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TAURIANOVA (RC), LUNEDì 25 NOVEMBRE 2024

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Palmi, dissequestrato impero famiglia Mattiani In appello vince la linea della difesa. Nell’immenso patrimonio anche il “Grand Hotel Gianicolo” di Roma e l’Hotel Arcobaleno di Palmi, oltre a conti corrente e una serie di altri beni immobili

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REGGIO CALABRIA – Ribaltato il decreto di confisca dell’intero patrimonio aziendale di Giuseppe Mattiani, noto imprenditore alberghiero, da decenni impegnato attivamente nella vita istituzionale e politica di Palmi. Accogliendo l’appello dei difensori, avvocati Domenico Alvaro e Giuseppe Milicia, la Corte di Appello di Reggio Calabria -Sezione misure di prevenzione- ha revocato il sequestro e la confisca dei beni oltre che la sorveglianza speciale con obbligo di dimora, disponendo la restituzione di tutti il compendio immobiliare, compresi l’Hotel Gianicolo di Roma e l’Hotel Arcobaleno, di Palmi, agli aventi diritto. Accolti anche i gravami del figlio, Pasquale, albergatore e dei terzi interessati (gli stretti congiunti), assistiti dagli avvocati Titta Madia del Foro di Roma, deceduto a Roma nelle more della decisione dell’appello, Nicola Minasi e Dario Polizza Favaloro.

La confisca La proposta per la misura di prevenzione personale e patrimoniale aveva avuto origine dalle indagini investigative della Dda di Reggio Calabria relative al processo “Cosa mia”, nei confronti della cosca Gallico e, in particolare, da alcune intercettazioni tra Giuseppe Gallico, già condannato all’ergastolo, ed il suo difensore ed i familiari, nel corso delle quali, allo scopo di predisporsi la linea difensiva per l’accusa di estorsione in danni di Giuseppe e Pasquale Mattiani, il detenuto faceva riferimento ad appoggi elettorali dati a Giuseppe Mattiani nel contesto delle sue candidature a sindaco del Comune di Palmi. Le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, Pasquale Gagliostro e Marcello Fondacaro, avevano poi indotto la Procura Distrettuale a chiedere ed ottenere dal Tribunale di Reggio Calabria – Sezione Misure di Prevenzione – il sequestro e poi la confisca dell’intero patrimonio della famiglia Mattiani, stimato dagli amministratori giudiziari in oltre trenta milioni di euro.

L’appello Con articolati atti di appello e motivi aggiunti, corredati da indagini difensive, consulenze tecniche e documenti contabili, e poi illustrati nel corso della discussione in camera di consiglio, gli avvocati Alvaro, Milicia e Titta Madia, avevano contestato analiticamente ogni elemento indiziario per escludere l’assunto che Giuseppe Mattiani fosse colluso con la cosca Gallico, della quale, invece, risultava, insieme al figlio, vittima di estorsione. Hanno poi proceduto ad una complessiva valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, mettendo in risalto le contraddizioni, le inattendibilità, le aporie e le smentite documentali del loro narrato. Quanto alle intercettazioni dei Gallico appariva evidente, secondo le prospettazioni difensive, la pretestuosità delle conversazioni finalizzate solo a procurarsi una linea difensiva e la loro disarmonia con le conversazioni dello stesso Giuseppe Gallico che erano state intercettate prima della inchiesta giudiziaria “Cosa mia”.

Via libera al dissequestro La Corte di Appello ha ora dato ragione alla difesa, escludendo la pericolosità sociale di Giuseppe Mattiani, che da oggi cessa di essere sorvegliato speciale ma, soprattutto, disponendo la restituzione alla famiglia Mattiani di tutti i beni immobiliari, dei conti correnti, della villa e delle case di abitazione, dei due alberghi e di tutti gli altri cespiti, che erano stati sequestrati e confiscati in primo grado.

Il collegio difensivo «Il caso di Mattiani -hanno dichiarato i legali dei Mattiani,Milicia e Alvaro- è emblematico della pervasività della prevenzione patrimoniale antimafia. Il provvedimento che qualificava pericoloso per appartenenza alla mafia Giuseppe Mattiani e gli confiscava aziende e patrimonio personale era basato sui fatti del processo in cui sono stati giudicati e condannati gli autori di un’estorsione di cui l’imprenditore risultava vittima. Il decreto di confisca spiegava come pur essendo “un dato oggettivo che Mattiani non sia mai stato nemmeno imputato per associazione o per reati agevolativi della mafia” e “figurasse nel processo Cosa Mia come persona offesa di un’estorsione” nonostante tutto dovesse considerarsi pericoloso secondo i criteri della prevenzione antimafia. La decisione che restituisce il patrimonio alla sua famiglia, che nel corso di 40 anni di lavoro aveva contribuito al successo imprenditoriale dell’azienda, corregge gli effetti di questo paradosso».