Ospedale “Riuniti”, lazzaretti dell’immigrazione sanitaria senza controllo Criticità di ordine igienico-sanitario all'interno dell'azienda ospedaliera "Bianchi-Melacrino-Morelli"
“S’immagini il lettore il recinto del lazzeretto, popolato di sedici mila appestati; quello spazio tutt’ingombro, dove di capanne e di baracche, dove di carri, dove di gente; quelle due interminate fughe di portici, a destra e a sinistra, piene, gremite di languenti o di cadaveri confusi, sopra sacconi, o sulla paglia;…e qua e là, un andare e venire, un fermarsi, un correre, un chinarsi, un alzarsi, di convalescenti, di frenetici, di serventi.” (A. Manzoni I Promessi Sposi, cap XXXV).
L’immagine del reportage fotografico allegato rievoca la stessa ambientazione manzoniana, ma qui l’attenzione critica e analitica va a soffermarsi su quesiti di ordine previdenziale e igienico-sanitario, specie di prevenzione di malattie infettive trasmissibili, perché se è pur vero che i malcapitati siano fuggitivi, è pure vero che la fuga da germi e patogeni non gli è consentita (scabbia, pidocchi, TBC, HIV, HCV) e di questa microscopica esistenza è innegabile una recrudescenza diffusiva negli ultimi tempi.
Infatti, le autorità ”in-competenti” ancora, nonostante i numeri di immigrati clandestini riconosciuti ad ogni sbarco, non sono stati in grado di organizzare una rete sanitaria ad hoc, come una struttura territoriale da destinare al trattamento degli sbarcati o un ospedale da campo o un ex-ospedale pubblico non funzionante rivisitato per questa esigenza , e piuttosto che perdersi in superficiali discussioni logistiche, anzi dovrebbero affrettarsi ad avere un confronto con tecnici professionalmente e anche deontologicamente adeguati.
Ad esempio, si sa che la Tubercolosi, che si era ridotta nel dopoguerra, fino a mantenersi a quota stabile di circa 11 italiani su ogni 100.000 abitanti, con l’arrivo degli immigrati ha subito un picco, con oltre 50 casi su 100.000 persone, o addirittura interesserebbe cifre superiore se si pensa al numero dei soggetti non studiati o che sfuggono a tutti i controlli sanitari. Inoltre, gli studi batteriologici per l’identificazione dei portatori o delle forme ancora non attive richiedono da diversi giorni a settimane di lavoro ai laboratori per i referti definitivi, quindi potenzialmente si lasciano liberi soggetti a rischio contagio.
Il problema si ingigantisce se si pensa che questi stessi possibili vettori di malattia vengono alloggiati negli stessi ambienti sanitari, come succede nel Nosocomio Reggino, con altri malati, cardiopatici, immunodepressi, oncologici, pediatrici etc. senza alcun provvedimento sanitario adeguato, così come richiesto dai protocolli di isolamento. Tanti rimpiangeranno allora i vecchi presidi collinari per i malati tisiogeni!
Le Linee Guida Ministeriali per le attività di controllo della TBC, oltre ai protocolli internazionali per il contenimento delle malattie trasmissibili in ospedale, sono state applicate in modo perentorio agli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria?
Cioè l’isolamento respiratorio dei soggetti affetti/potenziali, il sistema di cohorting per pazienti potenziali; le camere a pressione negativa con filtrazione e scarico monitorizzato; l’uso di materiale di protezione per personale sanitario e non, come le maschere facciali filtranti; l’attrezzatura dedicata e la biancheria isolata su percorso lavanderia adeguato; lo screening del personale a rischio contagio…Abbiamo dei seri dubbi!!!
Il dato epidemiologico già evidenziato da tempo da numerosi trials scientifici internazionali parla chiaro, e non può essere inabissato: l’incidenza della TBC latente è più alta in alcuni Paesi di emigrazione (come ora il nostro!); e sono le condizioni estremamente disagiate (abitative, lavorative e nutrizionali) a riattivare, in alcuni soggetti, il processo tubercolare (come nei nostri migranti!).
Ma se questi soggetti, malati o potenziali, venissero a contatto con personale sanitario, medico o paramedico, o con altri malati o semplicemente si creasse una rete di diffusione aerea con gli ospiti e parenti dei pazienti, il processo rischierebbe di diffondersi?!
E chi risarcirebbe dai danni del contagio da possibili malattie professionali a rischio biologico gli addetti ai lavori, sia nei centri di accoglienza, che nelle postazioni di sbarco, che negli ospedali ospitanti?!
E il carico sulla spesa sanitaria dei nuovi malati italiani e degli immigrati e dei possibili contagiati di una malattia praticamente prima debellata?! Si preannuncia un altro flop tutto calabrese, o meglio ancora italiano ed europeo: ovviamente le decisioni toccheranno ai competenti!