Nè coraggio, nè paura: Loredana Viola e il cancro Il coraggio di una taurianovese nell'affrontare una terribile malattia
“Benvenuta nel Club” questa frase dettami da una paziente del reparto di chirurgia oncologica dell’ospedale “San Vincenzo”, presso Taormina, ha reso materialmente tangibile il mio stato di salute, certo non avevo bisogno di conferme verbali per comprendere il significato di un accertato cancro al colon, fin dal primo momento del riscontro diagnostico ho assunto contezza della mia vulnerabilità, io… da sempre traino e punto di forza per gli altri improvvisamente mi scoprivo fragile.
Tralasciando le pur valide ragioni per cui un semplice “polipo al colon” si sia alterato in tumore, la sensazione umanamente piu’ considerevole si è rivelata quella relativa al senso del precario che ti risucchia completamente, pur non provando coraggio nel saper di dovere affrontare lo svantaggio a cui ero, ormai, sottoposta, ne’paura per il rischio di poter “mancare“.
Ho sempre ritenuto che le malattie potessero evolvere qualcosa nella spiritualità dell’intimo umano, che la cattiveria dovesse ritrovare il senso di pietà smarrito o mai posseduto e che la bontà potesse cullarsi su nuove riconferme, insomma una specie di consacrazione della clemenza che disconoscendo il male proclama il suo potere benefico sulle anime trafitte.
Ed invece no, mi si è rivelata una realtà di mezzo , ovvero che tutto rimane similare, la crudeltà di certa gente colpita dal male amplifica ancor di piu’ la sua rabbia e vede nell’integrità salutare degli altri una fallimentare occasione a tutela di se stessa, mentre la clemenza di altri cuori si riconferma solidale, suggella la sua visione caritatevole anche nel confronto con gli altri…
Sapermi ammalata ha riacceso, dunque, un contraddittorio interiore spogliato del freddo torpore a cui l’avevo destinato, un nuovo abito che non ho scelto di indossare, cucitomi addosso dalla sorte, dalla malasanità, dallo stress subito per opera di chi per apparire “vincente” sminuisce le abilità e le sensibilità altrui. Chissa’ !
Un vestito coi colori cupi del lutto, tinte fosche tatuate nella pelle che pur non riscontrandoli ad occhio nudo te li senti scolpiti addosso.
Pensieri, riflessioni rivolti ad un futuro amletico che per fortuna non coinvolge i tuoi affetti piu’cari; lieta sono stata di essere la portatrice del male, il coraggio di affrontare questa sfida da “spettatrice “ sarebbe stata traumatizzante come l’inadeguatezza dinanzi all’impotenza .
Anche il primario desiderio di isolamento si è generato dalla difficoltà ad accettare il nuovo “calendario ” di appuntamenti che mi attendeva , quasi come se … condividere con gli altri il nuovo esame da affrontare … gli trasmettesse maggiore potenza rispetto a quella a me necessaria … per combatterlo.
Interagire con me stessa mi ha resa piu’ forte, mi ha avvicinata, se mai non lo fossi mai stata, a chi come me doveva affrontare questa impresa, a chi non ha avuto la possibilità, come me, di poter affrontare le spese sanitarie di primo intervento, quelle che ti consentono di ricorrere al privato se il pubblico è “fuori portata” o negligente, o scavalcare le liste d’attesa quando la burocrazia non conosce ne’ clemenza ne’ compassione, o di anticipare la corsa contro il tempo implacabile quando trattasi di malattie che galoppano aggressivamente così come declamano tecnicamente i medici quando te li rappresentano, o forse semplicemente perchè esiste un destino … Chissa’
Ho provato un profondo senso dell’ingiusto sapere di avere un opportunità piu’ degli altri, vivendola da ingrata piu’ che da riconoscente debitrice perché ho sempre pensato che le “possibilità“ vadano riconosciute universalmente, senza distinzioni sociali o economico- culturali.
Ho imparato che devi inchinarti alla scienza, e se avverti la sensazione di non doverlo a te stessa si sovrappone ad essa l’amore per chi ti è vicino, pensi … che “ pensare “ è una delle ultime possibilità che ti viene concessa, ovvero l’occasione di rimettere a posto i conti sospesi…
Ma poi “pensando” scopri che le cose incompiute in salute … hanno lo stesso valore in malattia, le scelte fatte non pregiudicano nulla rispetto alla nuova condizione, ritieni di non dover rimediare se l’offesa l’hai subita ingiustamente, di non poter “dimenticare” se in salute non sei stata rispettata perchè non è il pietismo d’occasione a rimodulare i sentimenti o a legittimare il perdono, essi rimangono avvinghiati ad un orgoglio sano o malsano che sia …ma che comunque fa parte di te, ha accompagnato le tue esperienze, si è addormentato al fianco delle tue amarezze, si è svegliato accanto delle tue sconfitte.
Morale della favola è che la vita non lo è … che i buoni sentimenti vanno manifestati nella buona e nella cattiva sorte, che la malvagità va ostacolata al momento stesso del suo tentativo di invasione, che l’aldilà nel suo concetto di eterno non esiste per tutti ma rappresenta un enigma umanamente arcano … che non da’ certezza di sconti o di condanne, i banchi di prova bisogna superarli in vita ed in piena salute senza il condizionamento della coscienza che si adopera a riscattare un posto in paradiso nel momento in cui avverte che in terra non l’ha meritato , perché se la “casa del padre” ha vita … allora esiste anche il fuoco della dannazione e le fiamme del giudizio finale non assolvono nessuno soprattutto se la ricerca della redenzione rappresenta il desiderio di espiazione dell’ultimo respiro e non una consapevole scelta di vita.
Loredana Viola