Potere e Stato (ultima parte) Si conclude la riflessione del giurista blogger Giovanni Cardona, sul rapporto sul rapporto tra identità collettive, il potere, la libertà e lo Stato
I cittadini hanno mille ragioni di lamentarsi del regime politico del tutto inefficiente, apparentemente rappresentativo ma non funzionale, spesso immorale e sempre incoerente.
Un regime che si ammanta di parvenze democratiche ed è fonte di corruzione, che isola il paese reale dal paese legale, che è ambiguo e contraddittorio, non può essere in nessun modo efficace e operante.
L’Italia è tutta da rifare, dobbiamo riscattare il nostro destino, uscire dalla decadenza morale e materiale, non subordinare i valori morali alla logica della lotta, non transigere sui nostri valori risorgimentali, formarci un carattere saldo e determinato, riacquistare la attitudine alla riflessione ed al comportamento ragionevole.
In questi ultimi tempi si è molto dibattuto il tema fra cultura e politica, ebbene noi abbiamo assoluto bisogno di rinascita dei valori politico-etico-culturali, dobbiamo ricreare il sentimento nazionale che presuppone il senso dello Stato, perché lo Stato affonda le sue radici nella cultura nazionale.
Ma per fare ciò dobbiamo innanzi tutto fare appello alla disciplina e al sentimento patrio, dobbiamo essere uniti e concordi, perché l’unità e la concordia sono le caratteristiche del pensiero cristiano.
Solo così potremo uscire dal mare di guai (e non è un eufemismo) nel quale navighiamo, solo mobilitando ogni energia, sviluppando l’etica della coesione, eliminando la psicologia della rassegnazione e della rinuncia, mobilitando la volontà ed eliminando l’ansia del dissolvimento e della diaspora, l’atomismo anarcoide delle nostre traballanti istituzioni.
La cultura e la politica sono in crisi perché difettano della fase introspettiva e retrospettiva, difettano del senso della storia.
Io non credo a ciò che ha detto Hegel che “il passato non conta più della storia dei popoli, che è realtà sempre rinnovantesi” ma in questo rinnovamento la storia, mostrandoci le grandi visioni del passato e le miserie del presente, ci deve spronare verso valori morali che trascendono quelli del presente e del passato.
Lo Stato non è più il custode della pubblica moralità, non è più sovrano, perché la sovranità è passata alle masse, lo Stato ormai si disperde, si vanifica, si è definitivamente scollato.
E al dramma si unisce anche il ridicolo di un terrorismo ideologico e di una psicologia repressiva, che, attraverso fumosi discorsi, promettono ciò che si sa di non poter mantenere.
Quando Aristotele afferma che lo Stato deve rendere buoni i cittadini, vuol dire che deve fornire ai sudditi i mezzi e l’ambiente adatto a rendere facile la pratica della virtù, ma lo Stato senza autorità non può assolvere a questo compito, perché versa in una crisi di coscienza, di ragione, di libertà, di corruzione e di anarchia; allora lo Stato non è più, come diceva Kant «il cammino di Dio nel mondo», perché le sue strade sono percorse dalla dissoluzione, dall’odio e dalla violenza.
I dittatori, i duci, i fuhrer, i caudillos, sono scaturiti dall’assenza dell’ordine giuridico e sociale, ed hanno avuto fortuna perché hanno promesso un ordine nuovo, fondato su una verità eterna che è quella dell’autorità, posta al servizio della persona umana.
Quando arriva la dittatura cessa il caos dei poteri, l’alta marea della crisi si ritira, cessa la disgregazione e la dissoluzione, i poteri non sono più atomizzati e dissociati, si espellono le cellule cancerogene; allora il potere non è più una nebulosa, ma è una realtà che dissolve ogni crisi, la salute interna dello Stato torna a fiorire, la società non e più in ebollizione.
Machiavelli ha demistificato la politica da ogni ipocrita e farisaico moralismo, mostrando le piaghe esiziali del potere e la sua vera natura che consiste nella forza e nella potenza.
Molti affermano che lo Stato democratico è necessariamente debole, costretto sempre alla difensiva contro estremisti di destra e di sinistra: lo diceva anche Luigi Einaudi, quando ripeteva che la democrazia liberale era «l’anarchia degli spiriti nell’ambito della sovranità delle leggi».
Ma non credo che ciò sia vero, perché uno Stato democratico liberale, può essere forte, sano ed efficiente, a condizione che faccia valere, in ogni campo, l’autorità, difenda strenuamente le sue strutture dalla paralisi, non si dimostri debole, inetto e corrotto e abbia sempre una precisa legge morale.
Certo, nelle attuali condizioni i valori democratici non esistono perché tutto è licenza.
Lo Stato, dice Gentile, è un concetto astratto, esso non esiste in sé e per sé, ma è la coscienza dei cittadini dotati di solidarietà e unità, che forma lo Stato; cittadini che debbono tenere nel massimo conto l’autorità come essenza vitale, perché, come dice S. Tommaso «dove esiste una moltitudine di persone, occorre che vi sia qualcuno che abbia in cura la moltitudine».
