Operazione Rilancio: la Procura della Repubblica riconosce il suo colossale errore giudiziario e non appella la sentenza di assoluzione Assolti in via definitiva l'editore di Approdonews Luigi Longo e il sindaco di Seminara Giovanni Piccolo. Il Tribunale di Roma dispone la trasmissione degli atti all'ufficio del Pm al fine di accertare le anomalie emerse
L’inchiesta che aveva portato in carcere Luigi Longo, editore di Approdonews, e il sindaco di Seminara Piccolo si è rilevata un bluff tanto che il Tribunale di Roma, nella motivazione della sentenza, ha evidenziato che “gli esiti della perizia richiesta per trascrivere le intercettazioni hanno mostrato anche sensibili divergenze, rilevate nel corso del dibattimento, tra il resoconto che delle medesime comunicazioni è stato fatto nella fase delle indagini e le risultanze peritali” disponendo la trasmissione degli atti all’ufficio del P.M. al fine di accertare le ragioni delle anomalie emerse, in particolare nel corso dell’esame dibattimentale degli imputati Luigi Longo, imprenditore ed editore di Approdonews, difeso dall’ avvocato Antonino Napoli e Pasquale Gallo, ed il sindaco di Seminara Giovanni Piccolo, difeso dall’avvocato Nico D’Ascola e Giovanni Piccolo.
I due, insieme, ad altre 9 persone (tra cui Germano Ventura, amministratore di MCS, difeso dagli avvocati Pasquale Gallo e Pasquale Loiacono e Domenico Russo, difeso dagli avvocati Rino Ceravolo e Gaudio) erano stati tratti in arresto il 29 maggio del 2009 in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip presso il Tribunale di Roma, dott. Mario Friggenti, su richiesta del allora Pm Salvatore Vitello, promosso, grazie a questa operazione, Procuratore Capo presso il Tribunale di Lametia Terme.
Infatti, all’esecuzione dell’ordinanza sono seguiti toni roboanti ed un forte clamore mediatico che condivano a tinte fosche le note della vicenda giudiziaria che è sfociata nel processo dal quale Longo, Piccolo e, va detto, tutti gli altri imputati sono stati assolti con la formula perché il fatto non sussiste.
Apparve subito chiaro, alla luce delle contestazioni mosse e degli elementi sui quali l’accusa fondava il suo teorema, che si trattava di un colossale errore che i difensori avevano già evidenziato, purtroppo inutilmente, all’inquirente, che – invece – proseguì imperterrito nella su azione fino al processo che ha visto le sue tesi sciolte come neve al sole.
In particolare Longo, che insieme all’ex sindaco di Gioia Tauro Aldo Alessio, era stato uno degli imprenditori che avevano denunciato la presenza della ‘ndrangheta nelle attività del porto di Gioia Tauro venendo considerato dal Tribunale di Palmi e dalla Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, grazie alle sue dichiarazioni, uno dei testi più importanti di del processo “Cent’anni di storia”.
Ad avviso degli inquirenti romani, invece, era considerato referente e uomo di fiducia del clan Alvaro, Molè e Piromalli che, invece, aveva mandato sul banco degli accusati testimoniando lungamente davanti il Tribunale di Palmi.
Il processo contro Piccolo e Longo, fra rinvii e lungaggini tipiche della farraginosità tutta italiana della giustizia si è concluso a luglio con una sentenza con motivazione contestuale, indicativa del fatto che il giudicante De Crescenzo, Presidente Della sezione I del Tribunale di Roma aveva chiaramente compreso l’ estraneità di Longo, Piccolo e degli altri.
La sentenza del Tribunale di Roma pone l’accento sulla superficialità delle indagini che hanno condotto, e mantenuto per circa un anno in carcere, gli imputati e fatto chiudere la MCS, la ditta di cui Longo era socio, e che svolgeva una lecita – tanto da essere rimasta immune da tutte le altre indagini della DDA di Reggio Calabria – e fiorente attività di sdoganamento al porto di Gioia Tauro.
Il Tribunale di Roma, nella motivazione della sentenza, sostiene che “In particolare non è possibile citare una conversazione dalla quale si traggano elementi da cui dedurre la consapevolezza degli interlocutori della contraffazione delle merci del cui sdoganamento si discute. Resta significativo considerare, a conferma che gli imputati ritenevano di contribuire ad operazioni commerciali lecite, che le persone coinvolte impiegavano utenze telefoniche a loro intestate (cfr. deposizione Centola pag. 12 trascrizione relative), discutendo, anche, per quanto qui rileva, dei fatti per cui è processo in termini del tutto compatibili con la ritenuta liceità dell’affare, anche quando hanno gli intercettati discusso di aspetti legati ad inadempimenti contrattuali della pretesa “componente ceca” dell’associazione (come accaduto, ad esempio, peri 50mila Euro ritenuti dovuti in virtù della anticipazione della somma necessaria per lo sdoganamento anticipata da M.C.S. Mediterranean Container Service Shipping). Premesso quanto detto, che appare già risolutivo, può, come fatto dalle difese, ricordarsi come non sia rimasta neppure accertata la contraffazione della merce”.
Sorgono pertanto evidenti alcuni interrogativi a cui, forse, non vi sarà mai la pretesa e dovuta risposta! A chi ha giovato istruire un processo destinato, già in origine, a concludersi con assoluzioni? Per quale ragione non sono stati valutati gli elementi a favore degli indagati che la difesa aveva chiaramente dimostrato sin dalla fase iniziale con gli interrogatori di garanzia ed i documenti depositati al G.I.P. ed al P.M.?
I magistrati e gli inquirenti che hanno sbagliato mandando in galere degli innocenti e facendo fallire delle fiorenti attività economiche pagheranno mai per i loro clamorosi errori?
A questi interrogativi gli imputati e la società tutta pretendono delle risposte.
La vicenda è un caso emblematico di cittadini mandati alla gogna e che, in attesa del trionfo della verità, hanno subito non solo l’onta del carcere ma addirittura, come nel caso del sindaco di Seminara Giovanni Piccolo, gli è stato impedito, vista la ritenuta pericolosità, di dare l’ultimo saluto alla madre morente.
Oggi con la decisione della Procura generale della corte d’appello di non impugnare la sentenza, così come aveva optato la stessa Procura di Roma, guidata dal Dott. Pignatone, resta solo la domanda: Perché? L’assoluzione, al termine di un processo che non doveva essere celebrato, non paga del dolore, delle sofferenze e della privazioni patite in carcere dai cittadini presunti colpevoli e certi innocenti.