Obesità e discriminazione sul lavoro. Per la Corte di giustizia UE l’obesità patologica può comportare una «disabilità»
Giovanni D'agata | Il 22, Lug 2014
Stop ai pregiudizi contro le persone dalle “taglie forti”. Lo Sportello dei diritti: “Subito una legge unica valida in tutta Europa”
Obesità e discriminazione sul lavoro. Per la Corte di giustizia UE l’obesità patologica può comportare una «disabilità»
Stop ai pregiudizi contro le persone dalle “taglie forti”. Lo Sportello dei diritti: “Subito una legge unica valida in tutta Europa”
Alcuni studi condotti nei decenni precedenti avevano messo in luce quanto i pregiudizi
sull’obesità in ambito lavorativo si fondassero su alcuni stereotipi negativi
frequentemente attribuiti alle persone grasse o sovrappeso quali l’essere pigri,
poco coscienziosi, meno competenti o emotivamente instabili. Una recente sentenza
della Corte di giustizia UE nella causa C-354/13 FOA, tra Karsten Kaltoft / Kommunernes
Landsforening (KL), per conto del Comune di Billund ha dichiarato che l’obesità
patologica può comportare una «disabilità» ai fini della direttiva sulla parità
di trattamento in materia di occupazione. Secondo l’avvocato generale Jääskinen,
riporta il comunicato della Corte “/mentre non sussiste un principio generale del
diritto UE che vieti la discriminazione fondata sull’obesità in sé, l’obesità
patologica può ricadere nel concetto di «disabilità» se è di un livello tale
da ostacolare la piena partecipazione alla vita professionale o un livello paritario
con gli altri lavoratori. Ai fini di favorire il principio della parità di trattamento,
la direttiva per la parità di trattamento in materia di occupazione1 stabilisce
un quadro generale contro la discriminazione in materia di occupazione e di condizioni
di lavoro. Ai sensi di tale direttiva, in materia di occupazione è vietata la discriminazione
basata su motivi di religione, di credo, di disabilità, di età e di orientamento
sessuale. Inoltre, diversi articoli dei Trattati e della Carta dei diritti fondamentali
riguardano la questione della discriminazione e della disabilità, segnatamente l’articolo
21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea vieta “qualsiasi
forma di discriminazione fondata, in particolare, sugli handicap”. Nessuna di tali
norme contiene un riferimento esplicito all’obesità.//Karsten Kaltoft ha lavorato
per quindici anni per il Comune di Billund in Danimarca come babysitter occupandosi,
nel proprio domicilio, di bambini di altri, sino a quando è stato licenziato in
data 22 novembre 2010. Il calo del numero di bambini veniva menzionato quale ragione
del licenziamento, sebbene non fosse stata data una ragione esplicita per la scelta
del sig. Kaltoft. Durante la sua occupazione il sig. Kaltoft non ha mai avuto un
peso inferiore a 160 kg e, dato il BMI pari a 54, era pertanto considerato obeso.
Benché l’obesità del sig. Kaltoft sia stata argomento di discussione all’audizione
per il licenziamento, le parti sono in disaccordo quanto al modo in cui si è giunti
a discuterne e il Comune nega che tale argomento abbia costituito parte della motivazione
della decisione di licenziamento. Il sig. Kaltoft, comunque, considerando che il
suo licenziamento trova origine in un’illegittima discriminazione nei suoi confronti
in ragione del suo peso ha agito dinanzi ad un Tribunale distrettuale danese chiedendo
il risarcimento dei danni conseguenti a tale discriminazione.//Il Retten i Kolding
(Tribunale di Kolding, Danimarca), nel corso dell’esame del ricorso del sig. Kaltoft,
ha chiesto alla Corte di giustizia di chiarire se il diritto UE, segnatamente il
Trattato e la Carta, includa un autonomo divieto di discriminazione in ragione dell’obesità.
