Polistena, società “Il Marchese” fa causa a Tripodi La proprietà di palazzo Avati rompe gli indugi e cita in giudizio il sindaco. La querelle sulla Fortuna solo la punta di un iceberg di anni di contrasti. L'avvocato Galluzzo: "In questa vicenda molto di personale e poco di istituzionale"
di Giuseppe Campisi
Cronaca di una causa annunciata. Si potrebbe definire così (o molto si avvicina) la sintesi della conferenza stampa tenuta dai soci de Il Marchese srl assistiti dal legale Salvino Galluzzo servita a ricostruire le vicende, più o meno complesse, dei vari passaggi proprietari della dimora storica di palazzo Avati e con esso del prezioso contenuto artistico annoverato come pertinenze di pregio tra cui molti gessi e produzioni del compianto maestro polistenese Giuseppe Renda che, a quasi 80 anni dalla sua scomparsa, fa ancora parlare di sé non solo per la sua riconosciuta genialità produttiva. Un trasferimento – quello della proprietà del palazzo a partire dal 2003 con Antonveneta Immobiliare – frutto di una dinamica sequenza che ha interessato numerose società e che è definitivamente approdato nel 2010 alla attale del Marchese srl.
La vicenda, oramai nota, è legata a doppio filo alla volontà di spostare l’opera forse più rappresentativa dello “scultore del sorriso” quella Fortuna frutto della fusione bronzea dal calco in gesso del 1991 ad opera della Banca Popolare di Polistena oggetto negli ultimi tempi delle attenzioni dell’amministrazione comunale che la vorrebbe spostare con il consenso degli eredi, dalla corte del palazzo, dov’è da sempre collocata, presso piazzetta Bellavista “in una piazza pubblica, e dunque accessibile in ogni istante della giornata” per “dare finalmente maggiore visibilità all’opera” era stato il commento del sindaco.
Una decisione – estesa altresì all’intenzione di trasferire anche le altre opere in gesso presenti all’interno dell’immobile – che aveva sin da subito provocato la dura reazione della proprietà dell’immobile che attraverso lo stesso legale aveva spiegato che la monumentale riproduzione da oltre 22 quintali, ancorata saldamente a terra, era pertinenza dello stesso palazzo e quindi acquisita alla proprietà della società già dal 2010 contestualmente alla rilevazione dell’intero fabbricato.
Concetto ripreso e rafforzato nel corso della conferenza stampa nella quale, tra l’altro, l’avvocato Galluzzo si è più volte richiamato alle norme del codice civile in merito alla parte privatistica offrendo alcuni spunti tendenti ad evidenziare una certa volontà vessatoria, denigratoria e diffamatoria di natura strettamente personale che non più il sindaco ma il soggetto privato Michele Tripodi avrebbe compiuto pubblicamente e con diverse modalità nei confronti non solo dei soci ma anche dei familiari ed affini della società Il Marchese srl e condizione, quest’ultima, intesa quale molla che ha fatto scattare, dopo averla intimata, la chiamata in giudizio personale dello stesso Tripodi.
«In questa vicenda c’è molto di personale e poco inerente la figura dell’amministratore pubblico» ha esordito Galluzzo che ha voluto ricordare come nessuno, Tripodi compreso, nei vari passaggi di proprietà avvenuti dalla Popolare di Polistena in avanti avesse mai obiettato alcunché. Mutamento di comportamento invece intervenuto da parte del dottor Tripodi – ha spiegato il legale – quando il palazzo è stato acquisito dalla società Il Marchese srl ovvero sia arrivato, dopo tempo, «nelle mani di proprietari polistenesi».
Quindi ha aggiunto: «Il problema di questa statua si sarebbe potuto porre se gli attuali proprietari dell’immobile avessero stabilito di modificarne la destinazione (rispetto all’originale contratto di donazione, ndr), cosa peraltro evidentemente non avvenuta» ha chiarito Galluzzo che ha anche voluto porre l’accento sulla migliorata visibilità e visitabilità dell’opera rispetto al ventennio precedente tanto che «oggi la bellezza di questa statua si può condividere molto più che in passato».
Di inspiegabile cortocircuito ha parlato il legale rispetto ad una operazione tra privati senza rilevanza per chi riveste la funzione di amministratore pubblico compendiato per di più dall’annuncio di mettere la Fortuna a disposizione del popolo come «un modo per ammantare di significato politico quella che è invece una problematica di natura strettamente personale» sviluppata nel corso di questi anni in comizi, comunicati ed iniziative pubbliche avverso i suoi clienti e nella quale sarebbero stati coinvolti, strumentalmente, secondo il legale, oltre alla banca Monte dei Paschi (a cui è stata chiesta peraltro una smentita per evitare la chiamata in causa) anche il Consiglio Comunale e la Giunta (che nel frattempo, sulla questione, hanno prodotto delibere).
Una reiterata azione denigratoria e diffamatoria in danno di professionisti e privati cittadini polistenesi avvalorata dalla copertura della carica di amministratore pubblico che lascerebbe passare impropriamente all’esterno il messaggio «di essere in presenza di un caso di appropriazione indebita». Sarebbe questo, in sintesi, quanto contestato da Galluzzo a Tripodi nonché la ragione della sua chiamata in giudizio nell’interesse dei propri assistiti costituitisi, non già contro il Comune od il sindaco, ma personalmente contro il privato cittadino Michele Tripodi.
E, sulla vicenda, non sono mancate le puntualizzazioni di Silvio Laruffa, in rappresentanza della società, che pronto a confermare la prossima creazione di un museo permanente e gratuito all’interno dei locali di palazzo Avati dedicato al grande maestro Renda ha espresso il rammarico per l’avvenuta perdita, in un passato più o meno recente anche per colpa di precedenti amministratori pubblici, di numerose opere d’arte finite in altre città della Calabria e d’Italia ribadendo che per parte sua non è mai venuta meno la disponibilità a valutare la richiesta di collocazione della Fortuna in piazza Bellavista posto che i modi e le forme fossero stati quelli appropriati «inquadrati in un contesto culturale serio e non illusorio» per un trasferimento che si sarebbe anche potuto realizzare mentre invece «tutta la vicenda, seppur oggi chiara, ha avuto da sempre un solo obiettivo: quello di denigrare le persone».
I soci hanno infine preventivamente stabilito che gli eventuali proventi maturati dall’azione risarcitoria saranno devoluti ad iniziative culturali pubbliche in favore della città di Polistena.