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TAURIANOVA (RC), SABATO 02 NOVEMBRE 2024

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Sanità reggina: tra incompetenza e superficialità si perde la vita Lì dove il paziente anziano non ha diritto a manifestare un dolore, perché il parente del "medico" a 40 anni è un malato terminale e quindi tu ad 80 non hai diritto a lamentarti, a vivere ed essere assistito

Sanità reggina: tra incompetenza e superficialità si perde la vita Lì dove il paziente anziano non ha diritto a manifestare un dolore, perché il parente del "medico" a 40 anni è un malato terminale e quindi tu ad 80 non hai diritto a lamentarti, a vivere ed essere assistito

Riceviamo e pubblichiamo

Arriva il Natale, la festività più bella da vivere in famiglia, il periodo nel quale l’assenza dell’affetto più caro si sente più che negli altri giorni. Il vuoto e la malinconia di chi ti lascia porta con sé, inevitabilmente, la necessità di trovare risposte al perché di certi accadimenti. È vero, la morte fa parte del ciclo della vita, è innegabile, nessuno di noi può sfuggirle. È anche vero però che ogni essere umano ha il diritto alla cura e nessuno può arrogarsi la facoltà di agire in maniera superficiale quando ha in mano la vita altrui. La medicina, fortunatamente, ha fatto progressi immensi e impensabili, progressi nelle cure, progressi nelle strumentazioni diagnostiche, progressi nel riconoscere l’importanza vitale di fare prevenzione.
Tutto questo alle nostre latitudini è inutile, perché si scontra, mi spiace dirlo, con la supponenza e l’arroganza di taluni, che indossano il camice bianco evidentemente solo ed esclusivamente per beneficiare dello stipendio a fine mese. Certe professioni, ritengo, non debbano e non possano essere assolutamente esercitate in modo robotizzato, la conoscenza, qualora ci sia, deve necessariamente combinarsi con capacità empatiche, di ascolto e di comunicazione, lasciando le frustrazioni e i problemi personali fuori dall’ambito lavorativo.
Ebbene la teoria si scontra nei meandri di alcuni reparti del Gom, il Grande Ospedale Metropolitano, con la pratica. Lì dove anche la prevenzione risulta essere superflua se il paziente viene gestito da chi non è in grado di fare diagnosi. Lì dove se ti sottoponi ad un intervento chirurgico il post operatorio con la presa in carico del paziente non esiste. Lì dove se vieni seguito da un dottore e il collega durante qualche ricovero prospetta una diagnosi (in futuro purtroppo veritiera) differente scattano gelosie e viene subito rimarcata la titolarità del paziente (per poi disconoscerlo all’evidente errore di diagnosi); eh sì in alcuni reparti abbiamo i pazienti divisi in “famiglie”, reparti nei reparti, appartenenti al medico che li ha presi in carico senza la possibilità del confronto in team. Tanti “primari” per quante “famiglie”. Lì dove il paziente anziano non ha diritto a manifestare un dolore, perché il parente del “medico” a 40 anni è un malato terminale e quindi tu ad 80 non hai diritto a lamentarti, a vivere ed essere assistito. Lì dove l’arroganza porta il “medico” ad inalberarsi se il paziente o suo familiare richiede con garbo la possibilità di visionare il caso in equipe considerata la pregressa storia clinica. Lì dove un tumore con metastasi viene insistentemente letto come osteoporosi perché statisticamente non risultano casi simili, quindi non hai nulla se pur ti ritrovi allettato e la terapia del dolore non produce risultati. Continui a soffrire nell’indifferenza generale finché la PET anziché essere proposta dall’oncologo e dal radioterapista, che ti seguono da anni, viene suggerita dal neurochirurgo, che fortunatamente e contrariamente a qualche collega è convinto dell’importanza della diagnosi in equipe. Peccato, in questo caso la lungimiranza di chi ha proposto un esame diagnostico rivelatore poi di tristi e gravi verità non possa essere eseguito in tempi celeri, e venga addirittura posticipato per assenza di personale. Ma si, che importanza ha, tanto andava proposto ed eseguito, molto probabilmente, solo 6 (sei) anni prima!
Cosa si aspetta un paziente a questo punto della storia appare probabilmente logico ai più, essere ricoverato d’urgenza invece trascorre un altro mese senza cure esattamente come l’anno trascorso in un ripetersi di tac e risonanze consigliate e prescritte in modo disordinato da uno e dall’altro senza una visione concreta di quanto stia accadendo. L’atteso ricovero arriva quando ormai le condizioni del paziente stremato non consentono di agire per il suo benessere e la sua salvezza in alcun modo.
