Risponde della morte del paziente il medico che non lo avvisa dei rischi connessi all’esame endoscopico
Ott 02, 2014 - redazione
Il medico che non avvisa il paziente circa i rischi connessi all’esame endoscopico
e su cui non è stato prestato il consenso risponde della sua condotta, almeno in
via civile. A sostenerlo la Cassazione con la sentenza n. 20547, pubblicata in data
odierna e che Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”
ritiene utile commentare perchè ripercorre l’importante tema del diritto al cosiddetto
“consenso informato”.I giudici della terza sezione civile hanno, infatti, dato ragione
agli eredi di una donna, sottoposta a un esame endoscopico ritenuto non necessario
e senza il consenso informato.Dopo l’indagine, si era verificata un’ampia lacerazione
del duodeno che aveva reso necessario un secondo intervento di suturazione. Pochi
giorni dopo la seconda operazione, la paziente era deceduta: per gli eredi, rispettivamente
marito e figli della donna, la responsabilità andava attribuita al medico e al personale
sanitario che rispondevano per responsabilità professionale. Non per la Corte
d’appello di Brescia, che aveva ritenuto non sussistente il nesso eziologico tra
il comportamento del personale e del chirurgo e il decesso della donna.Gli eredi
così avevano deciso di aderire i giudici di legittimità che hanno accolto il loro
ricorso ritenendo che la responsabilità dev’essere attribuita all’imperizia dello
staff sanitario e del medico.Secondo gli ermellini, risulta accertato, «un inadempimento
del medico in merito sia al consenso informato che alla lacerazione da esame endoscopico
e che ciò determinò la necessità del successivo intervento e che, se la causa
della morte fu una tromboembolia, questa fu generata dall’intervento». In tal senso,
è significativo considerare anche la mancanza di un’autopsia, «pur in presenza
di un’assunta non certezza della causa della morte, e la non corretta tenuta della
cartella clinica, come risulta agli atti».Ma venendo al tema del “consenso informato”
i giudici di Piazza Cavour evidenziano che la violazione, da parte del sanitario,
del dovere di informare il paziente, può causare due specie di danni: «un danno
alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui
grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di
sottoporsi all’intervento e di subirne le conseguenze invalidanti; nonché un danno
da lesione del diritto all’autodeterminazione, il quale sussiste quando, a causa
del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure
non patrimoniale, diverso dalla lesione del diritto alla salute».