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Quod Deus avertat

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Un Pretore ottocentesco, tipo dispotico, strano, più appartenente alla psichiatria che alla geometria del diritto, prima dell‘apertura dell’udienza, appallottolava dei pezzettini di carta e su ognuno scriveva così: “2 mesi di reclusione, 2 anni di reclusione, 5 lire di multa, 3 anni di reclusione, 6 mesi di arresto, 8 mesi di arresto, 50 lire di multa, 10 anni di reclusione, 15 anni di reclusione, ergastolo, pena di morte. Poi li disponeva nel tiretto.

Un giorno si presenta davanti a lui un contadino che aveva rubato due conigli.

Dopo la difesa dell’avvocato che, presentando il proprio cliente come un povero Cristo, ne chiedeva l’assoluzione per “evidente stato di necessità”, il Pretore un po’ tra lo sgomento e un po’ tra la curiosità del pubblico che assiepava l’aula, alzatosi in piedi così sentenziava: “In nome di sua Maestà il Re d’Italia, il Pretore, visti gli atti…”.

A questo punto si ferma, apre il tiretto, afferra il primo pezzettino di carta, lo apre e legge continuando: “Condanna l’imputato alla pena di 10 anni di reclusione”.

Il condannato quasi implorandolo gli dice: “Signor Pretore, ma come! Dieci anni di reclusione! Ma io ho rubato i conigli perché avevo fame! E il Pretore, tra la tragica ilarità generale, gli risponde: “Ringrazia Dio che ti è andata bene, perché poteva capitarti la pena di morte!”

Questa storiella, per esser umoristica, è davvero emblematica.

Da genio qual era, Napoleone Bonaparte, sbalordendo i contemporanei, poté sconfiggere agevolmente gli eserciti nemici sui campi di battaglia con i suoi leggendari cannoni, mai riuscì a sconfiggere, con gli stessi cannoni, il loro odio, così i giudici, anche se redigono una brillante sentenza, dotta ma artefatta, originale ma vacua, magistrale ma sofisticata, mai riusciranno a sconfiggere la verità che era nell’aria prima che nelle carte.

La verità al di là di ogni stolta commedia, rappresenta un rompicapo di tale potenza da far rivivere l’aforisma sottile e perfido di chi l’ha scritto: “Dite una bugia per un mese, alla fine sarà una verità”.

Gli strangolatori della verità son sempre gli ultimi a sapere che hanno anche strangolato la placenta del mondo.

Sartre, acutamente e spietatamente, ebbe a dire che “la verità è una bugia”, da inalberare sulle miserie umane che si presentano davanti allo scranno del giudice, con la consapevolezza che costituisce davvero l’ultima verità della terra, anche se ne dovranno venire altre a illuminare e ad oscurare il suo firmamento.

L’insulto alla verità si risolve sempre in un insulto alla ragione ed alla intelligenza.

Il tempo, implacabile come la vendetta, potrebbe un giorno fare giustizia sommaria di tutte le ingiustizie che in nome di una formula, nascosta sotto la parole sacramentali “In Nome del Popolo…”, hanno sotterrato la verità, davanti agli occhi degli innocenti, l’hanno mistificata e falsamente rappresentata per gli stessi custodi della legge.

In tutte le epoche della storia, sono molteplici le emozioni che incalzano il pubblico in un’aula di Tribunale per processi terribili, dove la verità viene di volta in volta incatenata, slegata e incatena di nuovo.

La più grande avventura dell’uomo è quella di aver inventato la giustizia, ma se questa viene calpestata, allora il più grande errore di Dio è quello di aver inventato l’uomo.