Patopoli: la città malata Riflessioni del giurista Giovanni Cardona sul crinale morente delle città
Può sembrare strano che un giurista indugi in un’allegoria; tuttavia, non bisogna dimenticare che, spesso, il linguaggio metaforico esprime realtà concrete meglio di quello comune.
Il termine “città” ha una comune radice con il termine “politica” dal greco polis e viene utilizzato in riferimento all’attività ed alle modalità di governo, od anche, nel lessico politico, alla cosiddetta attività di opposizione.
Premettendo ciò, per l’inglese Patrick Geddes, paradossalmente tutti gli sforzi che gli uomini politici compiono al fine di migliorare le loro città sono inutili ed assurdi, perché “la città è destinata a perire”.
Vi fu la prima “polis”, seguita dalla “metropoli”; venne poi, “megalopoli”, la grandiosa che, ben presto, si trasformò in “patopoli”, la città malata.
Per non scrivere, altresì, di tangentopoli; l’ultimo atto di questa tragedia sarà, la “viropoli” a cui conseguirà secondo il nostro la “necropoli”, la città della morte.
La verità è che una città muore quando si spegne la civiltà che l’ha ispirata, questa è la lezione del passato.
Questo assunto lo si coglie nelle nostre cittadine, ove una superficialità spaventosamente celata o travestita con mise eleganti apparentemente proiettate verso un bene poco comprensibile ai molti, cerca di manifestarsi per un verso con beceri fannulloni avvezzi al vano ed inutile eloquio e per l’altro verso con ectoplasmatiche rappresentazioni teatrali ben consone nel teatro dell’assurdo di brechtiana memoria.
Il cittadino comune è oramai entrato in conflitto con la verità; è una lotta che si svolge quotidianamente sotto i nostri occhi e non sappiamo ancora chi ne uscirà vincitore.
Nell’antichità, la città simboleggiava il male: l’apocalisse urbana è scritta nella Bibbia. La prima città fu costruita da Caino, il fratricida: un altro fratricida dette origine a Roma.
Tutti i peccati del mondo si concentrarono, un tempo, a Sodoma e Gomorra.
E su questo intendere, Berthold Brecht ha scritto: “di queste città non rimarrà che colui che le ha attraversate: il vento”.
Lirismo e profezia a parte, per molti anni la lotta della città contro la campagna è stata un po’ come il simbolo del conflitto tra il bene e il male.
La nostra società oltre ai penetranti fenomeni virali è ammalata di falso perbenismo utilitarista galoppante che esige, a tutti i livelli, una presa di coscienza della sua vasta e pericolosa problematica.
E’ indispensabile compiere uno sforzo adeguato e combinato di comprensione e di penetrazione nel sociale, in modo da individuare i percorsi principali, prima per uno studio serio e razionale e, poi, anche e soprattutto, per un’azione politica intelligente e feconda.
Il contributo di tutti è essenziale, onde tenere sempre accesa la fiaccola di quei valori che alimentano la nostra fede e non ci fanno disperare del destino dell’uomo.