(Fine)
Un regime che si ammanta di parvenze democratiche ed è fonte di corruzione, che isola il paese reale dal paese legale, che è ambiguo e contraddittorio, non può essere in nessun modo efficace e operante.
L’Italia è tutta da rifare, dobbiamo riscattare il nostro destino, uscire dalla decadenza morale e materiale, non subordinare i valori morali alla logica della lotta, non transigere sui nostri valori risorgimentali, formarci un carattere saldo e determinato, riacquistare la attitudine alla riflessione ed al comportamento ragionevole.
In questi ultimi tempi si è molto dibattuto il tema fra cultura e politica, ebbene noi abbiamo assoluto bisogno di rinascita dei valori politico-etico-culturali, dobbiamo ricreare il sentimento nazionale che presuppone il senso dello Stato, perché lo Stato affonda le sue radici nella cultura nazionale.
Ma per fare ciò dobbiamo innanzi tutto fare appello alla disciplina e al sentimento patrio, dobbiamo essere uniti e concordi, perché l’unità e la concordia sono le caratteristiche del pensiero cristiano.
Solo così potremo uscire dal mare di guai (e non è un eufemismo) nel quale navighiamo, solo mobilitando ogni energia, sviluppando l’etica della coesione, eliminando la psicologia della rassegnazione e della rinuncia, mobilitando la volontà ed eliminando l’ansia del dissolvimento e della diaspora, l’atomismo anarcoide delle nostre traballanti istituzioni.
La cultura e la politica sono in crisi perché difettano della fase introspettiva e retrospettiva, difettano del senso della storia.
Io non credo a ciò che ha detto Hegel che “il passato non conta più della storia dei popoli, che è realtà sempre rinnovantesi” ma in questo rinnovamento la storia, mostrandoci le grandi visioni del passato e le miserie del presente, ci deve spronare verso valori morali che trascendono quelli del presente e del passato.
Lo Stato non è più il custode della pubblica moralità, non è più sovrano, perché la sovranità è passata alle masse, lo Stato ormai si disperde, si vanifica, si è definitivamente scollato.
E al dramma si unisce anche il ridicolo di un terrorismo ideologico e di una psicologia repressiva, che, attraverso fumosi discorsi, promettono ciò che si sa di non poter mantenere.
Quando Aristotele afferma che lo Stato deve rendere buoni i cittadini, vuol dire che deve fornire ai sudditi i mezzi e l’ambiente adatto a rendere facile la pratica della virtù, ma lo Stato senza autorità non può assolvere a questo compito, perché versa in una crisi di coscienza, di ragione, di libertà, di corruzione e di anarchia; allora lo Stato non è più, come diceva Kant «il cammino di Dio nel mondo», perché le sue strade sono percorse dalla dissoluzione, dall’odio e dalla violenza.
I dittatori, i duci, i fuhrer, i caudillos, sono scaturiti dall’assenza dell’ordine giuridico e sociale, ed hanno avuto fortuna perché hanno promesso un ordine nuovo, fondato su una verità eterna che è quella dell’autorità, posta al servizio della persona umana.
Quando arriva la dittatura cessa il caos dei poteri, l’alta marea della crisi si ritira, cessa la disgregazione e la dissoluzione, i poteri non sono più atomizzati e dissociati, si espellono le cellule cancerogene; allora il potere non è più una nebulosa, ma è una realtà che dissolve ogni crisi, la salute interna dello Stato torna a fiorire, la società non e più in ebollizione.
Machiavelli ha demistificato la politica da ogni ipocrita e farisaico moralismo, mostrando le piaghe esiziali del potere e la sua vera natura che consiste nella forza e nella potenza.
Molti affermano che lo Stato democratico è necessariamente debole, costretto sempre alla difensiva contro estremisti di destra e di sinistra: lo diceva anche Luigi Einaudi, quando ripeteva che la democrazia liberale era «l’anarchia degli spiriti nell’ambito della sovranità delle leggi».
Ma non credo che ciò sia vero, perché uno Stato democratico liberale, può essere forte, sano ed efficiente, a condizione che faccia valere, in ogni campo, l’autorità, difenda strenuamente le sue strutture dalla paralisi, non si dimostri debole, inetto e corrotto e abbia sempre una precisa legge morale.
Certo, nelle attuali condizioni i valori democratici non esistono perché tutto è licenza.
Lo Stato, dice Gentile, è un concetto astratto, esso non esiste in sé e per sé, ma è la coscienza dei cittadini dotati di solidarietà e unità, che forma lo Stato; cittadini che debbono tenere nel massimo conto l’autorità come essenza vitale, perché, come dice S. Tommaso «dove esiste una moltitudine di persone, occorre che vi sia qualcuno che abbia in cura la moltitudine».
(Fine)