Oggi a Palmi gli errori giudiziari che hanno stravolto la vita delle persone e delle aziende Alle ore 16.30 presso la Casa della Cultura organizzato da "Il Riformista", "Nessuno tocchi Caino" e la "Camera Penale di Palmi". Tra i casi in discussione quello di Luigi Longo direttore di Approdo Calabria
Il 29 maggio del 2009 l’imprenditore ed editore del giornale Approdonews Luigi Longo, venne arrestato con l’accusa di associazione a delinquere, ricettazione e contraffazione. Nello specifico Longo era accusato, insiema ad altre dieci persone, di aver costituito un’associazione a delinquere operante sia in Italia che all’estero, con lo scopo ultimo di sdoganare presso il porto di Gioia Tauro merce contraffatta (scarpe Nike), stoccarla a Roma per poi farla partire alla volta della Repubblica Ceca. L’arresto di Longo partì da una telefonata, registrata il 13 ottobre del 2008, alle 8.16, nella quale, secondo gli inquirenti, veniva evidenziata “in maniera chiara la contiguità dei sodali calabresi alle cosche Piromalli-Molè ed Alvaro, risultando verosimile l’assunto che senza un contributo di queste tutta l’attività criminosa posta in essere non avrebbe mai avuto luogo”. Nell’ordinanza di custodia cautelare si legge che “Luigi Longo veniva contattato da ‘Paolo’, il quale riferiva della notizia appresa circa gli arresti effettuati dalle forze dell’ordine ai danni di esponenti della cosca Piromalli-Molè, e quindi aveva voluto telefonare ‘per controllare’. Nella circostanza l’interlocutore faceva chiaro riferimento all’operazione denominata ‘Cent’anni di storia’ e, contrattando Longo per verificare come stessero le cose, lasciava implicitamente emergere la vicinanza di quest’ultimo alla cosca attenzionata dalla Pg”.
Nella telefonata intercettata, che riportiamo integralmente, una parte di rilievo per stabilire l’estraneità di Longo, è stata però omessa. Ecco come si è svolta in realtà la conversazione telefonica:
Longo: Paolino…
Paolo: oi… come stai?
Longo: sei già in viaggio?
Paolo: eh… si… io ho già portato i bambini all’asilo… oh…
Longo: oh…
Paolo: o ma… ho sentito alla radio ‘raffica di arresti a Gioia Tauro’… e ho detto va… fammi controllare…
Longo: a chi hanno arrestato stamattina?
Paolo: eh…
Longo: a chi hanno arrestato? hanno detto i nomi?
Paolo: eh… aspetta… del clan… qualche amministratore… del clan dei Chiro… Chiro… boo…
Longo: Chiro?
Paolo: Chiro… qualcosa del genere… no come il cognome…
Longo: Piromalli… Molè?
Paolo: Piromalli… esatto!
Longo: ah…
Paolo: clan dei Piromalli… ed alcuni amministratori di Gioia Tauro
Longo: azzo!!
Paolo: eh…
Longo: vabuò… ok…
Paolo: (ride)… io come battuta ho detto: “Va… fammi controllare se è tutto a posto…”
Longo: noi siamo solo vittime di questa storia (frase omessa dagli inquirenti)
Paolo: ma certo…
Longo: ciao bello mio…
Oltre ad aver omesso la frase intercettata, un altro errore gravissimo è stato fatto dagli inquirenti nei confronti di Luigi Longo. L’imprenditore infatti è stato accusato di essere vicino alle cosche della ‘ndrangheta sulla base di ciò che a parere degli inquirenti sarebbe emerso dal procedimento “Cent’anni di Storia”. Orbene, in quel procedimento Longo era stato, invece, testimone del P.M. contro le cosche che avevano tentato la scalata alla Cooperativa All Services. Ecco infatti quanto si legge nella sentenza:
“Tra di esse, di maggior rilievo appare senz’altro quella resa il 22.01.2010 dal teste Longo Luigi, il quale, in estrema sintesi, conferma in toto le dichiarazioni rese da Aldo Alessio, unitamente al quale e con il Morgante egli fu socio fondatore della All Services ed assieme ai quali, in data 17.01.2006, denunciò al Dr Arena, della Squadra Mobile di Reggio Calabria, la potenziale infiltrazione della ‘ndrangheta nei circuiti di quella società cooperativa, e ciò a cagione della presenza dentro la stessa di Molè Girolamo cl. 63, detto Gancio, cugino dei più noti Molè, il quale si serviva per i suoi scopi del socio lavoratore Arena Giuseppe.
Queste informazioni, di cui si è appena detto, il Longo le ebbe ad apprendere da due lavoratori di quell’azienda, a nome Italiano Espedito e Facciolo Antonio (definiti dal teste come due soggetti affidabili), dai quali aveva saputo- perché quella era una voce diffusa che circolava all’interno dei magazzini della società- che il Gancio voleva acquistare la predetta cooperativa, approfittando di quella sua fase di liquidazione e si era addirittura spinto a sollecitare i lavoratori a versare le quote sociali, per raggiungere il suo obiettivo finale che era quello di ricapitalizzare l’azienda, alla quale avrebbero provveduto alcuni” imprenditori locali che erano interessati a far fronte al tutto” (pagg. 16 e ss).
