Pater numquam Riflessioni dell’avvocato Cardona sull’esilio forzato della figura paterna
Nel nostro patrimonio di conoscenze la relazione materna è concepita come un fenomeno naturale a valenza biologica.
Sotto il profilo giuridico è molto più semplice collegare la nascita di un figlio ad una madre solo per il fatto naturale del parto.
Per il padre invece, nonostante le innovative tecniche di comparazione ematica e del dna, opera una presunzione di paternità di 300 giorni.
Sotto il profilo ontologico secondo quanto asserisce Eva Kittay “Ciascuno è figlio di una madre”, pertanto, ciò configura il primo e sostanziale afflatus che lega la madre al figlio.
Sotto il profilo antropologico, l’eredità simbolica che è insita nella esperienza cromosomica del mondo femminile, ne caratterizza la fenomenologia dell’agire materno sotto i più variegati aspetti.
Sotto il profilo psicologico, il fondamentale ruolo materno si concretizza sin dall’inizio della vita del bambino, attraverso gesti, parole, visioni che vengono interiorizzati ed elaborati e che costituiranno l’humus ancestrale nutritivo.
Il rapporto tra madre e figlio è una relazione incarnata per eccellenza, generatrice di evenienze esistentive che ne costituiranno paradigmaticamente l’essenziale substrato di crescita e di sviluppo.
La madre, considerata da Sara Ruddick quale generatrice di cultura, non solo garantisce il perpetrarsi della vita in una comunità, ma ne plasma il linguaggio ed il sapere dei nuovi venuti, attraverso una serie di pratiche che di fatto pongono le basi della futuribile e costituenda società.
Ma questo Eden appena narrato, a volte si scontra con elementi di complessità, di incertezza e di oscurità, laddove si scorgano sentimenti materni ambivalenti sfocianti in casi limite, ma attuali come l’allontanamento dei padri, l’abbandono dei figli, per giungere parossisticamente a forme di violenza che si tramutano in imponderabile follia.
Ciò può dipendere da un mutato senso di responsabilità, che incide nell’edonismo femminile, sconvolgendone l’essenza in nuce e provocandone esperienze emotive così complesse ed insostenibili per una madre.
L’abusato principio del rispetto delle regole deve essere soppiantato da un nuovo paradigma pedagogico, generante un nuovo orizzonte etico, dove secondo quanto sostiene Peta Bowden, il ruolo genitoriale deve costituire il fondamentale principio della responsabilità vitale per il piccolo.
La valenza pedagogica materna, costituisce pertanto per l’infante, l’asse paradigmatico di un discorso prassico, tendente alla individuazione delle migliori pratiche educative percorribili o praticabili.
La verità è che un bambino per assurgere allo status di essere, deve avere un sostegno necessario e sufficientemente valido, onde facilitarne in senso formativo di quella identità che ne plasmerà nel prosieguo della esistenza la personalità.
Il sostegno materno (holding) corroborato anche dalla assistenza del padre, realizzano una pluralità eterogenea di comportamenti qualificanti, che ne stimolano la crescita e lo sviluppo fisico e psicologico, evitando la formazione di quelle angosce che nell’infante potrebbero insidiarne la salute fisica e psichica e avere conseguenze letali anche in età adulta.
“La maternità e l’infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza. Tutti i bambini, nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della stessa protezione sociale.” (Dichiarazione Universale dei Diritti Umani – Articolo 25, 1948)