Quando il mostro dorme accanto a te La vicenda della ragazza di Melito Porto Salvo: cosa sarà di lei?
«Tutto questo è successo senza che nessuno facesse niente. Questa è una rappresentazione plastica della schiavitù cui è sottoposta la gente. Quando si sveglieranno i cittadini? Quando capiranno che il nemico non è lo Stato, ma la ‘ndrangheta?», queste le amare parole del procuratore capo di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho. È una delle poche volte che mi capita di scrivere un pezzo, senza avere dentro l’ansia e la paura solo al pensiero di immedesimarmi in quella ragazza, poco più che tredicenne di Melito Porto Salvo, violentata da una branco di bestie per circa due anni.
Ragazzi giovanissimi di una società malata che non conoscono ed ignorano (volutamente) la morale del rispetto umano. La protezione, che doveva essere d’obbligo ad una ragazza minorenne, si trova vittima di abusi che hanno la stessa intensità di una malvagità brutale ed assassina. Sì assassina, perché questa ragazza è stata uccisa nella sua psiche, è stata deturpata nei suoi sogni e nella sua giovinezza. Quale sarà il futuro di una ragazzina diventata già grande, perché delle bestie con il “cazzo piccolo” hanno abusato di lei in gruppo? Come diavolo si rivolgeranno ai loro specchi ed alla loro coscienza, semmai lo faranno, e diranno o se hanno un briciolo di ragionevolezza non criminale, “Ma che diavolo ho fatto? Mi sento una merda!”, lo diranno? No, che non lo diranno, questa è gente che in alcune realtà come quella di Melito Porto Salvo, sarebbero capaci di uscire fuori con il petto gonfio e l’aria fiera di essere padroni (di se e della vita degli altri). Questa è la cultura mafiosa, quella che uccide la cultura stessa, quella vera. Quella che molti pensano, nascondendo la testa sotto la sabbia che c’è, ma che non occorre parlarne. Ad esempio dire male della Calabria, in quanto è da criminali e “disonorati” buttare fango sulla propria terra. Questo è un altro modo di pensare, abbietto e pericoloso, proteggere l’omertà. La stessa che ha condannato per due anni questa ragazzina, facendole subire abusi che mai, nemmeno tra diverse vite ancora, riuscirà a dimenticare.
Ed è stato un altro colpo al cuore, vedere il servizio della brava Carla Monaco nel servizio del TGR Calabria all’indomani dello squallido evento, quando la gente fermata per strada manteneva un riserbo silenzioso e indifferente, alimentando il reale concetto dell’omertà che contraddistingue molte realtà del Mezzogiorno. Certamente c’è da capire, non bisogna prendersela con la gente, io non li difendo però li capisco, ma soprattutto non li condanno. Sapete cosa vuol dire vivere in una realtà, dove una famiglia pericolosa della ‘ndrangheta domina con violenza e soprusi una città per oltre quarant’anni? E, oltretutto in questi arresti la mente criminosa di questa squallida vicenda è coinvolto pure il figlio del boss Iamonte? Chi parla? E cosa vuoi che ti dicono? Magari qualcuno, dopo che parla, magari ha già letto che persino un poliziotto, un servitore dello Stato, consiglia al fratello come comportarsi per non andare in galera o semmai si dovesse trovare coinvolto nella vicenda “della ragazza di Melito” pur avendone avuto un rapporto “consensuale”. E non dice, vai subito a denunciare perché questo è un fatto gravissimo. Una città, dove persino il sindaco non dice nulla, anzi peggiora la sua situazione perché generalizza dicendo che sono cose che non hanno una limitazione geografica, possono accadere ovunque (sic!). Certo che possono accadere ovunque, ma intanto è accaduto a Melito, affrontiamo questo fatto in questa città, per il resto del paese ci penserà qualcun altro se e quando (speriamo mai più), accadranno altri eventi drammatici come questi.
No, così non può andare! Non si può vivere assoggettati alla paura ed ai ricatti di padre in figlio per intere generazioni, la gente ha bisogno di protezione per se e per i propri figli. Sicuramente denunciare sarebbe stata la cosa migliore e doverosa, ma la paura fa tremare le gambe, non ti fa dormire, ti fa entrare in testa mille pensieri, e solo lo Stato, uno Stato efficiente che dia garanzie serie e reali potrebbe sopprimerla. Siamo seri, leggendo le carte della procura e vedendo un agente di polizia agire in quel modo, quanti oggi, si fiderebbero? Lancio questa provocazione che spero venga colta in senso positivo e senza polemiche.
Antonio Marziale, Garante per l’Infanzia della Regione Calabria, è stato l’anima di una proposta di costituzione di parte civile, doverosa e soprattutto a tutela di una ragazza vittima di una bestialità, contro questi balordi. Ed a lui il merito dell’inizio di sensibilizzazione delle coscienze, perché da qualche parte occorreva pure iniziare. A lui va anche dato il merito sul coraggio dimostrato nell’affrontare la questione della presunta poco nobile atteggiamento di chi indossa una divisa. Come anche quella di un preside che si incazza pure se gli dicono che la scuola deve fare il suo dovere perché la basi culturali partono da lì anche se si è dentro una famiglia carente di questi valori umani. Antonio Marziale, questa volta ha allargato le braccia con responsabilità e doverosità non solo istituzionale, ma sociale, a tutti quelli che in un modo o nell’altro ancora, in questo “maledetto” paese, pensano che dei valori: quelli del rispetto, dell’amore, della delicatezza tenera e gioiosa dei tempi che le nostre età affrontano, abbiano un senso reale positivo. Con la società e che la società ci accolga con fierezza e protezione a braccia aperte, forse questo avrebbe voluto quella ragazzina.