Sul conto dell’Arena, in modo del tutto calibrato, il teste afferma che lo stesso, fin tanto che non si era avvicinato al Molè, era sempre stato un onesto lavoratore; che si era battuto con forte passione sindacale nell’interesse dell’azienda e dal quale, comunque, lui non era mai stato minacciato, seppure con il predetto imputato non corresero negli ultimi tempi buoni rapporti , poiché il Longo sosteneva le ragioni dell’Alessio, a cui l’altro era contrapposto.
Chiarisce, ancora, il medesimo teste che non ebbe mai modo di vedere l’Arena in compagnia del Molè all’interno della All Services, ma solo all’esterno di essa ed in una sola occasione.
Conferma poi- a domanda di uno dei difensori- di essere in quel momento detenuto agli arresti domiciliari per un procedimento penale, istruito dalla Procura di Roma, relativo al delitto di associazione finalizzata alla contraffazione, per fatti relativi alla società M.C.S., operante nel porto di Gioia Tauro e della quale egli faceva parte. Prende, tuttavia, le distanze dalle imputazioni che gli erano state mosse e, proclamando la sua innocenza, si dice pronto a difendere le sue ragioni nel dibattimento che di lì a pochi giorni si sarebbe celebrato.
Ad ogni modo, a tutela della propria onorabilità, rammenta, in ultimo, che nell’anno 2001 egli stesso era stato componente attivo di un comitato antiracket costituito in ambito portuale e, in quella veste, aveva personalmente denunciato prima alle forze dell’ordine e poi deposto in dibattimento, nei procedimenti riuniti e denominati Conchiglia e Tallone d’Achille, in merito ad un’estorsione che tale ingegner Chierego della Prefabbrica- che era un loro associato- aveva patito da parte di tale Loiacono Agostino, soggetto ritenuto legato alla cosca Molè (vds sul punto la sentenza acquisita in atti e prima citata).
Le dichiarazioni di questo testimone, così come quelle dell’Alessio, appaiono a questo Collegio del tutto attendibili sia perché si riscontrano vicendevolmente, oltre al fatto che in relazione ad esse nessuna delle parti ha lontanamente lasciato intravedere un possibile accordo calunnioso dei due dichiaranti a carico del Molè o dell’Arena, sia, soprattutto, perché le stesse risultano confermate oltre misura dal contenuto delle conversazioni telefoniche ed ambientali, di cui si dirà a breve, il che consente a questo Tribunale di non spendere troppe parole sull’attendibilità del Longo, ancorché lo stesso, in quel momento, versasse in uno stato detentivo; profilo quest’ultimo che, di per sé solo, ed in mancanza di ulteriori elementi, non può essere in grado per screditare il narrato di un dichiarante, specialmente quando- come nel caso di cui ci si occupa- fu proprio grazie alle sue dichiarazioni di denuncia che hanno preso avvio, seppure in tempi diversi, sia i procedimenti Conchiglia e Tallone d’Achille, che l’attuale”.
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Dopo oltre 5 anni è crollato miseramente il teorema del Pubblico Ministero Salvatore Vitello con una sentenza, quella della prima sezione del Tribunale di Roma, che dimostra come il degrado della giustizia sia arrivato ad un punto preoccupante. Alcuni dei legali, vista l’inconsistenza delle prove portate dall’accusa in dibattimento, avevano provocatoriamente sollecitato la Procura della Repubblica a scusarsi con gli imputati ¬tutti cittadini incensurati ¬finiti nel tritacarne della mala giustizia, distrutti moralmente ed economicamente e privati della libertà per un anno, senza che ci fosse uno straccio di indizio.
