Senatore Buemi: “Università del Sud a rischio” "Rivedere criteri distribuzione risorse". Il senatore interroga il ministro
ROMA – Università, docenti e personale amministrativo diminuiti
del 17%; il 22,5% in meno di finanziamenti ordinari versati dallo Stato; la spesa statale
per le borse di studio è ferma da 10 anni a 160 milioni annui. Cresce la disparità di
condizioni fra atenei del Nord e del Sud. Ripensare il sistema delle assunzioni nelle
università; rivedere i criteri di distribuzione delle risorse, che finora hanno portato ad un
generale impoverimento delle università meridionali, al calo del numero di migliaia di
matricole e di centinaia di unità di personale docente. È a rischio la riduzione della qualità
e quantità di offerta formativa al Sud.
È quanto chiede il Senatore Enrico BUEMI con un’interrogazione al Ministro all’istruzione,
università e ricerca, Stefania GIANNINI.
È preoccupante – scrive BUEMI – che nelle università i docenti siano diminuiti del 17%, e
all’incirca della stessa percentuale il personale amministrativo, mentre l’ammontare dei
finanziamenti ordinari che lo Stato versa agli atenei segna una diminuzione di ben il
22,5% in termini reali. La spesa statale per borse di studio è ferma da dieci anni a 160
milioni annui (quindi cala in termini reali). In più, il rapporto della Fondazione Res (curato dal
professor Gianfranco Viesti) indica prepotentemente, insieme alla forte contrazione del finanziamento
statale, la crescente disparità di condizioni fra atenei del Nord e atenei del Sud: il calo delle
immatricolazioni nel Sud e nelle Isole è, per esempio, più che doppio rispetto al Nord del Paese (e
riguarda, fatto significativo, specialmente i giovani provenienti dalle famiglie meno abbienti). Cresce
poi il numero degli studenti meridionali che s’iscrivono nelle università
centrosettentrionali (il fenomeno inverso è quasi inesistente, com’è inesistente la mobilità
all’interno dell’area meridionale). Al Sud, una percentuale di studenti oscillante tra il 17 e il 25
per cento a seconda delle sedi abbandona gli studi, contro una percentuale nel Centro Nord del
12-15 per cento. Infine, il numero dei posti nei corsi di dottorato, la possibilità di assunzione di nuovi
docenti, le loro possibilità di carriera, tutti questi fattori vedono gli atenei del Mezzogiorno più o meno
gravemente indietro rispetto a quelli del resto del Paese. Da questi dati incontrovertibili (come dagli
altri provenienti da organismi indipendenti e di ricerca, quali Banca d’Italia, Istat, Eurostat, Svimez, di
recente ripresi anche da Bloomberg), emerge un’Italia profondamente spaccata in due, in cui
non solo il «gap» non è stato ridotto, ma la forbice del divario si è progressivamente
ampliata negli ultimi lustri.
L’effetto è la mancata garanzia nel nucleo essenziale di diritti di eguale cittadinanza a tutti gli Italiani
ovunque residenti. Le università rappresentano un osservatorio particolarmente significativo al
riguardo, anche perché nel passato non è esistito un divario territoriale di tipo culturale, in tale
ambito, esistendo università eccellenti al Sud, testimoniate anche dalla qualità dei suoi laureati.