Seminara non smette mai di stupire: scoperto acquedotto del ‘500, durante i lavori alla fontana della “Rosea” Riemersa anche l'antica vasca di raccolta e le opere di manutenzione del '700. Il mistero dei 3 dadi nei magnifici affreschi laterali. L'appello di Gioffrè a Regione e Città Metropolitana: "servono interventi urgenti"
SEMINARA – Immersa nel verde degli ulivi e sospesa nel tempo, la Patria di Baarlam e Leonzio Pilato non smette mai di stupire e, un po’ alla volta, continua a mostrarsi, a raccontare la sua grandiosa storia, regalando dal sottosuolo eccezionali reperti che testimoniano, qualora ce ne fosse bisogno, come il piccolo centro pianigiano costituisca un prezioso e inesauribile “serbatoio” di resti archeologici in grado di fornire enorme impulso all’intero patrimonio artistico-culturale della regione. Come riportato stamattina da “Gazzetta del Sud”, infatti, i lavori di salvaguardia della quattrocentesca fontana della “Rosea” e dei suoi splendidi affreschi – finalmente iniziati dopo 8 lunghi anni – stanno riservando delle incredibili sorprese.
A darne conto, lo studioso seminarese Santo Gioffè, il quale ha evidenziato il ritrovamento dell’acquedotto dell’antica Seminara, del sistema di raccolta delle vasche con tecnica medievale e delle opere successive di manutenzione risalenti al ‘700.
L’intervento in itinere è stato disposto dopo tutta una serie di lungaggini e polemiche ma, forse, si è arrivati tardi perché la struttura da segni di imminente cedimento e i finanziamenti risultano insufficienti. Ma andiamo per ordine. Quando, nel 2009, per caso, pulendo una cunetta ostruita, alcuni operai si accorsero che dietro un albero di fico selvatico vi erano dei dipinti chiamarono subito il responsabile lavori, il quale, contattò lo stesso Gioffrè, all’epoca assessore provinciale alla Cultura. “Anni prima – racconta il noto scrittore – avevo letto di quegli affreschi in un documento del 1578 ma pensavo fossero fantasie del cronista.
Arrivato sul posto, non credevo ai miei occhi: li bagnai per renderli più definiti. Mai avrei pensato di trovarmi di fronte a un ritrovamento di portata europea”. Protetti da quella pianta per 500 anni, erano riaffiorati una serie di stemmi imperiali di Carlo V. “Appena mi resi conto dell’importanza storica e della fragilità degli stessi – continua – mi rivolsi all’allora assessore regionale ai Beni Culturali, Damiano Guagliardi che, conscio del valore di una scoperta che arricchiva il patrimonio calabrese, stanziò immediatamente 100mila euro in favore della Soprintendenza perché effettuasse opere urgenti di salvaguardia e altri 35mila li mise a disposizione, su mia richiesta, la “Fondazione BNC”, allora presieduta da Gaetano Arconti.
Per il recupero degli affreschi ulteriori risorse furono inserite nel Bilancio del Comune”. La porta di “Rosea”, con l’annessa fontana che dissetava i viaggiatori provenienti dalla via Regia, era una delle 4, quella est, della murata città di Seminara, riportata nelle carte fin dal XIV sec. L’importante e popoloso centro era particolarmente amato da Carlo V: lì, nel 1503, si era svolta la battaglia decisiva per la conquista del Regno, con la rovinosa sconfitta dei francesi. Era inoltre infeudata dalla potente e fedelissima famiglia Spinelli, attraverso la quale l’imperatore dominava la Calabria.
Il 3 novembre 1535, Carlo V, pieno di sé per aver attaccato i pirati e distrutto Tunisi, pensò quindi di renderle omaggio varcando la porta nord, detta del “Portello”, con un’entrata trionfale. Nei giorni precedenti, la città era stata perciò affrescata con la sua Arma. Stemmi riapparsi con i colori originali e non esistenti in altri luoghi d’Italia.
“Parlano della storia d’Europa – spiega Gioffrè: la Castiglia e Leon, la Borgogna antica e moderna, l’Aquila di Hohenstaufen, il tappeto dei Gigli di Francia, i Pali del regno di Aragona. Tutto ammantato dall’Aquila Bicipite, segno della potenza degli Asburgo e, in basso, il Toson d’Oro, vero simbolo del comando di Carlo V”. Uno degli stemmi della fontana racchiude inoltre un affascinante enigma: “nel quarto inferiore destro, tra i Tappeti di Gigli e la Borgogna, appaiono tre dadi in fila lineare, mai fino ad ora presenti. Si nota subito che sono stati aggiunti parecchi secoli dopo”. Perché?
E cosa possono significare tra l’Arma del più potente imperatore del ‘500? “Perdere gli unici affreschi, con i colori coevi, che raccontano dal vivo l’epopea di Carlo V è un delitto contro la cultura europea – evidenzia Gioffrè che lancia un appello alla Regione affinché intervenga subito. Così come alla Città Metropolitana, “erede dell’ente Provincia – conclude – che aveva come simbolo, nella sua bandiera, i pali d’Aragona”. Pali presenti negli affreschi della fontana di “Rosea”.