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Nella prassi eccezionalmente si rinviene un giudice, anche a livello di legittimità, disposto ad affrontare le censure di una opinione pubblica formata ed alimentata da sapientemente dosate fughe di notizie investigative, amplificate per giunta dagli organi di informazione.

E’ lapalissiano che le indiscrezioni escano proprio dagli uffici deputati alle indagini, e che i media vadano proprio alla ricerca di quelle notizie più appetibili ed attenzionate criticamente dal pubblico, apportando una indotta accentuazione sugli aspetti colpevolisti o suscitanti clamore mediatico.

La sconcertante e grossolana incompetenza del cronista, molto spesso accentua ed aggrava le posizioni processualmente pubblicizzate, attraverso madornali errori o fraudolente affermazioni onde suscitare una arbitraria indignazione nell’opinione pubblica.

Basta riferirsi ad una datata critica giornalistica di una sentenza della Cassazione, colpevolizzata nell’aver ritenuto non configurabile alcun reato, nel comportamento fattivo di un marito che malmena il coniuge per motivi di gelosia.

Nel corpo dell’articolo giornalistico, si scorgevano fallaci censure condite con ironico riferimento ad antiche pratiche manuali cinesi, lenitive delle ipotetiche infedeltà coniugali.

Nella realtà giuridica, invero, dalla costruzione fattuale non poteva risultare configurabile il reato di maltrattamenti, per il quale è richiesta una condotta abituale ed una intenzionalità criminosa diretta a ledere nel fisico o nel patrimonio morale il soggetto passivo della condotta criminogena; ma non sussistevano neppure altre tipologie reatuali, quali le percosse o lesioni, per evidente carenza di querela da parte del coniuge.

Come si scorge ed arguisce il delicato ruolo dei giudicanti si fonda su assiomi giuridici ed interpretazioni che lasciano poco margine al meta o fanta-diritto; per converso la sinergia tra gli interessi dell’accusa e quelli dei media, avendo un impatto notevole sulla indignata opinione pubblica, portano sulla via di un cieco e bieco giustizialismo.

Matematicamente più zeri non formano una unità, ma molti pubblici ministeri, incidendo sulla opinione pubblica, assumono la veste ed il ruolo di parti private, mutandone la mansione e la qualità, inficiandone il costituzionale precetto paritario tra accusa e difesa.

Bisogna uscire dalla cultura del sospetto ed abbandonare la propensione ad attuare una pretesa giustizia sostanziale, anche se priva di qualsiasi fondamento nella legge ma corrispondente all’opinione pubblica dominante.

Ne deriverebbe un indubbio vantaggio per lo Stato di diritto, e per chi inguaribilmente ed ottimisticamente anela una società fondata sulla regolazione dell’organizzazione e del funzionamento dei pubblici apparati, in contrasto all’esercizio arbitrario delle élite di potere.

“Ci sono due giustizie: quella della parola e quella del silenzio. La giustizia che regge la spada, misura i torti e colpisce è meno severa di quella che regge la bilancia, pesa l’uomo e tace.” (Henri-Frédéric Amiel, Grani di miglio, 1854)