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TAURIANOVA (RC), SABATO 14 DICEMBRE 2024

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“La parabola dell’Ulivo”, un nuovo libro di Gerardo Bianco

“La parabola dell’Ulivo”, un nuovo libro di Gerardo Bianco

| Il 07, Mag 2013

La storia di una sconfitta per aprire nuove prospettive politiche

di BARTOLO CICCARDINI

“La parabola dell’Ulivo”, un nuovo libro di Gerardo Bianco

La storia di una sconfitta per aprire nuove prospettive politiche

 

di Bartolo Ciccardini

 

 

Gerardo Bianco esce con un nuovo libro (La parabola dell’Ulivo 1994-2000. Conversazione
con Nicola Guiso. Ed. Rubettino), la continuazione del precedente libro “la Balena
Bianca”, che riassumeva la storia del periodo che andava dalla caduta del Muro all’inizio
della grande transizione. Quindi nel nuovo libro ci sono avvenimenti importanti e
drammatici che narrano la crisi della Democrazia Cristiana, il cambiamento del nome
fatto da Martinazzoli in Partito Popolare, l’accordo con i popolari della riforma
di Segni, la catastrofe elettorale del 1994, il susseguente ritiro di Martinazzoli,
la segreteria di Buttiglione, la prima scissione di Casini, la forzata scelta a destra
di Buttiglione per Berlusconi, la dichiarazione ufficiale della fine dell’unità politica
dei cattolici fatta dal Cardinal Ruini (in appoggio alla scissione di Buttiglione),
la conseguente segreteria d’emergenza dello stesso Gerardo Bianco, la vittoria dell’Ulivo,
la lunga travagliata gestione del governo Prodi, fino alla successiva vittoria di
Berlusconi.

Di fatto Gerardo Bianco è l’ultimo segretario del partito Popolare e la riscrittura
accurata di quegli avvenimenti dal suo punto di vista è preziosa per la comprensione
di uno dei periodi più difficili della nostra storia.

Gli scopi principali

Mi sembra di poter dire che i principi informatori o perlomeno lo scopo principale
che Bianco si propone in questo suo memoriale, sono questi: innanzitutto la difesa
del giudizio storiografico della DC ed il suo ruolo “quale struttura portante della
democrazia italiana nel secondo dopoguerra” contro il tentativo di dare “legittimità
storica alla teoria complotti sta del “doppio stato” per la quale gli americani e
la mafia con il supporto della Dc avrebbero comandato in Italia dal 1943 in poi”.

La difesa del giudizio storico sulla DC contro i pregiudizi delle Brigate Rosse prima
e dei protagonisti della lunga transizione dopo, ivi compreso lo stesso Berlusconi,
sono un punto fondamentale dell’azione politica, ma soprattutto della cultura di
Gerardo Bianco, che ne fa l’asse portante dei suoi scritti.

La seconda linea direttiva è rappresentata dalla sua avversione al sistema maggioritario
ed al sistema presidenziale. Dice nella sua prefazione Nicola Guiso: “La tesi sul
maggioritario fu sempre contestata da Bianco, per il quale il valore del sistema
proporzionale (corretto da un’adeguata sbarramento percentuale alle liste per concorrere
al riparto dei seggi ed alla adozione della sfiducia costruttiva per poter sfiduciare
il governo”) era nato non solo dal fatto che, storicamente, si era dimostrato il
più rispondente alla realtà culturale, sociale e politica della tradizione italiana
e, in particolare, dalla prova, largamente positiva che aveva dato tra il 1946 ed
il 1992″.