La prima sezione del Tribunale Penale di Roma, presieduta dal dottor Piero De Crescenzo con a latere i dottori Cristiana Rotunno e Paolo Emilio de Simone, ha assolto Lania Salvatore, Ventura Germano, Russo Domenico, Longo Luigi, Piccolo Giovanni, Gelfusa Antonio, Ruzicka Libor, Minar Lumir, Kucera Radovan e Grafnetr Lumir dall’accusa di essersi costituiti in associazione a delinquere, operante, oltre che in Italia, anche in Cina, nel Vietnam, nella Repubblica Ceca, fino al febbraio 2009, con lo scopo ultimo di sdoganare presso il Porto di Gioia Tauro merce contraffatta (scarpe Nike), stoccarla a Roma per poi farla partire alla volta della Repubblica Ceca, proponendosi, l’ipotizzata associazione, alla commissione di ogni altro reato strumentale o prodromico ad essa. Tutti gli imputati erano stati sottoposti a custodia cautelare in carcere su richiesta dell’allora sostituto procuratore della Repubblica dottor Salvatore Vitello ed hanno subito una lunga carcerazione preventiva durante la quale Giovanni Piccolo non era stato autorizzato neppure a rendere omaggio alla salma della madre, morta e sepolta senza che il proprio figlio abbia potuto rendere l’estremo saluto. Il Tribunale di Roma, con sentenza motivata contestualmente, ha ritenuto che la prova specifica della condotta associativa, avuto riguardo alla ipotizzata finalizzazione del sodalizio (ricettazione, contraffazione, introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, contrabbando, emissioni di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) avrebbe imposto la necessità di accertare la consapevolezza da parte di ciascuno degli accusati della natura dei beni fatti transitare per il porto di Gioia Tauro, ed in particolare che tali beni costituissero merce contraffatta. In difetto di tale prova non può escludersi che ciascun imputato cui non sia dato intestare la consapevolezza indicata agisse nella certezza di inserirsi in un contesto di attività lecita.
Nella sentenza il Tribunale ha, altresì, evidenziato che non è possibile citare una conversazione dalla quale si traggano elementi da cui dedurre la consapevolezza degli interlocutori della contraffazione delle merci del cui sdoganamento si discute e che resta significativo considerare, a conferma che gli imputati ritenevano ad operazioni commerciali lecite, che gli imputati impiegavano utenze telefoniche a loro intestate (cfr deposizione Centola pag. 12 trascrizioni relative), discutendo, anche, per quanto qui rileva, dei fatti per cui è processo ma in termini del tutto compatibili con la ritenuta liceità dell’affare , anche quando hanno gli intercettati discusso di aspetti legati ad inadempimenti contrattuali della pretesa “componente ceca” dell’associazione (come accaduto, ad esempio, per i 50mila Euro ritenuti dovuti in virtù dell’anticipazione della somma necessaria per lo sdoganamento anticipata da M.C.S. Mediterranean Container Service Shipping).
La vicenda di Luigi Longo, imprenditore ed editore del quotidiano online Approdonews, è veramente paradossale poiché è stato accusato di essere vicino alle cosche della ‘ndrangheta sulla base di ciò che a parere degli inquirenti sarebbe emerso dal procedimento “Cent’anni di Storia”. Orbene, in quel procedimento Longo era stato, invece, testimone del P.M. contro le cosche che avevano tentato la scalata alla Cooperativa All Services. Un errore gravissimo evidenziato dalla difesa del Longo, avvocati Antonino Napoli e Pasquale Gallo, che ha portato il Tribunale di Roma ad inviare gli atti alla locale Procura della Repubblica in quanto “gli esiti della perizia richiesta per trascrivere le intercettazioni hanno mostrato sensibili divergenze, rilevate nel corso del dibattimento, tra il resoconto che delle medesime comunicazioni è stato fatto nella fase delle indagini e le risultanze peritali. Di tanto deve qui limitarsi a prendere atto il giudice tenuto a valutare l’attendibilità del complesso delle risultanze proposte dall’accusa a mezzo di prove dichiarative, rinviando ad altra e più idonea sede (da ciò la trasmissione degli atti all’ufficio del P.M. come da dispositivo) ogni possibile spiegazione della segnalata anomalia che è emersa, in particolare nel corso dell’esame dibattimentale e degli imputati Giovanni Piccolo e Luigi Longo, alle cui trascrizioni si rinvia”. All’esito della requisitoria del Pubblico Ministero dott. Politi, che ha chiesto la condanna, e l’intervento dei difensori avvocati: Nico d’Ascola, Bruno Naso, Antonino Napoli, Pasquale Gallo, Pasquale Loiacono, Francesco Rotunno (in sostituzione dell’avvocato Alfredo Gaito), Giovanni Piccolo, Gregorio Ceravolo, Giulio Gasparro, Antonio Franzè, Boris Dubini e Mattia di Mattia il Tribunale, dopo circa un’ora di camera di consiglio ha assolto gli imputati dal reato loro ascritto perché il fatto non sussiste, dando immediata lettura della motivazione della sentenza.
Ora, passato il processo, che come un macigno ha lasciato macerie, bisogna ricostruire l’immagine compromessa degli imputati, ai quali non potrà essere restituita né la libertà della quale sono stati privati per un anno né l’operatività della MCS, messa in liquidazione, in quanto costretta a causa dell¹operazione Rilancio a non poter più operare nel porto di Gioia Tauro e, conseguentemente, licenziare i 15 dipendenti.
N.B. L’ex imprenditore Agostino Loiacono di Laureana di Borrello, coinvolto nelle inchiesta della Dda denominate “Conchiglia” e “Tallone d’Achille”, in merito ad una presunta estorsione ai danni di un ingegnere, è stato definitivamente assolto nei procedimenti coinvolti con sentenze del 2002 e del 2004 e quindi non legato a nessuna cosca di ‘ndrangheta.