Nel nome del Padre
redazione | Il 18, Apr 2014
Editoriale di Bartolo Ciccardini
Nel nome del Padre
Editoriale di Bartolo Ciccardini
Noi cominciamo la nostra giornata e tutte le nostre preghiere con un
incipit che è una sorta di indirizzo, di suffisso telefonico, di password:
“Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. ma che cosa
significa? Cominciamo col notare che è stato lo stesso Gesù a dettare questa
e-mail, nel giorno della fine della sua missione: “Battezzate tutti nel Nome
del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.
Il battesimo è, nella fede cristiana, la concessione della veste candida che
ti permetta di entrare nel Regno. La cerimonia della purificazione
attraverso l’acqua è antichissima: la Scrittura dice chiaramente che, quando
Davide vide dalla sua terrazza Betsabea che si bagnava, assisteva ad un rito
della purificazione. I farisei si lamentavano che i discepoli di Gesù non
facessero le abluzioni prima di mangiare.
Anche il battesimo di Giovanni, chiamato appunto il Battista
(battezzatore), era un segno lustrale ed il simbolo stesso della
conversione. Gesù stesso chiese il battesimo, con il rito di Giovanni, nelle
acque del Giordano. Gesù, che non aboliva nulla del passato, ma che tutto
reinventava, non toccò nulla della cerimonia di Giovanni, ma diede al
battesimo l’attuale significato di “ingresso” nel Regno”. Ma perché Gesù ha
premesso la formula”Nel Nome” piena di mistero e di valore. Perché?
Non è l’unica volta che Gesù parla del “nome”. Nella preghiera che ci ha
insegnato, la prima frase è altrettanto misteriosa: “Sia santificato il tuo
Nome”. Lo diciamo molto spesso con superficialità oppure con compunzione, ma
a me sembra di non averne ben chiaro il significato. Non ci rivolgiamo al
“tutto santo”, al santo per eccellenza, a colui che ci fa santi con la sua
misericordia, a colui che ci santifica con il suo amore? Non siamo certo noi
che possiamo santificare il creatore. A chi chiediamo che sia santificato il
Padre? Qualche volta mi sono domandato se per caso non ci sia un errore di
traduzione.
Si può pensare che questa sia un’espressione di lode, che voglia dire: il
tuo nome sia lodato, sia riconosciuto, sia adorato? La lode è certamente
una forma di preghiera altissima. Anzi, è addirittura la prima forma di
preghiera in cui in fondo non si prega. La lode è fine a se stessa. Mentre
la preghiera è fatta per chiedere qualcosa, la lode è gratuita. La lode è la
gioia di acclamare, di riconoscere e di amare.”Ti rendo lode, o Signore”-
dice Gesù (Mt 11,25-26) – “perché hai rivelato ai piccoli queste cose”.
La lode a Dio è anche il riconoscimento della creazione e della sua
bellezza. Dio loda se stesso alla fine della creazione: “E Dio vide che
tutto quello che aveva fatto era davvero molto bello”(Gen.1-31). E
Francesco: ” Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile
et humile et pretiosa et casta”. “Sia santificato il tuo Nome” forse vuole
esprimere una lode perché la creazione è bella anche per noi? Ma forse il
Nome non è semplicemente il riconoscimento, la carta di identità,
l’indirizzo di Dio.
Va qui annotato che il riconoscimento di lode è anche una testimonianza ed i
testimoni sono chiamati in greco “martiroi”. Il martirio è l’estrema lode a
Dio, come cantano i tre giovani nella fornace di Babilonia, un esempio di
lode fino al martirio. Il vescovo martire Ignazio si prepara al martirio
ringraziando Iddio per averlo scelto. Questo mi fa venire in mente un
episodio bello della Resistenza romana. Nell’intervista che ho fatto a
Gianluigi Rondi sulla memoria dei cattolici comunisti di Roma impegnati
nella Resistenza, Rondi mi raccontò, sorridendo, che D’Amico, arrestato, gli
mandò un messaggio criptato, per comunicargli l’arresto. Ed il messaggio era
una preghiera in latino allora molto usata nella liturgia: “Regina coeli
laetare, alleluia”. Regina Coeli era il carcere di Roma.
Ho trovato una citazione impropria , a rovescio, del profondo significato
del “nome” in un documento che presenta Gesù, come un mago imbroglione. Va
subito spiegato che il documento non è accettato dagli storici come fonte
valida. Infatti è le famosa narrazione della vita di Gesù fatta dai suoi
detrattori, scritta nel primo medioevo, forse provocata dalla pressione di
un proselitismo aggressivo delle comunità barbare che si stavano aggregando
attraverso il cristi anesimo. Siamo nell’anno mille e già
duecento anni prima Carlomagno aveva adottato la politica della conversione
forzata di interi popoli. L’anno mille segna l’inizio delle conversioni
“politiche” di tutto l’oriente europeo, dall’Ungheria alla Russia. In questa
condizione storica si può comprendere che una comunità, come quella ebraica,
messa in difficoltà, si difenda con una versione piuttosto dura della storia
di Gesù di Nazaret, usando tradizioni e notizie anche infamanti. Tutta la
critica storica esclude che nell’anno mille ci fosse la possibilità di avere
documenti certi, tenendo anche conto che l’insegnamento ebraico
contemporaneo alla vita di Gesù si era occupato pochissimo dell’episodio,
breve e non inconsueto in quei tempi, della sua predicazione e del suo
processo.
