“Il 14 febbraio 2004 Marco Pantani non si suicidò. Il fuoriclasse di Cesenatico non era solo in quella maledetta camera d’albergo”. Dieci anni dopo, l’inchiesta della Procura della Repubblica di Rimini ha riaperto il caso
“Pantani non si suicidò”, riaperte le indagini sulla morte del Pirata
“Il 14 febbraio 2004 Marco Pantani non si suicidò. Il fuoriclasse di Cesenatico non era solo in quella maledetta camera d’albergo”. Dieci anni dopo, l’inchiesta della Procura della Repubblica di Rimini ha riaperto il caso
“MARCO Pantani è stato ammazzato”. Dieci anni dopo la sua morte, l’ultimo capitolo del romanzo triste solitario e finale di uno dei più grandi campioni di sempre deve essere riscritto. Per intero. La procura di Rimini ha riaperto il caso, e stavolta l’ipotesi investigativa, messa nero su bianco dal procuratore Paolo Giovagnoli, non è più quella, originale, di “morte come conseguenza accidentale di overdose”, ma quella ben più scabrosa di “omicidio volontario”.
Il fascicolo è stato affidato al pm Elisa Milocco ed è coperto, comprensibilmente, dal segreto più assoluto. Di quell’incartamento nei corridoi roventi della procura, si sa solo che è stato iscritto nel registro delle notizie di reato, e che non ci sono persone indagate, ma è presumibile che molto presto ce ne saranno. Scavando un po’, si riesce a scoprire anche un altro dettaglio decisivo per comprendere i contorni di una notizia che riscrive un pezzo della storia dello sport italiano, e cioè che tutto origina dalle indagini difensive di cui Tonina Pantani, la mamma di Marco, ha incaricato, quasi un anno fa, l’avvocato Antonio De Rensis. “Sono certa che mio figlio sia stato ucciso”, ha sempre ripetuto la donna, ma le sue dichiarazioni sono state viste come sfoghi.
Che più di qualcosa non fosse andato proprio come avevano ricostruito polizia e procura nelle indagini ufficiali, lo si è sempre detto e, soprattutto, scritto. Libri, interviste e inchieste giornalistiche, nel tempo, hanno messo in fila circostanze, fatti e dettagli in contraddizione tra di loro, se non letteralmente privi di senso. Ed è proprio partendo da quei dettagli che le indagini difensive sono ripartite per arrivare poi, dopo mesi di lavoro, sentiti i testimoni e interpellati i professionisti, a una conclusione ritenuta “oggettivamente molto più plausibile” di quella sino ad oggi ufficiale. Quella, appunto, che la procura ha qualificato nell’ipotesi di omicidio.
La pietra angolare di questo lavoro, l’elemento che ha persuaso definitivamente il procuratore Giovagnoli a partire con la nuova inchiesta, è la perizia medico legale eseguita per conto della famiglia Pantani dal professor Francesco Maria Avato, che alla fine del proprio lavoro conclude: “Le ferite sul corpo di Marco Pantani non sono auto procurate, ma opera di terzi”.