l’impegno a non porre in essere azioni violente per spartirsi l’affare. Dominello garantiva l’equilibrio grazie alla sua ‘influenza’. La forza di intimidazione del sodalizio, tangibile per i dirigenti della Juventus, era spesa, silenziosamente, ma con indubbia capacità persuasiva, verso le migliaia di facinorosi dello stadio”. Ultras, ma anche funzionari della società influenzati dal potere intimidatorio del sodalizio criminale che aveva monopolizzato il bagarinaggio.