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TAURIANOVA (RC), SABATO 23 NOVEMBRE 2024

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Qui comando io Riflessioni del giurista blogger Cardona sulla esaltazione giudiziaria

Qui comando io Riflessioni del giurista blogger Cardona sulla esaltazione giudiziaria
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L’esaltazione smodata del fenomeno processuale, e quindi del ruolo del giudice, è caratteristica dell’ultima stagione italiana, dove le emergenze che si susseguono da lustri appaiono tali da giustificare il pericoloso equivoco che la nostra storia civile e politica di questi anni, si identifichi con una supposta storia giudiziaria.
La realtà è che la storia degli Stati e delle nazioni, non si fonda sulla storiografia giudiziaria, o comunque rileva in parte trascurabile dai processi.
Questi costituiscono, semmai, l‘effetto, il riflesso; una storia di accadimenti non può non ricomprendere, i grandi eventi processuali, ma di essi ben pochi assumeranno il rilievo “storico”.
Oggi, nella nostra Repubblica inflazionata da fatti di corruttela e correlativa rappresentazione processuale, il rosario dei procedimenti influenza solo all’apparenza il grande limaccioso alveo della storia e non scalfisce più di tanto quelle che saranno le vere svolte del regime politico di domani, nonostante le fervide prefigurazioni dei gazzettieri di turno, propagatori di metodi storiografici d’accatto, ad usum delphini.
Gli araldi dell’ultima pseudo rivoluzione giudiziaria pretendono di darci le istruzioni per l’uso delle vacillanti istituzioni democratiche, che dovrebbero reggersi sul ricorso sempre più martellante e diffuso ai processi clamorosi, alle sentenze esemplari, nel dominio di una nuova casta di conquistatori reclutati per pubblico concorso. Di siffatti giudicanti, e dei giudizi esemplari diffidiamo per istinto, prima che per esigenze di ragione.
Le riserve di metodo, sulla valenza di una storiografia giudiziaria trovano conferma nella stessa crisi del decisionismo, dovuta alle velleità demiurgiche della nuova magistratura.
Si venito a creare un nuovo ceto di uomini della Giustizia, senza valide ragioni di ordine storico, etico e giuridico, autoproclamatisi popolo eletto di fronte alla massa dei cittadini privi di imperium.
Questa attribuzione di sovranità senza precisi confini, sorretta fra i mass media e fra certe forze politiche finirà per ritorcersi contro quanti la osannano e, in seguito, contro gli stessi componenti del corpo giudiziario.
In tale distorta prospettiva, le verità processuali vengono proposte ed esaltate dogmaticamente, come verità di ordine storico, laddove sono piuttosto soggetti all’altalena tipica dei responsi giudiziari, sempre sotto revisione, con aspetti patologici, e revisionistici.
In genere, non si tratta di manipolazioni preordinate, ma nei periodi di crisi dei valori e dei primati, anziché ambire ad affinare la ricerca della verità, a verificare le prove, si trova più agevole rifugiarsi nelle connessioni e negli antefatti o nelle opinioni fuori dal tema del processo e del giudizio.
E’ una guerra secolare quella che – come ricorda Pascal – accompagna il cammino dell’uomo, guerra in cui violenze di varia matrice tendono ad opprimere la verità.
Può accadere così che i giudici anziché rendersi garanti di certezze, si tramutino in maestri di mistificazione a seconda della maschera culturale di ciascuno.
“L’interpretazione delle leggi lascia al giudice un certo margine di scelta: entro questo margine chi comanda non è la legge inesorabile, ma il mutevole cuore del giudice.” (Piero Calamandrei, Elogio dei giudici scritto da un avvocato, 1935)