Port Sudan, missile militare colpisce un auto civile
redazione | Il 08, Apr 2011
La notizia è passata inosservata ai media
di DOMENICO GIOVINAZZO
Port Sudan, missile militare colpisce un auto civile
La notizia è passata inosservata ai media
A volte nel mondo accadono avvenimenti strani che sfuggono all’attenzione dei media di casa nostra. La guerra in Libia, il conflitto in Costa d’Avorio e la catastrofe ambientale giapponese hanno pressoché monopolizzato le luci dei riflettori in questi giorni. Ciò è comprensibile, vista la drammaticità di quegli eventi. Tuttavia, ci sono anche altre notizie di cui sarebbe bene dar conto. Fatti apparentemente poco significanti, ma che talvolta servono a capire meglio quale sia il peso internazionale di uno Stato.
La notizia cui ci riferiamo è accaduta martedì 5 aprile a Port Sudan, capitale dello Stato del Mar Rosso (uno dei 25 in cui è suddiviso il Sudan). Erano all’incirca le 20,00 (le 18,00 in Italia) quando un aereo militare proveniente dal Mar Rosso ha centrato con un missile un veicolo con a bordo due cittadini sudanesi. Dopo aver colpito l’obiettivo, provocando la morte dei passeggeri e la totale distruzione del furgone, il caccia è scomparso verso la stessa direzione da cui era provenuto.
Le autorità sudanesi hanno subito puntato il dito su Tel Aviv. «Abbiamo indicazioni che l’attacco sia stato messo in atto da Israele. Ne siamo assolutamente sicuri», ha dichiarato il ministro degli Esteri di Khartoum, Ali Ahmad Karti, in una conferenza stampa organizzata il giorno successivo al raid aereo. Karti ha proseguito sostenendo che nei giorni passati «Israele aveva lanciato accuse secondo cui il Sudan sta appoggiando alcuni gruppi islamici. Non è vero. Quando Israele muove tali accuse, sta cercando di giustificare ciò che ha fatto ieri».
L’esercito israeliano (Idf) ha preferito non rilasciare dichiarazioni sull’accaduto. Stesso comportamento da parte del governo di Tel Aviv. Tuttavia, il diffusissimo quotidiano ebraico Yedioth Ahronoth titolava nel catenaccio «Aerei provenienti dal Mar Rosso hanno assassinato dei ricercati in Africa». E il giornale gratuito Ha Yom, considerato vicino al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha bollato l’accaduto come «Esecuzione in Sudan».
Già nel 2009 era accaduto un evento simile. Ai primi di gennaio – mentre era in corso l’operazione “Piombo fuso” con la quale Israele mise in ginocchio la già martoriata Striscia di Gaza – sempre in Sudan due caccia stranieri attaccarono un convoglio di veicoli al confine con l’Egitto. Khartoum accusò gli Usa, ma Washington attribuì l’azione a Israele. L’allora primo ministro israeliano, Ehud Olmert, fu sibillino. Non confermò esplicitamente, ma dichiarò che «Israele può colpire ovunque, vicino e lontano, con operazioni al nord e al sud, e non occorre entrare in dettagli, ognuno può usare la sua immaginazione». In seguito, Tel Aviv ammise ufficialmente la propria responsabilità, sostenendo che il convoglio colpito trasportava armi destinate alla Striscia di Gaza tramite l’Egitto.
Alla luce di questo precedente, il no comment sull’attacco di martedì scorso assume il sapore di una velata ammissione di responsabilità. Del resto, sono anni che l’Idf utilizza la tecnica dei raid aerei mirati contro esponenti di Hamas o della Jihad Islamica nella Striscia di Gaza. Non stupirebbe più di tanto, quindi, che Tel Aviv – convinta dell’esistenza di un traffico di armi che va dall’Iran alla Striscia di Gaza, passando appunto per il Sudan – abbia deciso di utilizzare questo collaudato sistema per colpire dei presunti trafficanti di armi in suolo straniero.
Il Sudan ha annunciato che denuncerà Israele al Consiglio di sicurezza dell’Onu per quanto accaduto martedì. Appare tuttavia improbabile che vengano prese misure contro lo Stato ebraico, l’unico al mondo cui viene consentito di agire impunemente in spregio del diritto internazionale.
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