“Il Governo vara il decreto sull’economia, ma manca un disegno per lo sviluppo del Paese”
redazione | Il 07, Mag 2011
Le opinioni di Bruno Morgante in merito all’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del Def (Documento di economia e finanza)
di BRUNO MORGANTE
“Il Governo vara il decreto sull’economia, ma manca un disegno per lo sviluppo del Paese”
Le opinioni di Bruno Morgante in merito all’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del Def (Documento di economia e finanza)
Il Consiglio dei Ministri ha approvato il Documento di economia e finanza (Def), il vecchio Dpef , contenente il piano per le riforme a sostegno dell’economia.
Ci sono molte misure che interessano i cittadini, alcune molto interessanti perché semplificheranno la vita. Un esempio concreto è quello che non si dovrà comunicare ogni anno il carico di famiglia per gli sgravi fiscali, ma si dovrà farlo solo se ci saranno variazioni da comunicare.
In questo articolo ci interessa una valutazione sull’incidenza a breve e nel tempo sull’economia del paese, sul carico fiscale per i cittadini, sull’occupazione, principalmente giovanile e femminile.
Il Documento prevede di portare il deficit annuale del bilancio dello Stato a zero nel 2014 ( attualmente è del 3,9% del PIL ) e di ridurre il debito complessivo, attualmente di 1.880 miliardi,pari al 120% del PIL, di un ventesimo ogni anno della parte superiore al 60% a partire dal 2015.
Significa recuperare nel bilancio annuale, rispetto ad oggi, nel 2014 circa 60 miliardi di euro ( un 1% del pil corrisponde all’incirca a 15 miliardi di euro).
Il recupero può avvenire o risparmiando e tagliando spese rispetto ad oggi o aumentando le entrate.
Non è stato presentato un piano di tagli o di riconversione della spesa pubblica, per cui si può solo sperare che non aumenti, come è successo costantemente in questi ultimi venti anni, per cui il recupero non verrà da questo fronte.
Significa, quindi, che sono previsti considerevoli aumenti di entrata.
Il ministro Tremonti ha garantito che non ci saranno manovre lacrime e sangue e che si punta ad un aumento delle entrate determinate da una crescita del PIL che, dal 2012, sarà superiore al 2% l’anno con un trend in crescita, crescita dovuta a riforme della giustizia, della costituzione, del fisco, tutte riforme a costo zero, che saranno approvate in questi due anni, oltre a misure per il Mezzogiorno e per la ricerca e lo sviluppo delle imprese.
Rispetto al fatto che si son dovuti rivedere al ribasso le previsioni di crescita di questo anno, dall1,5% all’1,3%, con conseguente diminuzione delle entrate, il ministro ha garantito che non vi saranno consistenti manovre correttive ( è un eufemismo per indicare prelievo dalle tasche dei cittadini con nuove tasse o aumenti di tariffe o altro ancora ) nella metà dell’anno, per cui possiamo prevedere soltanto una manovrina.
Da questo resoconto si evince che l’Italia punta a una politica economica prudente, di consolidamento, con un monitoraggio e un controllo continuo dei conti pubblici, traguardo già alquanto ambizioso in confronto all’andamento degli ultimi anni, da una parte per tranquillizzare i mercati e dall’altraconsolidare l’attuale assetto economico, in quanto non punta a grandi investimenti in infrastrutture, in innovazione tecnologica, in formazione e ricerca, in internazionalizzazione delle imprese, non punta alla risoluzione del problema del Mezzogiorno sulla base di un progetto integrato, quantificabile nella necessità di risorse e nei tempi, con momenti di verifica e controllo, anche se sono previste misure positive.
Ciò è dovuto al peso dell’enorme debito pubblico, che non permette di liberare risorse da destinare a politiche di sviluppo o di fare politiche espansive puntando momentaneamente all’aumento del debito pubblico, come hanno fatto Germania e Francia in questo periodo, perché da noi il debito pubblico è oltre i limiti consentiti dal mercato.
Siamo come una famiglia che ha debiti e che ogni anno spende più di quanto guadagna , per cui prima di tutto deve pensare a risparmiare per incominciare a ridurre il debito, prima di pensare a ristrutturazioni della casa, a cambiare i mobili, a fare altri debiti, perché nessuno le farebbe credito.
E’ una politica virtuosa, ma rischiosissima e di corto respiro perché esposta ai contraccolpi di crisi esterne, come quella degli ultimi anni, con contrazione dei mercati esteri e caduta delle esportazioni e di crisi interne dovute all’aggravarsi di situazioni sociali, che non trovano soluzione nelle politiche approvate e che in prospettiva potranno generare tensioni con sbocchi non prevedibili.
La società italiana che descrivono gli istituti di ricerca e di statistica, dal CENSIS all’ISTAT, è una società invecchiata.
Più di due milioni di giovani sotto i trenta anni, quasi il 30% del totale, e il 50% delle donne sono fuori dal mercato del lavoro, cittadini a metà perchè manca loro la fase formativa più importante della vita che è l’esperienza lavorativa.
Nel Sud i giovani disoccupati arrivano al 50% e le donne disoccupate al 70%.
La maggior parte di chi ha trovato un lavoro, spesso precario (sono ormai quattro milioni), lo ha trovato dopo i trenta anni.
Da una ricerca di Infocamere è emerso che gli imprenditori under 30 sono appena il 7% del totale e vi è stata negli ultimi cinque anni una diminuzione del 16%, mentre crescono gli imprenditori over 70, che sono l’8,8%.