Gli avvenimenti

Non è possibile, non dico riassumere, ma neppure elencare tutti gli avvenimenti che
Gerardo racconta, spiega ed analizza. Ma su alcuni dobbiamo per forza soffermarci.
È importante che dopo il ritiro passionato e teatrale di Martinazzoli ci si rivolgesse
ad una personalità che poteva rappresentare il mondo cattolico, nella sua parte più
attiva, Comunione e Liberazione, con la speranza che il rinnovamento desse nuova
linfa al nuovo Partito Popolare. Buttiglione fu la scelta sbagliata di Marini, dello
stesso Martinazzoli e di De Mita. È interessante notare che dopo la catastrofe elettorale
che aveva vanificato l’apporto di Segni nelle elezioni del 1994, il Partito Popolare
era di fatto rappresentato dalla sinistra del Partito, la sinistra di base con Martinazzoli
e De Mita e la sinistra sociale con Marini. E’ incredibile che questi si siano rivolti
con fiducia ad un esponente di Comunione e Liberazione come Buttiglione, che farà
una scissione per portare quello che restava della DC alla coorte di Berlusconi.
È importante notare il giudizio di Bianco: “E’ mancato comunque un adeguato momento
di riflessione, una Nuova Camaldoli, per riflettere sulle cause che avevano determinato
la disgregazione di blocchi sociali politicamente orientati, che avevano assicurato
all’Italia decenni di sviluppo civile e sociale nell’ordine e nella libertà (.) Dopo
le elezioni l’impegno sembrò limitarsi ad una contrapposizione nei confronti del
Governo Berlusconi percepito come un’anomalia politica, senza partire da un’analisi
critica delle nuove realtà”.

È interessante notare che l’esigenza di una Nuova Camaldoli che è riapparsa nelle
iniziative promosse da Gerardo Bianco alla fine dell’esperimento berlusconiano, siano
riconosciute come un’esigenza già necessaria dall’ormai lontano 1993.

Nel 1994 vince Berlusconi impadronendosi di gran parte dell’elettorato democratico-cristiano
e Ochetto si dimette. Ochetto e Scalfaro avevano fatto in modo che non si formasse
un governo di Segni dopo l’esito del referendum, e Segni non aveva accettato la designazione
di Prodi, Presidente del Consiglio, perchè era evidentemente fatta contro di lui.
Scalfaro riuscì a formare un governo Ciampi, che cadrà proprio quando D’Alema ritirerà
i suoi ministri per il voto delle Camere contro l’arresto di Craxi. Le improvvide
elezioni anticipate portano alla vittoria Berlusconi.

Buttiglione si decide a scegliere l’alleanza di destra con Berlusconi. Dice Gerardo
Bianco: “Egli giustificò la scelta con la convinzione che a destra vi fosse una grande
forza elettorale, ma che mancavano i dirigenti capaci di guidarla e di valorizzarne
la forza sul terreno politico ed istituzionale. Fu un grave errore di valutazione
che abbiamo tutti pagato”. E che stiamo ancora pagando, considerando quanti hanno
appoggiato Berlusconi con la speranza di conquistare dall’interno la guida del blocco
che Berlusconi aveva saputo creare, ma che riteneva suo e soltanto suo.

La scelta di Buttiglione snaturò il Partito Popolare e soprattutto la sua componente
principale: la corrente di sinistra di base.

C’è una interpretazione interessante sulla vicenda, nella quale Bianco riconferma
la sua tradizionale avversità al presidenzialismo, in favore di una centralità del
Parlamento. Scrive infatti: “Credo che sia stata proprio la mancata o inadeguata
valorizzazione del Parlamento (.) a creare nuove tensioni e rotture con la Lega.
Non dobbiamo dimenticare che è in Parlamento che abbiamo realizzato la trasformazione
e lo sviluppo del Paese, abbiamo vinto il terrorismo e superato gravissime crisi
economiche. Resto convinto che il Parlamento era ed è il luogo dove si devono trasferire
i confronti ed i conflitti e dove questi possono essere risolti. Se ciò non accade
rischiano di trasferirsi nella piazza. Per questi motivi sono stato e sono contro
il “presidenzialismo” (.)”.

Questa concezione tradizionale nei Popolari a favore di una centralità del Parlamento,
di un’avversità del presidenzialismo e con esso della scelta personale e del collegio
uninominale e quindi a favore della proporzionale, è una caratteristica della sinistra
democratico-cristiana che egemonizza l’atteggiamento del Partito Popolare e che creerà
uno dei problemi più difficili della transizione, la stabilità di governo e la connessa
legge elettorale, per realizzarla.

