Svizzera, in 4 casi su 5 i medici aiutano a morire i malati terminali Lo “Sportello dei Diritti”: quanti italiani? Si riapra il dibattito per un intervento normativo nel Nostro Paese
Accade a pochi chilometri dai nostri confini e ciò determina ancor maggiori spunti
di riflessione circa un tema etico da sempre dibattuto: i viaggi per trovare la “dolce
morte”.Uno studio che si riferisce alla Svizzera tedesca pubblicato sulle riviste
“JAMA International Medicine” e”Swiss Medical Weekly”, ricercatori delle Università
di Zurigo e di Ginevra hanno rilevato che in più di quattro casi su cinque i medici
che hanno in cura malati terminali praticherebbero una forma di assistenza al suicidio,
spesso rinunciando a misure di accanimento terapeutico. La ricerca che riguardato
2256 casi di morti “attese” e”non improvvise”, nell’ambito di un’indagine statistica
realizzata nel 2013 presso i medici curanti, ha scoperto un dato inquietante: solo
nel 18% dei casi i medici non hanno preso nessuna misura che avrebbe in qualche modo
potuto anticipare il decesso. In più di due casi su tre si è invece deciso di interrompere
una terapia e sono stati somministrati farmaci contro il dolore. Nel 3% dei casi
i medici hanno praticato, in accordo con i pazienti, una forma di assistenza attiva
al suicidio. Una prassi sempre più frequente consiste nel somministrare ai pazienti
dei sedativi per indurre, poco prima del decesso, una forma di sonno profondo, scrive
in una nota l’Università di Zurigo. Rispetto ad uno studio del 2001, questi casi
sono quadruplicati. Ovviamente, sottolinea Giovanni D’Agata presidente dello “Sportello
dei Diritti”, viene da chiedersi quanti tra i casi esaminati siano “turisti”
del suicidio e quanti fra questi siano italiani giacché in Italia queste forme di
“aiuto alla morte” risultano essere vietate, mentre il dibattito italiano è
fermo da anni su un problema che richiede un intervento normativo che, alla luce
di tali nuovi dati, appare indifferibile.