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TAURIANOVA (RC), VENERDì 29 NOVEMBRE 2024

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Regionali calabresi, Nicola Irto lascia e “sbatte la porta” “Non mi candido più a governatore: il Pd è in mano ai feudi e non staremo zitti e buoni”

Regionali calabresi, Nicola Irto lascia e “sbatte la porta” “Non mi candido più a governatore: il Pd è in mano ai feudi e non staremo zitti e buoni”

Il candidato, esponente del Partito Democratico e attuale consigliere regionale non ci sta e ritira la sua candidatura a governatore della Calabria. Lo comunica in un’intervista all’Espresso con la giornalista Susanna Turco.
Lo stesso in un suo post social dice:
“Per mesi ho lavorato al mio programma di governo per cambiare la Calabria, coinvolgendo giovani, società civile, imprenditori, mondo universitario.
Adesso, però, ho dovuto prendere atto che non ci sono le condizioni per andare avanti e l’ho scritto ad Enrico Letta”

Di seguito l’intervista rilasciata all’Espresso:

Lo stallo politico dell’alleanza. La morsa feudale delle correnti in guerra, i personalismi. L’immobilismo timido al governo. Il trasversalismo nel nome di interessi opachi. Dopo aver tentato per mesi di cambiare questo panorama, Nicola Irto, 39 anni, recordman di preferenze e candidato dem alla guida della Calabria, ha deciso che è troppo: ha scritto da giorni a Enrico Letta, ha stabilito che, per dirla coi Maneskin, non si può stare “Zitti e buoni”.
Primo atto – annuncia ufficialmente a L’Espresso – è la clamorosa rinuncia a una candidatura a governatore alla quale è stato designato da mesi dal Pd per conquistare una terra difficile, sì, ma evidentemente non quanto il territorio del suo partito.
Un mondo dem nel quale l’arrivo di Letta ha spostato a sinistra l’epicentro della lotta fra correnti, facendo emergere realtà in cerca d’autore o soggettività che si stanno facendo notare per spasmodico attivismo, come è il caso dell’ex ministro del sud Peppe Provenzano, oggi vice-segretario aspirante capocorrente. Sommovimenti che invece di rafforzare il presente, isolano chi è in campo e indeboliscono il futuro. «Appare di continuo una volontà di mettere in discussione le decisioni prese da molto tempo dal partito democratico calabrese e dagli alleati di centrosinistra: ma continuando a perdere tempo si lascia terreno alla destra e a De Magistris», denuncia Irto: «Rinuncio quindi all’incarico e chiedo a Enrico Letta di trovare una soluzione per non continuare a svilire la dignità degli elettori e dei militanti del Pd in Calabria».
È un modo diplomatico per dire al caro segretario che, se non si impone, i dem non andranno da nessuna parte. In Calabria, ma non solo. E colpisce come questa vicenda, pur legata a persone e territori, racconti in modo esemplare anche il resto. Così, anche il passo indietro di Irto serve per prendere la rincorsa: «Il Pd deve cambiare, non solo per poter mettersi in gioco alle elezioni, ma con una nuova generazione che c’è, anche se viene vissuta con fastidio da chi pensa solo a fare carriera: ma non possiamo ridurci ai feudi, dobbiamo essere una comunità aperta. Non possiamo solo pensare con chi ci alleiamo: il Pd deve dire cosa vuol fare, se vuol parlare agli elettori».

Qualcuno ci riesce?

Da mesi il confronto politico resta avvitato su se stesso: parlano tutti di coalizione prescindendo dai programmi. La Calabria è allo stremo, per gli atavici problemi strutturali e per l’ulteriore anno di pandemia, eppure sembra non importare a nessuno. A volte mi sembra di essere l’unico che cerca di dare una visione di futuro, a pensare sia indispensabile un quadro netto di progetti, chiarezza per attuarli. Non basta infatti vincere, bisogna governare, altrimenti torniamo alle sabbie mobili, che poi sono la storia anche di questa terra: la melma dove si impantanano le coalizioni senza identità.

Ma il Pd non doveva essere il partito della vocazione maggioritaria?

Un partito che vuole essere attrattivo non può suddividersi in piccoli feudi che giocano a pare gli strateghi per garantirsi una poltrona. Né in Calabria, né altrove. Purtroppo intravedo questo schema anche al livello di governo: c’è troppa timidezza. Da mesi mi sgolo, ad esempio, affinché si affronti il tema della sanità in regione. Siamo ancora fermi, salvo l’ultimo confuso decreto che ci fa passare da uno status di regione commissariata, a quello di super commissariata, senza ovviamente alcun impegno economico vero per superare il debito sanitario. Intorno al tema sanità c’è il capitolo infrastrutture, ma neanche su quello si muove nulla. E al governo c’è il Pd: non da mesi, da anni.

È per questo che non vuole più candidarsi?

Ho visto stallo e tatticismo. E ho anche visto che c’è un trasversalismo, in pezzi del centrosinistra calabrese, dovuto ad interessi comuni con pezzi del centrodestra. Ho steso un programma in questi mesi, l’ho condiviso con il vero motore della regione: studenti, imprenditori, terzo settore, professionisti. Sarebbe stato bello concentrarsi su questo. Ma nessuno vuol discutere di contenuti: solo di tattica, credendo di prendere un voto in più. E intendiamoci: allargare la coalizione è una cosa giusta e intelligente, ma non possiamo condannarci a muoverci con il bilancino. La Calabria ha bisogno di iniziare a correre verso il futuro, con un governo chiaro che provi a realizzare ciò che dice.

