“Ha da passà ‘a nuttata”
redazione | Il 20, Set 2011
Fatti e misfatti di un’Italia “moderna”
di GIANFRANCO SOFIA
“Ha da passà ‘a nuttata”
Fatti e misfatti di un’Italia “moderna”
Venuta fuori dal ricco dossier sulle intercettazioni del duo Giampaolo Tarantini e Walter Lavitola, l’espressione esasperata del Presidente del Consiglio “presto me ne andrò da questo Paese di merda”, ha subito invaso le cronache della stampa quotidiana che, in rapporto all’area politica alla quale si rifanno le singole testate, si è dimostrata scandalizzata o ne ha condiviso pienamente l’assunto supportandolo dalle solite motivazioni che vedono il Silvio nazionale nella veste del perseguitato politico da parte delle toghe, ora meneghine ora partenopee, che prima venivano individuate come “rosse” ma che di recente sono passate, sempre ad opera dello stesso, a “fasciste”.
L’inchiesta condotta dal Procuratore capo di Napoli dott. Giovandomenico Lepore al momento vede Berlusconi come possibile parte lesa, dunque non si comprende perché non ritenga di essere sentito sul caso quando, una volta tanto, non viene indagato ed anzi nella vicenda viene ipotizzato nei suoi confronti un ruolo invero desueto e tutto a suo favore.
Il perché abbia dato tanti soldi a Tarantini il premier lo ha detto a piena voce a chiunque pubblicamente glielo abbia chiesto, per cui la motivazione è del tutto già nota alla procura napoletana, ma manca loro l’ufficialità, cioè una dichiarazione verbalizzata che attesti, come il diretto interessato sostiene, che si trattava di un prestito o di una munificenza nei confronti di una famiglia che in quel momento si trovava in difficoltà economiche.
Probabilmente Berlusconi ritiene che questi siano fatti suoi privati e al dott. Lepore non debbano interessare, mentre, al contrario, il capo della Procura napoletana altrettanto probabilmente ritiene che si tratti di una vicenda da annoverare tra la tanta “spazzatura”, elemento di cui Napoli è purtroppo già invasa per conto proprio, che in questi tempi alberga in certi ambienti dove l’anormalità è ormai diventata normalità e tutto viene fatto rientrare nel novero della quotidianità della politica della quale non si riesce più a comprendere e si dovrebbe almeno riformulare il significato del termine.
Personalmente non sto certo qui né a processare né ad assolvere alcuno, e in fondo, mentre scrivo, sento sorgere prepotente il retropensiero, come molto probabilmente succede a voi mentre leggete, che mi sarebbe piaciuto essere io amico di un uomo che Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale, definisce un “miliardario munifico che con i suoi soldi può fare quello che meglio ritiene” come ad esempio pagare lui perché, oltre a dirigere la testata, passi da una emittente all’altra digrignando i denti e ringhiando contro chiunque osi infrangere il primo comandamento, dove Dio non è più quello dei cristiani ma solo quello che lui ritiene essere tale, e sinceramente devo dire, anche se quando lo sento vorrei essere tanto un accalappiacani, che forse, e dico forse probabilmente perché me ne manca l’occasione, ove fossi stato al suo posto l’avrei fatto anch’io, ma con un po’ più di decenza.
Ma andiamo al nocciolo della questione, alla frase incriminata, al Paese di “merda” (mi si passi ancora la trivialità, ma se l’ha detta Lui posso consentirmi di dirla anch’io) del quale Berlusconi si lamenta e dal quale vorrebbe andar via.
Non è che non abbia ragione, ma prima di pronunciare un assunto così pesante si sarebbe dovuto, a mio modesto avviso, soffermare un momento a pensare da quale fondoschiena siano venuti fuori tanti flatulenti escrementi, e si sarebbe accorto che qualcosa, grande o piccola che sia, è venuta fuori anche dal suo nobile deretano, salvo che non si voglia tenere per buono l’antico motto, riferito a Luigi XVI detto il Re sole, che vuole che “il Re non fa corna”.
“La casta è casta e va si rispettata, ma voi perdeste il senso e la misura” diceva il grande comico Totò in ‘A livella” e mai parole furono così profetiche e attuali.
Ma il problema non è tanto questo, la riflessione ci porta a considerare che se Berlusconi arriva a manifestare l’intenzione di andarsene da questo Paese, cosa dovremmo fare noi poveri e comuni mortali, cosa dovrebbero fare i tanti precari che, a dirla con Ungaretti stanno “come d’autunno sugli alberi le foglie”, i pensionati al minimo, i ricercatori a meno di mille euro al mese, gli operai in casa integrazione e, per primi, i tanti che non trovano o hanno perso il lavoro e che hanno una famiglia da mantenere e non sanno dove sbattere la testa.
Certo, c’è la crisi, una crisi che la politica si sforza di definire epocale, una crisi che impone sacrifici a tutti meno che alla casta, di destra o di sinistra che sia, che non intende rinunciare, oltre al lauto stipendio di cui gode, ai tanti benefici extra large che vanno da un pasto a base di ostriche al costo di una pizza sino alle cure estetiche concesse, per gentile intercessione di chi di competenza, anche ai familiari.
La crisi c’è ma non certo per loro, non c’è per i tanti imprenditori che fanno razzia di appalti in affidamento diretto, non c’è per i tanti consulenti che nessuno ha ancora capito quale sia il loro ruolo, non c’è per i faccendieri di turno e per i funzionari delle tante società fantasma come quella per il ponte sullo stretto di Messina che ormai da decenni foraggia personaggi riciclati che hanno solo partorito un ponte di carta che rimane ancora un discusso progetto del quale si parla senza che si sia vista ancora neanche la posa della prima pietra.
Berlusconi vuol dunque andare via da questo paese, ma lui ha dove e come andare, il peggio è di coloro i quali, come noi, merda o non merda, sono costretti a restare dove sono perché non saprebbero dove andare e come andare, anche perché ove si volesse pensare ad usare un aereo di Stato troveremmo che è impegnato in tutt’altro tipo di trasporto.
C’è da domandarsi allora è quale sia la soluzione per venire fuori dal pantano, un pantano generale nel quale Berlusconi non è il solo problema al quale l’Italia si trova a far fronte, ne è il male assoluto che molti vogliono far credere.
L’unica possibilità che rimane è trovare la capacità di compiere un ricambio generazionale non escludendo l’ingresso in politica di uomini nuovi con sufficiente esperienza manageriale, retrocedendo tutta quella schiera di personaggi ormai superati che ancora navigano nelle alte sfere e che continuiamo a vedere da almeno un ventennio ed anche oltre.
Quel che serve è una seria presa di coscienza, è il trovare la forza di uscire dall’anonimato e far sentire con decisione la nostra voce, e, soprattutto, trovare la forza di reagire a tutto quanto ci ha trasformato da “popolo sovrano” a popolo bue, tenuto in considerazione solo quando è chiamato a votare per chi si presenta con fare suadente caricandoci di promesse che non manterrà mai e che finirà per far tutto il contrario di quello per il quale ha assunto impegno chiedendoci il voto.
Se non riusciremo a far questo non ci resta che turarci il naso e restare ancora qui a ripeterci, con il grande Eduardo in Napoli milionaria, “Ha da passà ‘a nuttata”, o con Marcello D’Orta “Io speriamo che me la cavo”, ma sarà solo una pia illusione.
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