Sperare contro ogni speranza, riflessione di Mons. Francesco Savino Il tempo liturgico dell’Avvento, è per eccellenza il tempo della Speranza
Il tempo liturgico dell’Avvento, è per eccellenza il tempo della Speranza. Così si sta preparando la comunità cristiana di Cassano all’Jonio, in un ciclo di catechesi nelle diverse vicarie guidate dal vescovo, mons. Francesco Savino che hanno per titolo: “Sperare contro ogni Speranza”.
«In questo tempo, rispondiamo e testimoniamo la speranza? Ci lamentiamo sempre? Guardiamo la realtà, la storia: si può parlare oggi di speranza? In un contesto di paura, di fragilità, di disoccupazione, di rapporti umani difficili, di coppie che vivono il tradimento e le separazioni, di solitudine e di angoscia». Sono alcune domande che il vescovo ha rivolto e condiviso con i suoi fedeli nella parrocchia della Ss. Trinità a Castrovillari, giovedì sera alle ore 18.30.
Se l’esistenza non è fatta di speranza, è difficile capire le altre virtù teologali che formano l’identità e lo stile del cristiano, la fede e la carità. Che cos’è la speranza? «Nel contesto della nostra Calabria, – ha detto mons. Savino – come possiamo vivere la speranza, e le nostre comunità generano speranza? Il futuro è incerto, imprevedibile, oggi la vita sembra sopraffatta dalla paura, dalla solitudine, dall’individualismo, dalla competizione, ma vivere senza speranza, è disumano, anzi, la speranza non è una ideologia o una illusione».
Si è di fronte a un deficit di speranza, non solo in Calabria, anche in Italia, nella Chiesa, nel contesto occidentale, e un antropologo francese, Marc Augè, rivela di cosa abbiamo timore, scruta la nostra esistenza, immersi nella sfiducia, in visioni scoraggianti e apocalittiche con tanti allarmismi e insicurezze («Le nuove paure», Torino 2013, pp. 82).
Secondo mons. Savino, questa mancanza di speranza «deve sussultare in uno sviluppo psicologico esistenziale, passando dall’io al noi, in uno stile comunionale, contro il mito del Narciso e dell’individualismo». È un cammino la speranza, una virtù umile, concreta, ma occorre trovare fondamento alla speranza, e «nella chiesa c’è un abbozzo della speranza: papa Francesco».
Il vescovo ha messo in guardia contro i nemici della speranza: «la disperazione, la rassegnazione, il fatalismo, contro quella cultura mortifera che intende uccidere i vagiti di rinascita. I primi cristiani dicevano che Gesù Cristo è la loro speranza. La speranza cristiana non è estranea quella umana, bisogna esercitarsi nella speranza, in una pedagogia, senza evadere dalla storia, dalla carne, dall’affettività, e di ricercare nell’oggi ciò che domani sarà realtà».
È vero, la vita conosce momenti duri, difficili, dove si può perdere la gioia, nella famiglia, nella città, nella società e nella chiesa, se non c’è perseveranza e resistenza, e si può cedere alla disperazione. Prima di concludere, mons. Savino, ha offerto tre parole, un sogno unitario, in un mondo che ancora non si vede ma che di certo verrà: «responsabilità, coraggio e amore».
Durante la catechesi, sono state presentate delle figure di speranza, figure testimoniali, come l’ebrea Etty Hillesum, morta nei campi di sterminio ad Auschwitz, che nei suoi diari, confida e confessa la speranza, in un contesto drammatico. Etty ha testimoniato con la vita che la speranza non è una illusione o una parola magica. Il vescovo, ha spiegato le tre parole: «speranza è rispondere a chi ci domanda aiuto, è essere se stessi, con audacia, e coraggio, e solo chi ama, spera, con quel brivido che è un inno alla vita». Lo stile e l’identità del cristiano, fanno tesoro di questa “virtù bambina”, come la chiamava il poeta francese Charles Pegùy, che fa andare avanti ed ha un nome e un volto: Gesù Cristo.