Stefano Di Tommaso: “In bilico tra timori e prospettive”
Per tutto lo scorso anno abbiamo visto stagnare le principali economie del mondo, mentre com’è noto il mercato finanziario è andato benissimo, lasciando crescere una pericolosa divaricazione tra economia reale ed economia “di carta” che ha alimentato due bolle speculative che oggi rischiano di esplodere come già nel 2008: quella della sopravvalutazione delle valutazioni aziendali implicite nei corsi espressi dalle borse e quella dell’eccessivo ribasso dei tassi d’interesse che ha portato troppo in alto i corsi obbligazionari, ben al di sopra della parità.
Questa divaricazione preoccupa gli investitori e i gestori del risparmio sino a presagire un intervento delle stesse autorità monetarie affinché essa si ridimensioni senza creare un nuovo terremoto sui mercati.
Tuttavia non è semplice porvi rimedio evitando di vanificare buona parte degli sforzi fatti per sostenere la capitalizzazione del sistema bancario occidentale e turbare profondamente gli attuali delicati equilibri raggiunti. Nessuno lo fa dunque, ma restano vive le preoccupazioni diffuse, che potrebbero nutrire gli appetiti di qualche “animal spirit” della speculazione che volesse provare a cavalcare il ribasso delle borse con la quasi-compiacenza delle banche centrali, così come è successo sul mercato petrolifero con la benedizione del principale Paese produttore di greggio.
Nel prosieguo del 2015 perciò l’idillio tra mercati e banchieri centrali rischia seriamente di infrangersi, a causa di possibili shock esogeni che troverebbero un sostrato di timori e diffidenze degli investitori, soprattutto quelli di lungo termine come i fondi pensione ed assicurativi, da tempo in imbarazzo agli attuali livelli dei mercati. Come si vedrà poco oltre, tali scossoni non sono tuttavia probabili bensì solamente possibili, anche perché numerosi fenomeni attesi dai mercati potrebbero non arrivare affatto (il rialzo dei tassi americani, la risalita dei corsi del petrolio, il default di stato di alcuni Paesi deboli, eccetera).
Comunque vadano le cose tuttavia, per una molteplicità di cause il 2015, almeno per la sua prima parte, sarà probabilmente ricordato come l’anno degli investimenti in Dollari.
Nel resto del mondo infatti si aggira la deflazione, il timore di un crollo delle materie prime e la guerra tra le valute, prime fra tutte quelle che sono deliberatamente spinte al ribasso dalle banche centrali dei Paesi emittenti, per aumentarne la competitività all’export. Tutto questo non favorirà la crescita economica mondiale ma per l’intanto pone sotto una surreale luce dorata il giardino dell’eden dei mercati a stelle e strisce, relativamente immuni da molti dei problemi che affliggono il resto del globo. Ottima ragione per comprare biglietti verdi ma anche titoli del tesoro americano, che offrono rendimenti decenti o quantomeno “non negativi” e sono troppo liquidi per subire importanti shock di prezzo.
Anche i timori di un rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve sono per ora tacitati dalla discesa dei prezzi di gas e petrolio, che rischia di non esaurirsi in un giorno e che determina un effetto deflattivo che può ulteriormente trascinare all’ingiù i prezzi di quasi tutte le commodities. In questo scenario non v’è perciò al momento il rischio di inflazione e dunque nemmeno quello del pronosticato rialzo dei tassi americani.
Tra i titoli azionari sono forse quelli giapponesi che dovrebbero comportarsi meglio, dal momento che gli stimoli all’economia e gli investimenti infrastrutturali di Shinzo Abe daranno finalmente qualche effetto, insieme a ciò che egli ha promesso in campagna elettorale: una progressiva diminuzione delle tasse aziendali per i successivi due anni. Ciò dovrebbe accadere anche perché di pari passo potrebbe proseguire la svalutazione dello Yen, volutamente tenuto debole per favorire le esportazioni e monetizzare sempre più il debito pubblico nipponico.
In Europa nonostante il Q.E. di Draghi abbia riscosso gli applausi a scena aperta, l’economia non andrà molto meglio degli scorsi due anni, sebbene ci sia almeno un comparto -quello delle banche- che dovrebbe decisamente beneficiare degli acquisti di titoli da parte della B.C.E.
Sul fronte opposto sono candidati a ulteriori ribassi i titoli e i corsi delle principali materie prime industriali, quelli dei Paesi Emergenti, e i titoli obbligazionari con più basso Rating o del tutto sprovvisti del medesimo, a causa del prevedibile ritorno degli investitori verso lidi più sicuri, in ragione del fatto che l’economia mondiale del 2015 è indubbiamente più debole e più intrisa di debiti, senza contare il sentimento diffuso di timore tra gli investitori, che potrebbe virtualmente riprodurre gli effetti del recente disastro del 2008.
Nonostante ciò sia relativamente improbabile il solo fatto che ne esista il pericolo spinge gli investitori a cercare di rifuggire dai rischi e ad effettuare manovre conservative, auto-realizzando in parte le loro stesse aspettative.
Questo stesso motivo, oltre a quelli strettamente geo-politici, fa pensare che le quotazioni dell’oro e di altri beni-rifugio non si fermeranno ai livelli attuali, tanto per il fatto che esse sono computate contro Dollaro (che sale) quanto addirittura in assoluto rispetto al Dollaro stesso. Il combinato disposto dei due fattori potrebbe farne intorno alla fine dell’anno la vera protagonista tra le “asset class” d’elezione dei “Money Managers”, soprattutto se dovesse materializzarsi un’ulteriore caduta di fiducia verso i mercati periferici e quelli dei Paesi Emergenti, tra i quali, ahinoi, potrebbe esserci anche il nostro.
Stefano Di Tommaso
Economista, Analista Finanziario