Bel programma: il Pd la seguirebbe?

È proprio questo, che non ho visto. E neanche si sono fatti passi avanti con le forze che dovrebbero esser alleate del Pd a livello nazionale.

Chi ha ostacolato la corsa?

Il punto non è fare questo o quel nome, il punto è indicare una gestione approssimativa, che nel complesso non può funzionare: pochi mesi fa mi hanno chiesto tutti di candidarmi e di iniziare una sfida titanica, il mio nome ha trovato d’accordo Zingaretti prima e Letta dopo. Ma ci sono stati troppi cambi di linea, troppe indecisioni, troppi pezzi di partito impegnati ognuno nella sua piccola trattativa. Non si è fatta chiarezza con il movimento Cinque Stelle, ad esempio.

Una settimana fa la sottosegretaria grillina Dalila Nesci ha detto: facciamo le primarie.

Sì, e io ho dato subito la mia disponibilità. Ma ad oggi siamo fermi pure su quello, anche le forze a sinistra del Pd tentennano: ma è inaccettabile perdere altro tempo e credibilità per mediare sulle primarie. E non stiamo neanche parlando di una coalizione omogenea sul territorio nazionale: tutt’altro, mi pare.

Il vice segretario Provenzano ha cercato di coinvolgere fino all’ultimo anche il sindaco Luigi de Magistris, che alle primarie aveva detto no fin dall’inizio. Ha fatto bene?

È stata una ingenuità politica continuare a inseguire de Magistris, che ha scelto di candidarsi in Calabria per fuggire da Napoli e, dopo averla lasciata in un mare di debiti, pensa di trovare qui un rifugio politico o una terra di conquista. Abbiamo dato disponibilità per confrontarci sui nomi, anche disposti un passo indietro: le primarie sarebbero state l’occasione per mettere insieme tutti quelli che vogliono battere la destra. Ma lui ha detto sempre di no: quindi o ha paura di confrontarsi, o non è davvero alternativo al centrodestra. È un’altra vittoria del personalismo sulla responsabilità.

Come quelle che paralizzano il Pd dentro un dedalo di correnti?

Le motivazioni per cui Zingaretti si è dimesso, tre mesi fa, non sono sparite, e le ho viste all’opera anche in questo caso. Dobbiamo intenderci su cosa siano le correnti: sono forze che, come strumento di occupazione del partito, per sopravvivere e auto-perpetuarsi hanno la necessità di controllare e dividere le realtà territoriali, in uno scambio reciproco di servigi che trova il suo ancoraggio nell’interesse personale e non nella crescita collettiva. Ecco cosa è accaduto: queste forze, che sono sempre alla ricerca di feudatari, hanno tentato di indebolire il progetto politico della Calabria, con atteggiamenti e messaggi ambigui, trasversali. Senza un confronto chiaro.

Enrico Letta si è insediato dicendo che vuole eliminarle, le correnti. Ci riuscirà?

Il segretario ha iniziato una battaglia, ma si è insediato da meno di tre mesi, spero che a breve avvii una iniziativa per rimettere il Pd in grado non solo di poter giocare la partita alle regionali, ma soprattutto riesca ad organizzarsi e a cambiare, anche con una nuova generazione che riesca ad aprire un partito che non può essere soltanto dei commissari e degli eletti, ma deve essere una comunità aperta.

Aspetto nel quale stenta assai, per la verità.

E, per la verità, non da oggi. Ma proprio per questo servirà un percorso che vada oltre elezioni, e che investa anche sui giovani. Non ci sono solo i notabili, ma anche una leva che è impegnata già oggi, anche se viene vista come fumo negli occhi da chi pensa che il partito sia solo uno strumento per fare carriera. Bisogna celebrare congressi, aprire a un confronto forte, intercettare e avere idee.

C’è qualcuno che ha voglia di farlo?

Lo fanno gli eletti, ai vari livelli, ma non lo fa il partito. C’è uno scollamento completo col territorio. È anche un Pd commissariato: in Calabria sono commissariate tre federazioni su cinque, oltre alla regione. Si aspettano i congressi da molti anni.

Da quando si è insediato Letta, invece che la sparizione delle correnti, ne sono nate altre due: Agorà di Goffredo Bettini, e quella degli zingarettiani senza Zingaretti, Prossima. Poi ci sono i casi di capicorrente senza corrente. Le pare un grande inizio?

Non è che mi meraviglino le idee diverse in un partito plurale, ma ci sono momenti e momenti. E il rischio è che questo diventi un dibattito per addetti ai lavori: roba che non importa alla gente, ma anche agli iscritti, quelli sani, liberi dalle cooptazioni. Letta ha detto cose straordinarie, ha in testa il tema dei giovani. Ora però bisogna passare all’attuazione, ai fatti. Sono un uomo libero e non mi piego ai compromessi, continuerò il mio impegno politico per spezzare le logiche del potere fine a se stesso, che in Calabria condiziona la politica e la società. Parto da qui, ma il discorso è generale: non tutti sono pronti, ma un cambio di passo andrà fatto, in ogni caso.