Importante decisione della Corte Costituzionale in tema d’uguaglianza e solidarietà.
A seguito della sentenza 119/15, pubblicata ieri 25 giugno, anche i cittadini stranieri,
regolarmente soggiornanti in Italia, potranno essere ammessi al servizio civile.
Ciò vuol dire, tiene a sottolineare Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello
dei Diritti”,, che il requisito della cittadinanza italiana non sarà più
condizione necessaria per poterlo svolgere. Ed addirittura, sono gli stessi giudici
costituzionali ad evidenziare che lo svolgimento del servizio sociale diventa un’occasione
per consentire agli stranieri una maggiore integrazione nel tessuto della società.
La Corte costituzionale, infatti, con la sentenza in commento ha ritenuto fondata
la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 3 del decreto legislativo
77/2002, in relazione agli articoli 2 e 3 della Costituzione, promossa dalle Sezioni
unite civili della Cassazione proprio in virtù della segnalata discriminazione tra
cittadini regolarmente residenti. La vicenda nasce da un giudizio promosso da un
cittadino pachistano intrapreso proprio per denunciare la natura discriminatoria
di un bando pubblicato per selezionare volontari per progetti di servizio civile.
L’articolo 3 del bando richiedeva, come requisito e condizione di ammissione, il
possesso della cittadinanza italiana. Anche il Tribunale ordinario di Milano aveva
ritenuto dichiarare la natura discriminatoria dell’articolo citato. Con un’ordinanza,
le Sezioni unite civili della Suprema corte hanno sollevato la questione di legittimità
costituzionale dell’articolo 3 del decreto legislativo, che puntualmente é stata
ritenuta fondata.Ricordano i giudici costituzionali che l’istituto del servizio
civile ha subito diverse trasformazioni per via dei «ripetuti interventi legislativi»
che ne hanno modificato i contorni. «Dall’originaria matrice di prestazione sostitutiva
del servizio militare di leva», il servizio civile é stato progressivamente qualificato
come «istituto a carattere volontario», al quale si accede per pubblico concorso.
Come già affermato dalla Corte costituzionale, in una precedente pronuncia (sentenza
309/2013) «il dovere di difesa della patria non si risolve soltanto in attività
finalizzate a contrastare o prevenire un’aggressione esterna, ma può comprendere
anche attività di impegno sociale non armato». Per tale ragione, escludere i cittadini
stranieri, che risiedono regolarmente in Italia, da queste attività è di per sé
«irragionevole». Nella decisione viene evidenziato l’importante principio secondo
cui la possibilità di ammissione degli stranieri regolari è anche un’opportunità
di «integrazione e di formazione alla cittadinanza». Come già affermato dalla
stessa giurisprudenza costituzionale, infatti, l’attività di impegno sociale che
la persona è chiamata a svolgere nell’ambito del servizio civile «deve essere
ricompresa tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, riconosciuti, insieme
ai diritti inviolabili dell’uomo, come base della convivenza sociale normativamente
prefigurata dal Costituente».L’esclusione dei cittadini stranieri dalla possibilità
di prestare il servizio civile nazionale, «impedendo loro di concorrere a realizzare
progetti di utilità sociale e, di conseguenza, di sviluppare il valore del servizio
a favore del bene comune, comporta dunque un’ingiustificata limitazione al pieno
sviluppo della persona e all’integrazione nella comunità di accoglienza». Alla
luce di tali principi, la Consulta ha quindi ritenuto dover dichiarare l’illegittimità
costituzionale dell’articolo 3 citato nella parte in cui prevede il requisito della
cittadinanza ai fini dell’ammissione allo svolgimento del servizio civile.