Ma altri problemi incombono sul Partito Popolare, nell’anno cruciale del 1995. Il
2 Febbraio Romano Prodi, con l’appoggio di Segni, che era uscito sconfitto assieme
a Martinazzoli fonda un “polo democratico” che sarebbe poi stato l’Ulivo. Il Partito
Popolare subisce da un lato la spinta di Buttiglione che vorrebbe portarlo a destra,
dall’altra l’attrazione di Prodi che proviene dalla sua medesima cultura politica.

Si preannuncia una situazione altamente pericolosa. Ricorda Bianco: “L’unica strada
possibile al PP era quella della massima unità di indirizzi operativa. Gli amici
che ho ricordato (la sinistra DC ndr.) invece, avevano ricominciato ad agire e a
comportarsi come la vecchia sinistra democristiana e questo consideravo, e continuo
a considerare che sia stato un errore”.

Ma non per questo Gerardo Bianco si schiera con Buttiglione. Anzi, assecondato da
De Rosa, con cui aveva fatto un bellissimo lavoro quando erano entrambi presidenti
dei gruppi (della Camera e del Senato) dava un giudizio molto severo di Buttiglione:
“Ero d’accordo con De Rosa che Buttiglione, pur essendo persona di notevole cultura
filosofica-cattolica, non fosse un buon interprete della peculiare tradizione democristiana”.

Dal diario di Gabriele De Rosa emerge il ricordo di una cena in casa Bianco e qui
Gerardo ricorda: “In quella sede noi presenti, compreso, come nota De Rosa, Ciampi,
giungemmo alla conclusione che era nell’interesse del paese ed anche del partito
puntare sull’iniziativa di Prodi”. (.) In quella fase vi era stata una presa di posizione
a favore di Prodi da parte del Presidente del Consiglio Nazionale Giovanni Bianchi,
di Mancino e di Andreatta. (.) Avevano ricominciato ad agire e a comportarsi come
la vecchia sinistra cristiana e questo consideravo e continuo a considerare che
sia stato un errore”.

“Al fondo del disegno di Buttiglione c’era l’illusione di sostituire Berlusconi nella
guida del centro-destra, in base ad una pretesa di una sua superiorità politica e
culturale rispetto a Forza Italia. Buttiglione ragionava in termini astratti senza
tener conto della personalità di Berlusconi resa evidente da fatti ed atteggiamenti
del leader di Forza Italia che lo rendevano un esempio di autostima fino all’esaltazione
anche in ambito politico”.

Come si vede, l’illusione di molti cattolici di poter egemonizzare la forza di Berlusconi
per poi correggerla e magari ereditarla è un tema ricorrente nel rapporto fra cattolici
e berlusconismo. A Febbraio la linea di Buttiglione viene sconfitta nel Consiglio
Nazionale che approva un documento favorevole ad un’intesa con Prodi. Buttiglione
annuncia le sue conseguenti dimissioni, ma poi, dominato da Formigoni, decide di
non dimettersi e di fare, contro il mandato del Consiglio Nazionale, l’alleanza con
la destra.

Da qui nascerà una spiacevole ed imbarazzante situazione con ricorsi alla magistratura
e divisioni dei titoli dei giornale e degli emblemi come nei peggiori divorzi. Raccontando
questa fase Bianco dà un acuto giudizio su Formigoni: “Un personaggio sul quale ho
sempre avuto molte riserve, capace di atteggiamenti sottomessi per soddisfare le
su ambizioni, salvo poi ad impennarsi una volta ottenuto lo scopo. Sono stato testimone
di questi atteggiamenti in alcuni incontri con Martinazzoli: (.) lo considero soprattutto
un abile uomo di potere, ma non un politico sul quale contare. Egli è stato il principale
ispiratore di Buttiglione nella rottura del PPI calcolando di potersene giovare a
Milano dove brillava ormai l’astro di Berlusconi”.

