Taurianova, 90 anni dall’unione di Radicena e Iatrinoli L'analisi del sociologo Mimmo Petullà: "Le differenze rimangono marcate. E' tempo di riconciliazione e di strategie complessive"
di Mimmo Petullà
TAURIANOVA – Il novantennio, trascorso dal Regio Decreto Legge riunente in un unico comune Radicena e Iatrinoli – come pure Terranova Sappo Minulio – non sembra abbia prodotto conoscenza storica e senso d’identità nel più ampio vissuto della comunità taurianovese. Nelle forme di elaborazione e di rappresentazione sociale del passato, difatti, l’evento del millenovecentoventotto si lascia cogliere come uno dei luoghi cruciali della rimozione della memoria collettiva, essenzialmente chiuso alla categoria della condivisione e alla pratiche di riattualizzazione. La riunificazione, a ben vedere, per quanto abbia potuto modificare confini amministrativi e denominazioni esterne, non è riuscita ad annullare l’immateriale differenziazione spaziale dell’ambiente urbano di origine, che è rimasta marcatamente e insidiosamente presentificata nelle rappresentazioni interiori di una considerevole parte della collettività. Vi è da aggiungere, d’altra parte, che talune problematiche – per molti aspetti già storicamente fondate – hanno continuato a insistere anche dopo il provvedimento di riduzionista centralizzazione, peraltro ispirato da un regime di controlli e adottato senza consultazione degli abitanti di riferimento.
Le locali gestioni, susseguitesi nelle cangianti rappresentanze amministrative, hanno sottovalutato la ricerca sistematica di un’equilibrata conservazione e valorizzazione degli assetti storici, contraddistinguenti l’intrinseca ed ereditata eterogeneità territoriale, mentre non raramente è stato favorito un certo sbilanciamento nelle modalità di costruzione di politiche di sviluppo e di coesione della città. Un processo, questo, che tra le due derivanti popolazioni ha contribuito a diffondere ulteriormente – fino a consolidare – micro sistemi economici e culturali discrepanti e contrapposti, le cui ricadute hanno inevitabilmente interessato finanche la qualità delle relazioni sociali. Tale tendenza ha a sua volta inasprito antiche tensioni, che hanno ceduto il passo alla legittimazione e alla mobilitazione di veri e propri stereotipi, generanti stigmatizzazione territoriale, sulla base dell’affermazione di rivendicanti sentimenti di appartenenza. Si tratta di un registro di schemi precostituiti, che nel tempo si sono rivelati – a dispetto del grado di organicità configurata dalla nuova istituzione comunale – quali strumenti funzionali utilizzati per attivare dinamiche d’inclusione e di esclusione: come a indicare chi faccia parte – o meno – della comunità dei cittadini.
I riverberi di certe raffigurazioni – evidentemente rigide e alquanto semplificate – sulle realtà urbane di Radicena e di Iatrinoli, si sono lasciati avvertire anche nel passato più recente, al punto che forme di potenziale e preconcetta ostilità hanno alimentato veri e propri pregiudizi, condizionando – più di quanto, in apparenza, si possa immaginare – i contatti e le esperienze tra le persone, talvolta suscettibili al biasimo sulla base di meri meccanismi di categorizzazione cittadina. Questo complesso quadro situazionale si è mostrato indebolito, in modo ulteriore, dalla progressiva affermazione di una dimensione politica noncurante dell’importanza di apprendere gli umori della cittadinanza, mentre ha lasciato prevalere registri comunicativi diffusamente fondati sulla contrapposizione intesa come un tratto identificatore. Al loro interno l’elaborazione di una visione globale dell’ambiente urbano taurianovese ha trovato applicazioni piuttosto esigue, se non altro rispetto alla preponderanza di uno schema frammentato e creatore di luoghi di distinzione – dunque d’identità – che per tutto ciò ha comportato una gestione difficoltosa dell’insorgenza di svolgimenti conflittuali, in modo particolare quelli scaturenti da una problematica percezione al senso di appartenenza integrale alla città.
