‘Ndrangheta Lombardia, 14 condanne a Milano Colpito il clan Galati affiliato alla cosca Mancuso
MILANO – Nuovo colpo alla ‘ndrangheta e alle sue ramificazioni nel nord Italia. A segnare un passaggio fondamentale nella lotta alla criminalità organizzata è la sentenza con cui il tribunale di Milano ha emesso quattordici condanne a pene che vanno dai 2 anni e i 5 mesi ai 10 anni e i 4 mesi.
Il processo, celebrato con rito abbreviato, ha riguardato le infiltrazioni della ‘ndrangheta nel Nord Italia e in particolare il clan Galati di Mileto ritenuto vicino al potente clan dei Mancuso di Limbadi, quest’ultimi considerati dagli stessi inquirenti tra le cosche più potenti d’Europa. Il giudice per l’udienza preliminare Giulio Fanales ha accolto la richiesta di 14 condanne e di una assoluzione avanzate dalla Procura meneghina. La pene più alte sono state 10 anni e 4 mesi per Antonio Galati, 64 anni, appartenente al ramo familiare dei Galati di Comparni di Mileto, nel Vibonese, 8 anni e 2 mesi per Fortunato Galati, 37 anni, appartenente ai Galati di San Giovanni di Mileto, figlio del boss Salvatore Galati (sta scontando l’ergastolo per duplice omicidio) e 8 anni per Antonio Denami, 30 anni di San Costantino Calabro (Vibo Valentia). Il giudice ha anche inflitto 7 anni a Luigi Addisi, originario di San Calogero (Vibo Valentia) e all’epoca dei fatti consigliere comunale a Rho (Milano). La pena più bassa è stata quella di 2 anni e 5 mesi e 10 giorni inflitta all’imprenditore di Gessate, nel milanese, Luigi Vellone. L’unico assolto, così come chiesto dai pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia Paolo Storari e Francesca Celle, è stato l’architetto del vibonese Francesco Barone, cognato di Pino Galati.
Le accuse a vario titolo sono di associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, falso, favoreggiamento, minacce aggravate ai danni di un direttore di carcere e detenzione illegale di armi. Dall’inchiesta, che nell’ottobre 2014 aveva portato i carabinieri del Ros ad arrestare 13 persone, era emerso, tra l’altro, che le cosche si erano accaparrate due sub-appalti della Tangenziale Est Esterna di Milano, una delle grandi opere collegate a Expo 2015, attraverso un’impresa, gestita da un presunto boss detenuto che sarebbe comunque riuscita ad ottenere la certificazione antimafia.