Questa vicenda che si chiude tristemente dà l’occasione a Gerardo Bianco di dare
una definizione del patrimonio storico della DC che mi pare essere il punto centrale
del libro e del suo pensiero: “Era convincimento della grande parte della classe
dirigente della DC che la forza della democrazia e della libertà alla base dell’alleanza
della DC con i partiti di democrazia laica e socialista, avrebbe finito per influire
sugli orientamenti del PCI (.), liquidandone i miti fino a fargli prendere atto del
valore della superiorità degli indirizzi che guidavano lo sviluppo del Paese”. Del
resto un riconoscimento effettivo della politica estera pro-occidentale dell’Italia
era stato già approvato nel 1977 in un documento parlamentare che per la prima volta
aveva accanto alla firma di Flaminio Piccoli, anche la firma del Presidente dei deputati
comunisti, Alessandro Nazza, documento sul quale Arnaldo Forlani, Ministro degli
Esteri, espresse parere favorevole.

In quel momento di massima crisi venne eletto come Segretario del PPI che Buttiglione
continuava a considerare illegittimo, Gerardo Bianco, su proposta di Franco Marini,
il 25 Marzo all’unanimità e con voto segreto.

Di questo momento drammatico Gerardo Bianco ricorda che alla rottura autoreferenziale
di Buttiglione si aggiunse due giorni dopo la decisione del Cardinale Ruini, Presidente
della CEI, che, addolorato della violenta conflittualità nel Partito di ispirazione
cristiana, prendeva atto che era giunto alla fine “l’impegno unitario organizzato
dei cattolici in ambito politico”. (Avvenire 28 Marzo 1995).

Si tratta di una decisione molto importante finisce un periodo della storia dei cattolici
italiani che viene chiuso senza commozione e senza riguardo.

L’unità politica dei cattolici, ritenuta una necessità dei tempi duri in cui la Chiesa
si sentiva in pericolo per l’assalto dei comunisti all’Europa, non era stato soltanto
un argine difensivo, era stata anche la grande assunzione di responsabilità politica
che rese possibile la rinascita italiana.

Si può pensare anche che la caduta del Muro di Berlino sia stata la causa effettiva
di questo “rompete le righe”, ma in realtà la domanda di una maggiore flessibilità
sul modo di essere dei cattolici in politica si era molto diffusa dopo il Concilio.
Ma non c’è dubbio che senza negare la possibilità di espressioni diverse, la fine
dell’unità politica dei cattolici non è riuscita a realizzare una maggiore influenza
della ispirazione cristiana. Tutt’altro: la diaspora che nasce da questo evento è
stata vuota, inefficace e dannosa per l’Italia.

È ormai necessaria una meditazione su questo valore e la ricerca di una soluzione
che rispettando la libertà dei diversi orientamenti garantisca la possibilità di
stare assieme nelle cose che contano, ivi compresa lo stato di salute dell’Italia.

Ma forse il Cardinal Ruini non aveva presente la fine dell’organismo politico che
era stato prezioso per l’Italia, ma voleva raggiungere uno scopo di breve termine,
quello di prendere in mano il rapporto con il Governo e con la politica italiana
senza intermediari e, nel momento specifico della crisi provocata da Buttiglione,
il suo intervento era un appoggio obiettivo al progetto di Formigoni ed, in definitiva,
al progetto berlusconiano.

Comunque l’allegro disegno dei cattolici cosparsi, dappertutto, come il rosmarino
sopra pezzi diversi di arrosto misto, va ripensato culturalmente e ridefinito praticamente.

Partendo da un principio diverso: che l’unità dei cattolici non sia necessaria soltanto
come strumento di difesa dei cattolici, ma sia necessaria soprattutto come strumento
di edificazione della società italiana.

In questa difficile situazione Gerardo Bianco si assume il compito di affrontare
le elezioni amministrative regionali dell’Aprile 1995. Il PPI passa dall’10% al 7%,
che in quella situazione disastrosa può essere considerato un miracolo. Gerardo Bianco
salvò il PPI che potè in questa maniera svolgere una funzione molto importante nella
creazione dell’Ulivo e nella vittoria di prodi del 1996.

