“Settimana santa: ridare forza a radici mediterraneità” Riflessione del sociologo Mimmo Petullà
di Mimmo Petullà
Nel rituale della settimana santa – con le sue sequenze rigide, convenzionali e stereotipate – in modo particolare il Sud coglie l’occasione per celebrare le forme del proprio funerale, sacralizzato in una rappresentazione prevalentemente violenta e tragica. A imporsi – e più di quanto si possa pensare – è la consapevolezza che a vincere sul mistero dell’essere e della vita sia il linguaggio della sconfitta, generante un’angoscia che si afferma non come un passaggio o una prova, ma come un ineluttabile e mortifero destino. La religiosità popolare – pur conservando quella che San Paolo VI definisce la “sete di Dio” – ha ormai sottratto la grande narrazione della passione e della morte di Gesù alle interpretazioni teologicamente situate, inserendola con forza e con regole proprie nell’orizzonte di altri significati contestuali. Gli svolgimenti rituali del venerdì santo appaiono infatti – anche in Calabria – essenzialmente e strutturalmente disancorati dalla natura della liturgia, mentre a trovare spazio espressivo al loro interno è l’imperversante scorrimento dei drammi enigmatici della storia di ieri e di oggi.
Nel corpo martoriato e ucciso dello stesso Gesù, d’altra parte, il sistema di comunicazione simbolica dei luttuosi cortei processionali proietta – pubblicamente e collettivamente – ciò che è identificato come una terra eternamente denudata, schiacciata e intrappolata dal dominio della natura e dall’ingiustizia degli eventi. A ben vedere ci troviamo di fronte a uno dei più colossali processi di appropriazione e di sostituzione, attivato dall’ampia rete di devozioni diffuse nel popolo, che in questo modo cerca di fronteggiare – dotando di senso – la percezione opprimente della crisi e della precarietà esistenziale. Bisogna tuttavia ammettere che il vissuto, messo in scena nel suindicato rituale del venerdì santo, non sembra offrire risolutrici direttive motivazionali, per quanto nei partecipanti svolga – tra l’altro – funzioni di distribuzione dell’angoscia, di regolazione dei rapporti sociali e di rafforzamento del senso di appartenenza. Del resto, pressoché in ogni momento dell’esistenza perdura un considerevole e ingestibile margine d’incertezza, denotativo della profonda e irrisolta frattura tra fede e cultura.
La pietra del sepolcro di Gerusalemme è in definitiva rotolata via da molto tempo, ma la pietà popolare – a partire da quella mariana – non ha ancora sciolto il corteo funebre, tenendo conto che è tuttora inchiodata sul Golgota. Essa attende che non sia solo evangelizzata, catechizzata e teologizzata, ma anche riconosciuta e antropologicamente liberata nelle potenzialità coscientizzatrici e nelle funzioni trasformatrici della dimensione sociopolitica. Nel frattempo il territorio e il più ampio Mezzogiorno sembrano essere abbandonati da Dio e dal mondo – non però dalla criminalità organizzata – anche per l’assenza di una politica meridionalista. Appare a questo proposito evidente la difficoltà a ridare custodia e forza alle antiche radici culturali della mediterraneità, come pure a contrastare le differenziate ed estreme categorie della povertà, generando lo sviluppo della ricerca scientifica e della formazione sociale e civile delle nuove generazioni, per un’autentica integrazione con la modernità e con l’Europa.