Nessun criterio presuntivo per le bollette dell’acqua Anche i giudici sostengono le tesi dell’Unc Calabria
Fioccano finalmente le sentenze su quanto l’Unione Nazionale Consumatori Calabria va affermando da anni e cioè che non possono essere emesse bollette relative al consumo di acqua calcolate con criteri presuntivi.
E’ proprio quello che accade da anni, afferma l’avv. Saverio Cuoco presidente regionale dell’associazione, e cioè una moltitudine di bollette del servizio idrico venivano e vengono inviate ai contribuenti con importi conteggiati su criteri di carattere presuntivo o forfettario, non avendo accertato correttamente i consumi attraverso la regolare e periodica lettura dei relativi contatori.
A tale proposito, si è riscontrato più volte, (guarda caso) che siano penalizzati i cittadini rei di non aver provveduto ad eseguire l’autolettura dei contatori per la misura delle somministrazioni idriche, ai quali vengono illegalmente attribuiti consumi di acqua fondati su criteri esclusivamente presuntivi, determinando così richieste di importi anche di migliaia di euro per abitazioni occupate anche da una sola unità, quando a tale proposito il regolamento prevede espressamente che a tale operazione debba provvedere il Comune tramite i propri incaricati, in quanto l’operazione di autolettura è soltanto un’attività che viene eseguita spontaneamente dai cittadini per agevolare gli interventi di verifica dei consumi ed in caso di assenza non devono subire alcuna penalizzazione.
Si rammenta che come cita l’art 51 del regolamento per la gestione del servizio idrico approvato con delibera della terna commissariale, il consumo dell’acqua di ciascun utente è accertato dagli incaricati del Comune, pertanto spetta ad esso calcolare le tariffe in proporzione al consumo d’acqua utilizzato.
A tale proposito, l’Unione Nazionale Consumatori Calabria, ha chiesto finora inascoltata, di avere un incontro con gli attuali amministratori del Comune di Reggio Calabria per rivedere e modificare gli attuali regolamenti del servizio idrico, e non solo, emanati dalla terna commissariale che contengono numerose clausole vessatorie nei riguardi dei contribuenti e che saranno sottoposte al più presto al vaglio delle Autorità competenti, basti considerare a titolo di esempio che il successivo articolo 52 del regolamento sul servizio idrico prevede che il Comune pretenda dall’utente il pagamento di un quantitativo minimo di consumo di acqua, anche se non consumato o pari a zero, quando la deliberazione n° 52 del 2001 del CIPE (Comitato Interministeriale per la programmazione economica) ha abolito il “quantitativo minimo” imponendo ai Comuni di far pagare solo ed esclusivamente quanto effettivamente consumato.
Finalmente con la recente sentenza di Giugno del 2015 a ribadirlo interviene anche il Giudice di Pace di Reggio Calabria che su ricorso predisposto dall’Avv. Maria Vittoria Falzea, legale dell’associazione, su fatture emesse per il recupero di differenza consumi anni pregressi determinati in via presuntiva, evidenzia preliminarmente che il rapporto costituitosi tra il privato cittadino ed il Comune, ha natura privatistica, sicchè assume la qualifica di contratto di somministrazione e pertanto ne consegue che il Comune per potere legittimamente pretendere un maggior corrispettivo rispetto a quello contrattualmente pattuito per la fornitura idrica annuale, dovrà dimostrare che l’utente ha realmente consumato un quantitativo di acqua maggiore rispetto a quello pattiziamente concordato.
Nel caso di specie il Comune non ha fornito alcuna prova dell’avvenuta lettura del contatore, né ha indicato il giorno in cui l’addetto comunale si è recato per il suddetto controllo, né se l’utente fosse presente al momento del rilevamento dell’eccedenza.
Un corretto accertamento rileva il Giudice di Pace, per essere tale, deve contenere una data precisa e, per effettuare il calcolo è indispensabile che siano indicate data ed entità del precedente accertamento e che lo stesso avvenga alla presenza dell’utente per dare la possibilità allo stesso di conoscere il consumo ed eventualmente contestarlo al letturista e all’ufficio preposto.
A nulla inoltre è valsa la circostanza che il Comune per correre ai ripari, si affrettasse nel corso del giudizio ad annullare la fattura emessa su calcoli presuntivi dell’importo di euro 2.388,80 a titolo di canone acqua, reflue e depurazione, infatti il Giudice di Pace ha ribadito a tale proposito che l’Amministrazione comunale, usando la normale diligenza, avrebbe potuto intervenire prima senza costringere l’interessato a proporre opposizione, pertanto, in ragione della soccombenza, il Comune viene condannato al pagamento delle spese del giudizio.