Prodi aveva iniziato la sua impresa dicendosi che si sentiva di casa nel PPI. In
qualche modo aveva ereditato quello che restava dell’ondata riformatrice di Mario
Segni e ci teneva ad una certa indipendenza critica. Anche il Partito Popolare dava
a Prodi un’adesione profonda, considerando che appartenevano alla stessa cultura,
ma ragionata. Ricorda Gerardo Bianco: “(…) incalzava l’iniziativa di prodi, e per
questo mio atteggiamento prudente fui sospettato di essergli contrario. Non lo ero
affatto, ma volevo che la sua iniziativa maturasse partendo una premessa: cancellare
il “prodismo” che da essa affiorava, cioè un’idea demiurgica della politica, che
aveva quale strumento l’Ulivo partito unico, con conseguente liquidazione dell’intuizione
feconda dell’Ulivo coalizione. Per me era necessario invece lavorare per giungere
alla formazione di un solido sistema di alleanze di centro-sinistra, con il trattino
lungo, obiettivo che aveva sempre ispirato la mia vita politica e che ritenevo fosse
reso concreto in quel momento dall’evoluzione del PDS dopo che alla sua guida era
arrivato Massimo D’Alema”. Riconosciamo subito in questa posizione di amore-gelosia
le due anime della Democrazia Cristiana. Da un lato, l’anima dei riformatori, che
hanno elaborato una cultura della crisi dei Partiti e della necessità della loro
riforma, filone che parte da un apprezzamento delle forme elettorali in cui viene
ricondotta entro i suoi limiti il potere di scelta dei partiti e viene aperta una
via di maggior partecipazione (elezione diretta del sindaco, sistema maggioritario,
collegio uninominale, primarie). È la linea che dal Convegno di Sorrento di Rumor
e Sullo arriva alle riforme statutarie degli anni ’80, al moto referendario degli
anni ’90, ed al cambiamento della legge elettorale.

A questo filone appartiene Prodi. L’altro filone è quello della sinistra DC che pensa
che il voto popolare sia un voto quantitativo e che la scelta di partito delle persone
e dei programmi all’interno del potere delegato dal voto popolare sia il voto qualitativo.

È una concezione che prevede delle aristocrazie formate e competenti ed una mediazione
fra popolo ed istituzioni che si esprime attraverso la rappresentanza proporzionale
di tutte le forze politiche nel Parlamento. Prodi era più legata alla prima tradizione.
Gerardo Bianco più alla seconda. Ma entrambi avevano quel tratto di civiltà politica
che permette di capire, l’uno le ragioni dell’altro.

Qual è il giudizio su Prodi di Gerardo Bianco? È questo: “(.)Molto positivo, considerate
la natura e la dimensione dei problemi che dovette affrontare; e per la capacità
dimostrata a realizzare l’obiettivo prioritario che si erano proposti il Governo
ed il PPI: l’ingresso dell’Italia nell’area dell’euro sin dal momento della sua creazione.
Meno positivo è il mio giudizio su come Prodi si mosse nel contesto partitico parlamentare,
credo per la poca dimestichezza che aveva con quelle prassi e quelle procedure”.

“(.) negli anni della mia segreteria quand’egli guidò egregiamente il governo ci
riconoscemmo e si riconobbe con i fatti negli indirizzi solidaristici e riformisti
della grande tradizione democristiana”.

È molto interessante il giudizio che Bianco dà al Congresso del PDS del 1995. Al
Congresso è presente una delegazione di Forza Italia guidata da Berlusconi e l’Unità
del 7 Luglio 1995 si espone: “Con questa destra italiana si deve convivere e si deve
anzi lavorare per dare un fondamento ed una comune responsabilità nel guidare questa
transizione, nel definire le nuove regole e nell’ammodernare l’impianto istituzionale
e costituzionale”. Tutti sappiamo come questo progetto di D’Alema sia finito sulle
sabbie mobili dell’opportunismo berlusconiano. Ma è interessante il commento di Bianco
che parla di “un disegno perseguito con intelligenza e tenacia da tutti i leader
democristiani – quello cioè di rendere solida e stabile la democrazia italiana, includendo
a pieno diritto nel sistema istituzionale tutte le forze politiche più rappresentative
del Paese”.