E’ possibile cogliere, in questo medesimo orizzonte, la presenza delle istituzioni ecclesiali, la cui reciproca e disunente diffidenza si è tradotta in una resistenza nel dare concreto impulso a un progetto di pastorale organica, orientato a forme sistematiche di evangelizzazione della cultura urbana. Occorre, appunto per questo, ripensare a linee essenziali e più condivise, per riconoscere e indicare il senso della città come spazio – corresponsabilmente unitario – d’incontro e di confronto.
Non è sfuggito, alle logiche di un sistema di divisione, nemmeno la criminalità organizzata, tenendo conto che strategie di controllo e di predominio del territorio, come pure l’ultima faida – tribale nella sua forza simbolica e ferocia fattuale – si sono configurate secondo una geografia urbana indicante distintamente la cosca di Radicena e la cosca di Iatrinoli. I corpi dei morti ammazzati hanno ben presto ritracciato lo scenario degli antichi confini, facendoli prepotentemente riemergere come un tragico, ineludibile e costitutivo destino antropologico. Tra i sottostimati e devastanti effetti della suindicata guerra di ‘ndrangheta – di cui è possibile stabilire l’inizio ma non la fine – va del resto indicato il potente impatto emotivo che l’esplosa propensione primordiale all’aggressività e alla violenza ha provocato sull’immaginario. La comunità, colpita nel tessuto delle sue relazioni – disumanizzate dall’orribile che ha fatto irruzione all’interno di esse – è stata costretta a compiere un tuffo nel passato più regressivo, vale a dire quello rievocante latenti rotture sociali. Poiché i segni mnemonici, inferti da quella sconcertante barbarie, sono stati progressivamente rimossi – come distanziati dalla consapevolezza – essi continuano a riaffiorare ancora oggi, materializzando la percezione di sottili forme d’incertezza, nutrite da paure e tensioni, che contrastano con i meccanismi di armonia emotiva, contribuendo a impedire la produzione di valori e riferimenti di significato unificanti per la città. Da quel periodo sono passati oltre venticinque anni, che legano – tra quanti sono stati direttamente o indirettamente coinvolti – un impasto di dinamiche familiari, relazionali e generazionali diverse. Al loro interno è possibile individuare talune testimonianze di solidarietà e di bontà – senz’altro da recuperare e da incoraggiare – ma anche la pensabile prevalenza di rabbie, accumulate e trasformatesi in covante rancore, se non esposte al potenziale rischio della pratica vendicativa.
E’ tempo di ascolto e di dialogo, nel tentativo di sviluppare strategie complessive e adeguate, a partire dal coraggio di entrare nella vita vera delle persone e delle loro vicissitudini, proponendo la cultura del perdono e della riconciliazione – mai dissociata dalla giustizia – per toccare il cuore di quanti fossero ancora imprigionati dal passato, perché incapaci di aprirsi a un futuro differente. Si tratta di una delle questioni che merita una specifica priorità attentiva, senza la quale risulterebbe alquanto difficile interrogarsi e riflettere compiutamente sui recenti processi storici e – nondimeno – sul destino della comunità. E’ da considerare, in questa prospettiva di senso, come culturalmente intuitiva la proposta dell’attuale istituzione municipale, volta a individuare e rinforzare le ragioni dello storico anniversario dell’unificazione, sollecitando nella sfera pubblica – grazie alla propositiva mediazione di taluni eventi – una presa interpretativa e orientativa delle idee sulla realtà cittadina presente e sulle possibili dinamiche di sviluppo future. Si è del parere che l’iniziativa possa segnare un significativo approccio alla ricostruzione di una memoria collettivamente condivisa, che è possibile trasformare in un implicito richiamo ai contenuti identitari della città, ricercando anche il confronto – nel segno di un ulteriore e rinnovato slancio determinato dalla relazione dialettica – con le esperienze e le istanze di tutte le forze politiche amministrative. Taurianova può diventare luogo della responsabile convivenza, insistendo sulla ridefinizione dello spazio urbano – inteso come cittadinanza aperta alla contemporaneità – e ancora prima incoraggiando a gettare uno sguardo critico sul passato, con il quale ha un vitale bisogno di riconciliarsi, nel tentativo di recuperare il senso di appartenenza a una storia. Essa è fatta di un’originaria e strutturante diversità, che attende – ancora oggi – di essere pienamente accolta, riconosciuta e valorizzata nella sua indubbia ricchezza, perché possa divenire una forza, capace di costruire dialogo unificante e democratico.