In subordine, chiede se l’obesità possa essere qualificata quale disabilità e
pertanto ricada nella sfera della nella direttiva sulla parità di trattamento in
materia di occupazione.//Nelle sue conclusioni odierne, l’avvocato generale Niilo
Jääskinen sottolinea che nessuno degli articoli del Trattato o della Carta si riferisce
espressamente all’obesità quale ragione, vietata, di discriminazione. Pertanto,
un siffatto divieto potrebbe sussistere solo quale parte di un divieto generale di
qualsivoglia tipo di discriminazione nel mercato del lavoro, derivante dal tenore
indeterminato dell’articolo 21 della Carta. La Carta, comunque, è vincolante per
gli Stati membri solo quando questi ultimi attuano il diritto UE, e non sussisteva
alcuna indicazione nel senso che la Danimarca stesse attuando una disposizione di
diritto UE posta a fondamento di un divieto //generale di discriminazione nel mercato
del lavoro. L’avvocato generale sottolinea che tutti gli atti normativi dell’Unione
che vietano comportamenti discriminatori si riferiscono a specifiche ragioni di discriminazione
nell’ambito di determinate aree tematiche, piuttosto che precludere qualsiasi trattamento
discriminatorio in termini generici. L’avvocato generale Jääskinen, pertanto,
conclude che non sussiste un autonomo divieto generale di discriminazione in ragione
dell’obesità nel diritto UE. Quanto alla questione se l’obesità possa essere
classificata quale «disabilità» secondo la direttiva per la parità di trattamento
in materia di occupazione, l’avvocato generale sottolinea che, mentre il concetto
di disabilità non è definito dalla direttiva, la Corte ha statuito che una «disabilità»
in tale contesto si riferisce a limiti risultanti da menomazioni durature fisiche,
mentali o psicologiche che, interagendo con svariati ostacoli, possono limitare la
piena ed effettiva partecipazione della persona ad una vita professionale su base
paritaria con altri lavoratori. Anche se non ogni infermità ricadrebbe in tal modo
nell’ambito di tale nozione di disabilità, talune infermità, se diagnosticate
clinicamente e risultanti in limitazioni durature, possono essere classificate quali
disabilità ai fini della direttiva. //L’avvocato generale Jääskinen evidenzia
che la disabilità risulta dall’interazione tra le persone con menomazioni e gli
ostacoli di atteggiamento ed ambientali che limitano la loro piena ed effettiva partecipazione
sul luogo di lavoro. Dato che la direttiva è intesa a lottare contro ogni forma
di discriminazione fondata sulla disabilità, non deve effettuarsi alcun collegamento
tra il lavoro considerato e la disabilità in questione. Anche se una condizione
non incide sulla capacità di quella persona di svolgere lo specifico lavoro in questione,
può ancora sussistere un impedimento alla piena ed effettiva partecipazione su base
paritaria con gli altri. Possono sussistere menomazioni durature, fisiche, mentali
o psicologiche, che non rendono impossibili taluni lavori, ma che rendono lo svolgimento
di quel lavoro o la partecipazione alla vita professionale oggettivamente più difficili
e impegnativi. Tipici esempi in tal senso sono costituiti da handicap che pregiudicano
gravemente la mobilità o riducono in modo significativo sensi quali la vista o l’udito.
Pertanto, non occorre che sia impossibile per il sig. Kaltoft svolgere il proprio
lavoro di babysitter per il Comune di Billund perché questi possa fondarsi sulla
tutela contro la discriminazione fondata sulla disabilità fornita dalla direttiva.
L’avvocato generale chiarisce che, pur non sussistendo alcun obbligo di mantenere
l’impiego di un individuo che non sia in grado di svolgerne le relative funzioni
essenziali, dovrebbero essere adottate misure ragionevoli per agevolare gli individui
disabili a meno che l’onere per il datore di lavoro sia sproporzionato. //Pertanto,
l’avvocato generale Jääskinen considera che l’obesità, se ha raggiunto un
livello tale da ostacolare chiaramente la partecipazione alla vita professionale,
può costituire una disabilità. A suo parere, solo un’obesità estrema, grave
o patologica, vale a dire un BMI superiore a 40, potrebbe essere sufficiente a creare
limitazioni, quali problemi di mobilità, resistenza e umore, che corrispondono alla
«disabilità» ai sensi della direttiva. //Sarà compito del giudice nazionale
determinare se l’obesità del signor Kaltoft ricada in tale definizione.//Infine,
l’avvocato generale aggiunge che non rileva l’origine della disabilità. La nozione
di disabilità è oggettiva e non dipende dalla circostanza che il ricorrente abbia
contribuito a causare la sopravvenienza della propria disabilità con un eccessivo
apporto di energie «auto-provocato». Diversamente ragionando una disabilità fisica
risultante dall’avventata assunzione di rischi alla guida o nello sport sarebbe
esclusa dalla nozione di disabilità”. /
//Per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il requisito
della “bella presenza”, anche quando non richiesto, spesso diventa un fattore di
selezione determinante. Per esempio per una donna preparata e anche attraente è
più semplice trovare lavoro. Negli Usa, dove l’allarme obesità ha da tempo superato
il livello di guardia, alcune aziende pubblicano annunci chiedendo di inserire nel
CV l’indice di massa corporea: l’unico stato in America ad aver legiferato contro
la discriminazione delle persone in sovrappeso è il Michigan. Anche in Italia la
situazione comincia a farsi seria. Da noi le persone che lottano con la bilancia
sono oltre il 36% (gli uomini più numerosi delle donne, 45,6% contro 28,1%) e dal
1994 gli obesi sono aumentati del 25%. Oggi le persone in sovrappeso in Italia sono
6milioni, il 10% della popolazione. Per questo motivo, lo “Sportello dei Diritti
[2]” chiede all’Italia misure da porre in essere per contrastare questa forma di
discriminazione. In ogni caso, se una persona obesa viene discriminata nell’accesso
al lavoro, nelle mansioni assegnate o nella paga per la sua obesità, può rivolgersi
alla nostra associazione, che la aiuterà a far valere i propri diritti.