Questo disegno, secondo Bianco, ha ispirato non solo De Gasperi e le sinistre democristiane,
ma anche i dorotei. E conclude Bianco: “Non va dimenticato che la leadership di Moro
nasce da quel contesto”.

Secondo Bianco: “Una delle più gravi responsabilità politiche di Berlusconi è quella
di aver preferito lo scontro manicheo, continuando a delegittimare l’avversario”.
Il risultato è stato la crisi della seconda repubblica. Nel 1995 anche Buttiglione
fa il Congresso della CDU, il gruppo che è uscito dal Partito Popolare per trovare
rifugio nelle braccia di Berlusconi. Il Congresso si basa sulla difesa dei valori
irrinunciabili. Dice Bianco: “Buttiglione proponeva valori e principi di per sé validi,
ma che finivano per restare declamazioni, perché ciò che risultava politicamente
rilevante era la sua collocazione al fianco di Berlusconi”.

Questa scelta infelice rendeva strumentale il richiamo ai valori “irrinunciabili”.

All’inizio del ’96 cade il Governo Dini.

D’Alema tenta di portare a termine il progetto di riforma costituzionale che Berlusconi
aveva favorito, ma Berlusconi punta ad una sua rivincita personale, sfratta l’accordo
con D’Alema in sede di commissione bicamerale, impedisce un tentativo di fare un
governo presieduto da Maccanico, ed il Presidente Scalfaro è costretto a sciogliere
le Camere e a fissare le elezioni. È un’operazione che Berlusconi ripeterà spesso
nel cammino della seconda Repubblica. De Rosa scrive sul suo diario un commento di
G. Bianco: “Per mediare troppo abbiamo rischiato di perdere l’anima”. Gabriele De
Rosa commenta: “In poche parole, è racchiusa tutta la storia della Dc del dopoguerra,
bravo Gerardo”.

E qui incomincia la storia del lungo rapporto con Prodi.

Buttiglione, Casini e Mastella erano divenuti “organici con Berlusconi”. Gerardo
Bianco tenta un accordo con Romano Prodi perché fosse ad un tempo capo della coalizione
dell’Ulivo, ma anche leader del Partito Popolare. Una lista “Popolari per Prodi”
fu presentata dalla parte proporzionale del PPI, PRI, SVP.

In queste elezioni si manifesta una diversa concezione dell’Ulivo tra Gerardo Bianco
e Romano Prodi che poi si svilupperà e avrà delle conseguenze. “Qualche dirigente
riteneva che ci fossero già le condizione perché da coalizione l’Ulivo si trasformasse
in forza politica unitaria. Io obiettavo che l’Ulivo era lo strumento flessibile
che tale doveva restare”. Gerardo Bianco fu sempre favorevole ad una coalizione e
sfavorevole ad un soggetto politico unitario.

Dice Gerardo Bianco: “Purtroppo il modello della coalizione fu abbandonato per inseguire
la successione del grande partito unitario dell’Ulivo, con le conseguenze negative
rese evidenti dalle vicende di qualche anno dopo”.

Prodi forma il suo Governo con Vicepresidente Veltroni, Giorgio Napolitano agli Interni,
Lamberto Dini al Tesoro, Ciampi al Bilancio, Giovanni Maria Flick alla Giustizia,
Beniamino Andreatta alla Difesa, Luigi Berlinguer all’Istruzione, Rosy Bindi alla
Sanità ed Antonio Di Pietro ai Lavori Pubblici.

Gerardo Bianco registra già alcune difficoltà: il governo dipende molto dai voti
di Rifondazione Comunista, anche se non ci fu da parte loro nessuna difficoltà alla
realizzazione degli obiettivi europeisti del Patto di Maastricht. In realtà la interferenza
più grande non fu nel programma ma nel passo indietro fatto da Rifondazione al momento
del voto di fiducia. Anche se D’Alema ebbe per tutto il periodo il sospetto che Prodi
usasse un trattamento preferenziale con Rifondazione e quindi lo scavalcasse a sinistra.

