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TAURIANOVA (RC), DOMENICA 24 NOVEMBRE 2024

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Operazione “Libro nero”, Sebi Romeo, la Cassazione smonta le accuse della procura Per l'ex capogruppo Pd al consiglio regionale, "l'accusa è del tutto congetturale, senza alcuna corrispondenza con i pochi dati fattuali"

Operazione “Libro nero”, Sebi Romeo, la Cassazione smonta le accuse della procura Per l'ex capogruppo Pd al consiglio regionale, "l'accusa è del tutto congetturale, senza alcuna corrispondenza con i pochi dati fattuali"
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Quando scoppiò l’operazione definita “Libro Nero” in quel caldo luglio dello scorso anno, da parte della DDA reggina, grande fu l’enfasi nel riportare la notizia, come tanti lupi affamati attratti dal sangue vivo di quella cronaca giudiziaria per poter soddisfare ogni forma di palato.
Un’operazione dai contorni oscuri in cui venivano coinvolti pezzi potenti della politica calabrese che secondo la DDA erano in combutta con la potente cosca di ‘ndrangheta dei Libri.
Tra questi, mentre a guidare la Regione Calabria c’era Mario Oliverio, pezzi di centrodestra che di centrosinistra. Come Alessandro Nicolò capogruppo di Fratelli d’Italia (eletto con Forza Italia), ancora in carcere con la pesante accusa del concorso in associazione mafiosa. Coinvolti anche l’esponente del Partito Democratico Demetrio Naccari Carlizzi, al quale la DDA reggina aveva chiesto gli arresti domiciliari, rigettati dal Gip e poi anche dal Riesame per il ricorso inoltrato dalla Procura stessa.
E infine il potente esponente dem Sebi Romeo, allora capogruppo al consiglio regionale, arrestato (ai domiciliari) per un’ipotesi di “tentata corruzione” in combutta con un maresciallo della Guardia di Finanza, Francesco Romeo. Nel dicembre scorso la Suprema Corte di Cassazione aveva annullato senza rinvio l’ordinanza del Tribunale della Libertà, facendo ritornare in libertà l’ex consigliere regionale.
Sebi Romeo è difeso dagli avvocati Natale Polimeni e Armando Veneto.
Oggi ci sono le motivazioni di quella sentenza della sesta sezione Penale presieduta da Andrea Ronci con relatore Pierluigi Di Stefano, n. 15724/2020, molto dure nei confronti delle accuse della Procura, nei fatti smonta tutto l’apparato accusatorio, specie quando scrive, “Nel caso di specie, però, vanno, comunque, valutati anche gli altri motivi riferiti alla sussistenza di indizi del reato contestato in quanto, come dopo si chiarisce, è palese la assoluta inconsistenza delle ipotesi di accusa, non solo per la scarsa portata degli elementi ulteriori, rappresentati soltanto dalle dichiarazioni rese da Romeo Francesco in un proprio interrogatorio, ma per la irrilevanza anche degli stessi elementi desunti dalle prove inutilizzabili e che, però, ben si possono considerare in favore dei ricorrenti”.
Leggere la frase “è palese la assoluta inconsistenza delle ipotesi di accusa”, fa riflettere molto sulle condizioni di un’inchiesta che nei fatti ha posto un macigno irreversibile alla carriera politica di un esponente che poteva oggi, essere rieletto in un’istituzione democratica regionale. E in quelle sette pagine quando si legge nelle motivazioni, “In definitiva l’accusa è del tutto congetturale, senza alcuna corrispondenza con i pochi dati fattuali”, e inoltre “risultando esaminato tutto il materiale probatorio disponibile (di cui ampia parte inutilizzabile), non vi è alcuna prospettiva di una diversa decisione in sede di rinvio”.
Sebi Romeo è accusato in concorso con il maresciallo della Guardia di Finanza Francesco Romeo difeso dall’avvocato Lori Nisi, anche lui come Romeo, finito agli arresti domiciliari e scarcerato dalla Cassazione come Romeo che ritieni “I ricorsi sono fondati”. E che, “Una tale decisione comporta di norma un annullamento con rinvio perché il giudice di merito effettui di una “prova di resistenza”, quanto alla possibilità di dimostrare la ipotesi di accusa sulla scorta degli elementi ulteriori”.
Certo è che “Dalla generica descrizione del fatto (e con la congettura su quale potesse essere l’ambito in cui Romeo Sebastiano intendeva ottenere favori dal p.u.) risulta tuttalpiù una mera intenzione di commettere il reato o una desistenza volontaria”, continua ancora la Suprema Corte, “L’ordinanza non chiarisce perché il reato sarebbe restato allo stadio di tentativo. Si deve allora tenere conto della formulazione della norma incriminatrice, che sanziona quale reato consumato la condotta di “promessa” di retribuzione per un atto ancora da compiere e, comunque, sanziona in modo autonomo l’istigazione alla corruzione/l’istigazione a farsi corrompere. Quindi, considerate le norme in tema di reato di corruzione, a fronte dell’unico dato comprovato, ovvero l’incontro tra i due soggetti, una volta che lo stesso Tribunale esclude la perfezione del reato (con la promessa o l’istigazione), non si poteva affermare con certezza altro che l’esservi stata o una generica proposta che non aveva avuto seguito o la impossibilità di una utile prestazione da parte di uno dei Romeo”. Particolare passaggio è quando viene scritto, «In realtà, dalla lettura dei fatti accertati dal Tribunale, in base ad intercettazioni inutilizzabili di cui però è legittimo fare uso “a favore”, si comprende che non vi è alcuna evidenza di una effettiva “offerta”», la Cassazione chiude scrivendo, “In definitiva l’accusa è del tutto congetturale, senza alcuna corrispondenza con i pochi dati fattuali, e, risultando esaminato tutto il materiale probatorio disponibile”. Così è stato che un consigliere regionale e un maresciallo della Guardia di Finanza sono finiti ai domiciliari e oggi sono liberi con un timbro consistente e tombale pure per quanto concerne le accuse.

Cassazione Sebi Romeo