Manca alla società italiana la fase innovativa e creativa dei ventenni che vogliono misurarsi con l’iniziativa imprenditoriale.
Le più grandi imprese innovative degli ultimi decenni ( Microsoft, Google, etc..) nel mondo le hanno create ventenni e nemmeno una è italiana.
Dopo i trenta anni si cerca la sicurezza e si disperde la spinta ribelle e innovativa.
C’è un’Africa del Nord, che si affaccia sul Mediterraneo, in subbuglio, ma in crescita, verso cui guardare e da integrare, naturale partner di un progetto di sviluppo del Sud, e non solo del Sud.
Invece popola nostri incubi, indotti da una politica miope e retriva, che paventa invasioni e meticciato.
C’è una Cina sempre più ricca, con un miliardo e mezzo di abitanti, affascinata dall’Italia, da capire e con cui operare scambi, invece vediamo solamente il dato immediato dell’invasione dei nostri mercati con prodotti concorrenziali nella gamma bassa dei consumi.
Siamo fermi e impauriti.
Chi ha costruito qualcosa difende il suo e non rischia.
Al massimo delocalizza oltre confine per risparmiare, fino a quando è possibile, sulle tasse e sul costo del lavoro.
Abbiamo una politica che vive di spot e si nutre di sondaggi, derivanti dagli annunci, e che non pensa al futuro, ma vive alla giornata per cui ha bisogno di appoggiarsi al populismo e alla demagogia per sopravvivere.
E’ un declino lento ma inesorabile, perchè la società è narcotizzata e sempre più chiusa in se stessa e nella difesa dei propri egoismi e, senza che ce ne rendiamo conto, si abbassa sempre più il livello di sensibilità democratica.
Sicuramente sono necessari profondi cambiamenti che presuppongono una disponibilità di risorse adeguate, che oggi non ci sono e che le misure del governo non individuano come reperire, né ora, né nell’immediato futuro, mentre un’intera generazione si perde.
Giuliano Amato, in termini personali e non a nome di qualche partito o schieramento ha avanzato proposte per affrontare con risolutezza e in forma straordinaria il problema del debito pubblico per liberare le risorse necessarie per politiche espansive e di modernizzazione del paese e dell’economia.
Queste proposte prevedevano una tassazione drastica e straordinaria una tantum, come si fece per entrare in Europa, per abbassare immediatamente il debito pubblico all’ 80% del PIL ( è l’obiettivo che si prefigge il Def varato dal Governo in un arco lunghissimo di anni) chiamando a contribuire i ceti medio alti e coinvolgendo tutti i redditi, non solo quelli da lavoro dipendente. I redditi medio bassi dovrebbero essere esentati per garantire il livello dei consumi.
Subito si è scatenata la vandea di chi ha gridato che è la solita sinistra che vuole la patrimoniale.
La sinistra si è premurata a disconoscere la proposta e a prendere le distanze da Amato, accusando la destra di predicare bene e di razzolare male, in quanto da quasi venti anni dichiara di voler abbassare le tasse, ma quando ha governato le ha aumentate.
Ma è poi così scandalosa questa proposta?
C’è un’alternativa praticabile, che permetta di avere risorse a disposizione per un progetto di modernizzazione e rilancio del paese?
Se si chiedesse di farsi carico di questo problema ai redditi, di qualunque natura, superiori a quarantamila euro l’anno probabilmente con un sacrificio sopportabile si potrebbe raggiungere l’obiettivo.
Sarebbe una misura di equità sociale perché verrebbero chiamati a contribuire non solo i redditi da lavoro medio-alti, ma anche i redditi da capitale, da indennità, da patrimonio, da rendite finanziarie.
Sarebbe giusto esentare i redditi da lavoro medio-bassi e i pensionati non solo per mantenere i livelli di consumo, ma anche perché in questi anni hanno dato in abbondanza.
L’ultimo prelievo, pari a un anno di reddito, è stato effettuato con la legge del 30 Luglio 2010, con la quale si è stabilito che i lavoratori dipendenti, escluso i lavoratori della scuola, percepiranno l’assegno di pensione dopo dodici mesi che hanno maturato la pensione, sia essa di vecchiaia, che di anzianità.
Un dipendente che ha maturato quaranta anni di servizio dovrà lavorare un altro anno e versare i contributi che non gli serviranno a niente perché la pensione massima la ha già maturata.
Dopo un anno prenderà l’assegno di pensione.
La pensione di quell’anno e i relativi contributi versati sono andati a sanare il deficit dello Stato.
Lo stesso vale per chi ha raggiunto i sessantacinque anni di età ed avrebbe diritto alla pensione di vecchiaia.
Se uno arriva a sessantacinque anni da disoccupato, anche se ha versato contributi sufficienti per avere diritto alla pensione, l’assegno di pensione lo prenderà dopo un anno.
Questo furto di un anno di reddito lo hanno chiamato finestra mobile per andare in pensione.
Se dai pensionandi è stato lecito pretendere un anno di reddito, perché l’età del pensionamento non è cambiata ( quaranta anni di contributi per la pensione di anzianità e sessantacinque anni per la pensione di vecchiaia), è cambiata la data di erogazione dell’assegno di pensione, perché sarebbe così scandaloso chiedere un sacrificio in fondo minore a categorie di contribuenti molto più abbienti?
Ma nessun governo avrà la forza per prendere misure impopolari nei confronti dei ceti più forti e il prezzo più alto lo pagheranno immediatamente i giovani a cui è stato rubato il futuro.
redazione@approdonews.it