Il 12 gennaio del 1997 Franco Marini viene eletto Segretario del Partito Popolare
e Gerardo Bianco diventa Presidente del Consiglio Nazionale.

Bianco esprime anche un giudizio positivo sulla commissione parlamentare per le riforme
istituzionali e sotto la presidenza D’Alema cominciò a lavorare nel febbraio del
1997.

Scrive: “La commissione Bozzi aveva fatto un buon lavoro, come lo fece la Commissione
De Mita-Iotti che alla fine del ’93 aveva completato e predisposto un quadro organico
di proposte. (.) Questo mi rafforzava nella convinzione che fosse un grave errore
lo scioglimento anticipato delle Camere che avrebbe avuto la conseguenza di rendere
inutile il lavoro di questa nuova commissione”. Ma ancora una volta Berlusconi preferì
ribaltare il tavolo della Commissione per perseguire la rivincita con lo scioglimento
della Camera. Nell’ottobre del ’97 Rifondazione Comunista affondò il Governo Prodi.

Il 1 febbraio nel 1998 Berlusconi viene meno all’intesa di casa Letta per una legge
elettorale a doppio turno. Propone la proporzionale con lo sbarramento del 5% e l’elezione
in Parlamento del Cancelliere.

La proposta rimandava in alto mare tutto il lavoro svolto dalla commissione.

Dice Gerardo Bianco: “Devo dire che per me la fine della bicamerale fu un’amara sorpresa,
perché, invece di diventare luogo per correggere le parti della Costituzione, divenne
il luogo per accentuare ed esasperare i confronti politici. Mancava lo spirito costituente”.

Nel 1999 sono possibili candidati al Quirinale Ciampi e la Jervolino. Bianco ritiene
che Ciampi abbia le migliori possibilità di riuscire e la stessa Jervolino ritira
la sua candidatura. Bianco racconta: “Ciampi mi telefonò al partito, con molta correttezza
mi disse che sapeva dell’andamento dei nostri dibattiti interni, ma rispettava le
nostre decisioni che dovevamo prendere in assoluta libertà. Gli anticipai che sarebbe
stato lui il candidato anche nostro”.

Quando Gerardo Bianco lascia la Segreteria il PPI si avvia verso la sua sparizione.
L’Ulivo scelse come suo candidato Rutelli ed Andreotti per suo conto fondò il Movimento
“Democrazia Europea”.

Dice Bianco: “Ma questa del leader restava comunque una scorciatoia, poiché, invece
di affrontare la crisi culturale e politica dei partiti apertasi in quegli anni li
sviava verso la soluzione carismatica, che era la stessa strada perseguita dal berlusconismo,
all’epoca, più attrezzato ed attraente. Occorreva, invece, un’approfondita riflessione
sulle grandi questioni aperte nel mondo e d in Italia dalla organizzazione economica
e dalla unità monetaria europea”.

A questo punto Gerardo Bianco, che avrebbe preferito una scelta federativa delle
formazioni politiche di centro-sinistra si rende conto della fine di un periodo storico.
Nel 2001 Berlusconi vincerà e si aprirà il decennio catastrofico del declino italiano.

Così commenta la fine del Partito Popolare (e dell’Ulivo) Piero Craveri: “In questo
quadro la tradizione del cattolicesimo sociale avrebbe certamente potuto dare un
contributo.(.)L’aver abbandonato questa deriva di autonomia e di capacità di sintesi
politica è stato un inutile cedere alla radicalizzazione della lotta politica che
in Italia ha impoverito oltre ogni limite la capacità di pensiero e di azione pubblica.
Bianco ci racconta in realtà la storia di una sconfitta in cui il senso della storia
sembra andare oltre, senza rinnovare tuttavia le vecchie tradizioni politiche e lasciando
l’orizzonte privo di riferimenti. Su ciò si dovrà necessariamente tornare, anche
se in altro modo, per aprire nuove prospettive politiche”.