Quando i soldi sono “sporchi” per la Chiesa I vescovi non sono tutti uguali
«Le offerte che puzzano di ‘ndrangheta non si accettano. Nemmeno per costruire delle chiese». La notizia è di quelle forti, di quelle mai sentite, di quelle che nessuno se lo sarebbe mai aspettato. Vista la “cecità” nel contesto dove si è verificata l’azione dura e decisa ed ogni qualvolta si tratta di “cose” di Chiesa. Eppure il vescovo di Locri Francesco Oliva è stato chiaro: “Soldi sporchi” non ne vuole! Anche “a costo di rinunciare ai lavori”, quelli della costruzione del tetto della chiesa matrice di Bovalino, sfondato dall’alluvione.
Eppure la chiesa negli anni passati è stata sempre “infettata” da molteplici scandali quando oltre al Dio dell’infinito c’era il dio denaro a fargli concorrenza di fede. Ricordiamo i tempi della P2 di Licio Gelli, il cardinale Marcinkus, gli affari di Sindona e Calvi e lo Ior, la banca vaticana. Poi ci sono i rapporti con la banda della Magliana, non dimentichiamo Enrico De pedis detto Renatino, con cui diversi preti e monsignori intrattenessero ottimi rapporti, il quale ha il privilegio di una sepoltura nella chiesa capitolina di Sant’Apollinare: un privilegio negato ai comuni mortali eppure concesso al capo della banda della Magliana. Il motivo sta per la miriade di denaro che Renatino donò alla Chiesa.
Ai giorni nostri c’è Papa Francesco, il quale sta attuando una politica molto ingombrante per la ‘ndrangheta così per le mafie che da decenni intrattenevano rapporti di affari e complicità con il Vaticano. Stavolta il sospettato per avere donato soldi puzzolenti di ‘ndrangheta è un imprenditore, Domenico Gallo, arrestato a fine ottobre nell’inchiesta condotta dalla procura di Roma sui grandi appalti, dalla Tav alla Salerno-Reggio Calabria. Si legge così nell’ordinanza che ha portato all’arresto il Gallo, “i suoi contatti con soggetti legati alla criminalità organizzata”. Questo è bastato al vescovo per definirla “una scelta scontata, ordinaria”. Tornando a Papa Francesco, lo scorso marzo, durante un’udienza generale, è andato giù pesante in merito anche ai soldi da rifiutare categoricamente e di accettare offerte che sono il frutto del “sangue di gente sfruttata, maltrattata, schiavizzata, con il lavoro mal pagato“.
Ora, la riflessione è d’obbligo, premesso che l’imprenditore non è stato condannato ma è indagato per presunte “puzze” di ‘ndrangheta, però il gesto del vescovo Oliva è stato più che coraggioso in una terra difficilissima come la Calabria. Dove si tende più a celare che a mostrare palesemente. Ricordiamo il suo collega su altri temi, come la prostituzione minorile, il vescovo della diocesi di Oppido-Palmi, Francesco Milito, che invece di denunciare ed allontanare un suo parroco, lo consigliava di non parlare con i carabinieri, cadendo in una negligenza assurda e gravissima in quanto le vittime erano ragazzi minorenni prede del parroco con il “vizietto”.
Per la cronaca, il vescovo Milito è ancora al suo posto e vergognosamente nessuno della Chiesa si è adoperato ad allontanarlo da quel luogo in cui ha coperto rendendolo complice di un sacerdote che sotto falso nome adescava minorenni, così come viene descritto nelle carte processuali che hanno condannato a quattro anni il parroco Antonello Tropea.
Differenze che fanno pensare e pesare sulla coscienza morale dei calabresi. Così come le parole del vescovo Oliva quando dice, “Questa vicenda è una piccola cosa ma fa parte di uno stile che deve essere chiaro: non si può rischiare di essere conniventi con le mafie e se c’è il sospetto che le offerte siano frutto di affari mafiosi, bisogna rifiutarle in modo fermo”. Victor Hugo nei suoi Miserabili scrisse che “La prima prova della carità, nel prete, è la povertà”, ma la morale no, quella dovrebbe essere sempre ricca. E così sia!