In questo libello anticristiano si cerca di spiegare come Gesù fosse capace
di prodigi, che utilizzava per confondere i credenti. Il documento, le
Toledot Jeshu, cosi si esprime: “Jeshu giunse (nel Tempio di Gerusalemme) e
apprese le lettere del Nome Ineffabile di Dio (usando le quali si può
realizzare tutto ciò che si desidera)….La storia continua narrando i prodigi
ed i miracoli che furono la causa dell’arresto e dalla condanna di Gesù.
Mi ha colpito l’idea che i prodigi fossero ritenuti possibili per la
conoscenza delle lettere del Nome. Non possiamo neppure accettare che la
conoscenza del Nome sia una sorta di parola magica che permette al
possessore di compiere prodigi ed inganni. Tuttavia nel racconto resta pur
sempre la traccia della importanza del Nome di Dio nella fede ebraica.
Ma nelle Scritture, il Nome è anche “colui che è”, la parte intima ed
essenziale della persona. Adamo conosce le creature del creato e dà ad esse
il loro nome e cosi ne prende possesso. Quando Mosè chiede al Signore:
“Quale è il tuo nome, perché io possa dire a quelli che mi aspettano nel
deserto chi è il nostro Dio?”, il Signore risponde che il suo Nome non può
essere nominato e può essere adombrato solo da un’indicazione: “Io sono
Colui che è”. (Es3,14).
Una volta andai a visitare la bella sinagoga di Roma e la persona che ci
guidava ci spiegò che i rotoli della Scrittura erano ornati da cose preziose
e tenuti in contenitori preziosi perché contenevano il Nome di Dio. In
alcuni mistici ebrei tutte le lettere della Scrittura formano il nome di
Dio. E dappoiché vengono scritte solo le consonanti senza le vocali, il nome
è misterioso ed impronunciabile.
Anche noi dicendo “Sia santificato il Tuo Nome” sembriamo voler coprire di
oro e di argento la traccia di Dio, impreziosirla, partecipare alla santità
del suo nome, lodando la sua creazione
Ma abbiamo un altro indizio. Quando David affronta Golia dice:” Tu vieni
contro di me con spada lancia e giavellotto, ma io vengo contro di te nel
Nome del Signore, il Dio degli eserciti. (…) il Signore non ha bisogno di
spada e di lancia per vincere”.
Nel nome del Signore è come dire, per conto di lui e come testimone della
sua volontà. Gesù dà un nuovo attributo per indicare il Signore e lo chiama
Padre, denominazione non sconosciuta nelle antiche scritture. Ed aggiunge
altri attributi, anche questi non del tutto sconosciuti, Figlio e Spirito.
Ci incamminiamo per sentieri asperrimi per noi: queste cose, che sono state
rivelare ai piccoli, sono invece sentieri di alta montagna, per noi che
crediamo di essere saggi.
Nel battesimo, quando diciamo: Nel nome del Padre ci facciamo forti di
quella fatica con cui David abbatte il Golia della guerra, il Golia della
morte, armato di spada, lancia e giavellotto. E’ il Nome che vince, è il
Nome che rende santa la nostra fatica. Forse per questo lo preghiamo: sia
santificato il tuo Nome (dalla nostra fatica) .
Giovanni (l’evangelista) ci ricorda un ulteriore significato insegnato da
Gesù stesso. Il discepolo giovanissimo, attento ai particolari, ci narra un
attimo di smarrimento di Gesù. Dopo aver richiamato in vita Lazzaro, la sua
fama è cresciuta e provoca la decisione di Caifa : Gesù è un pericolo che
compromette il difficile equilibrio politico su cui si basa la vita del
Tempio, governato da un gruppo di sadducei, favorevoli ai Romani, che
rifiutano però la nomina del Senato romano di Archelao, re di Giudea. In
questo difficile equilibrio politico, la popolarità di Gesù può mettere in
moto una ribellione messianica che potrebbe scatenerebbe la repressione
romana. Cosa che puntualmente accadrà fra pochi decenni. Quindi è necessario
che “uno solo venga sacrificato per salvare la vita a tutti”. Racconta
Giovanni che, dopo le acclamazioni di Gerusalemme, Gesù dice:” Sono
profondamente turbato. Che devo fare? Dire al Padre: fammi evitare questa
prova? Ma è proprio per questo che sono venuto: “Padre glorifica il tuo
Nome!” La prova di Gesù, la sua passione, la sua morte, la sua resurrezione
sono la gloria del Nome di Dio. Nell’obbedienza di Gesù, il Padre glorifica
il suo Nome, quella cosa inconoscibile e terribile parola che esprime la
potenza e la gloria quando viene invocata.
Gesù è come Davide ed è pronto a sfidare la morte per vincerla “nel nome del
Signore”, per la maggiore gloria di lui, se c’è un David che sia pronto ad
affrontare con obbedienza la prova, invocando il suo Nome. E tutti nel
nostro piccolo preghiamo che Dio ci renda capaci di affrontare la nostra
prova, nel Nome del Padre.
Il grande Creatore si trasforma in pellegrino perché, stanco delle lodi
degli angeli, aspira all’amore di questa creatura imperfetta, ma libera,
capace di tradirlo e di offenderlo, ma anche, liberamente di amarlo. Questa
è la sua gloria, questa la sua scommessa con l’angelo ribelle a causa della
gelosia causata dalla preferenza che Dio sembra mostrare per l’uomo, questa
creatura ambigua ed imperfetta, a cui concede il potere di aggiungere, con
il suo imperfetto amore, gloria e santità al suo Nome.