La storia, già triste, potrebbe finire così e invece no. Nel frattempo nell’indifferenza generale di fatto “vive” un malato terminale, ma nessuno se ne è accorto; la voce di quei pochi che avevano lanciato l’allarme non è stata ascoltata. La diagnosi errata o presunta fino alla fine si estrapola dalle carte, la visita al paziente è ormai una pratica obsoleta in uso in tempi lontani. L’ultima settimana di vita viene trascorsa, dunque, in una stanza asettica di ospedale dove nessuno accorre se chiami per ore perché hai già chiamato altre volte, dove alle 3 di notte il familiare si trova a dover gridare al cellulare per poter spiegare come aprire uno spray per malati terminali con una chiusura di sicurezza, dove ci si ostina a portarti in sala operatoria e il chirurgo di turno non ti ha mai visto, non ti hai mai visitato in reparto, ma ha solo letto dei referti sterili al pc, dove viene chiesto al familiare di convincere la mamma a sottoporsi ad un intervento con rischio elevato di morte, dove ogni giorno il familiare viene chiamato in causa con domande del tipo: “non ha visto, non ha letto, non si è resa conto, non ha pensato???”.
Chiedo pubblicamente scusa ai grandi luminari incontrati al Grande Ospedale Metropolitano, se anni fa ho deciso di intraprendere altri studi universitari e non quelli in Medicina per dare loro quelle risposte che lor signori non sono stati in grado di dare a mia madre, che fino alla fine si è fidata dei suoi “medici”, e a me che impotente l’ho vista consumarsi senza l’aver tentato almeno una cura, per poi morire in solitudine senza nemmeno il conforto dei familiari vicino.
Sicuramente si cercherà giustificazione nel periodo pandemico che stiamo vivendo, spesso in questo anno ho sentito nascondere nefandezze, ma in questo caso il Covid c’entra poco. Quanto successo non è colpa dei commissari e non è colpa della carenza atavica di personale. La colpa è probabilmente di chi preposto non effettua i controlli dovuti sul vostro operato, ma in verità la colpa è solo vostra. Si vostra che avete, di fatto, accompagnato a fine vita una paziente non rispettandone la dignità e i suoi bisogni. Non siete stati in grado di fare diagnosi, non siete stati capaci di relazionarvi con i parenti, che non hanno il diritto di far visita al malato, ma costretti per avere notizie ad ascoltare al telefono il medico di turno comunicare: “le condizioni di sua madre sono critiche, ma questo lei lo sa già sua mamma è arrivata al capolinea”. Penso fermamente, convintamente e per le ragioni fin troppo evidenti che “al capolinea” sia arrivata la vostra idoneità ad esercitare, se questa è la vostra capacità di curare ed essere empatici. Incapaci di stare vicino ad un paziente che pur si fidava, negando a se stessa quello che ormai era evidente a tutti tranne che a voi, che dovreste in uno scatto di orgoglio, pur senza essere citati, spogliarvi di quel camice bianco al quale non portate rispetto, vergognosi fino alla fine, pensando di mandare a casa un paziente, ormai terminale, a spegnersi davanti ai familiari senza alcun supporto medico. Se pur con fatica mi impongo di evitare il riportare, per rispetto di chi legge, l’ultima frase infelice rivoltami al telefono, dalla dottoressa di turno, a quanto pare recidiva nelle sue esternazioni fuori luogo, perché troppo dolorosa e vergognosa per essere stata pronunciata dalla vostra categoria.
Siamo stati, indubbiamente, sfortunati ad imbatterci in voi. Mi conforta solo il sapere che non tutti i medici sono di così basso profilo. Anche in questa tristissima e sofferta storia abbiamo incontrato persone, Dottori ed Infermieri, competenti e sensibili, degni di esercitare una professione così nobile e che innegabilmente svolgono il loro lavoro con elevate capacità professionali ed amore verso il prossimo nel rispetto assoluto di quel famoso giuramento di Ippocrate che voi palesemente e vergognosamente disconoscete! Confido che il neo Commissario ad acta, il Presidente Roberto Occhiuto, possa e voglia intervenire in maniera risoluta per dare quella giusta dignità e autorevolezza al Sistema Sanitario di una regione ormai al collasso consentendo anche a noi Calabresi di godere di quel diritto essenziale e fondamentale e ormai di sovente negato alla cura.
Lettera firmata