Taurianova, a 40 anni dalla strage di Razzà Alla commemorazione, tra gli altri, il comandante provinciale dell'Arma, il colonnello Giancarlo Scafuri e i familiari dei due carabinieri
TAURIANOVA – «Non sono stati indifferenti, potevano anche non intervenire. Girare le spalle e far finta di nulla. Non l’hanno fatto. Sono stati fermi e hanno affrontato il potenziale pericolo». È il ricordo forte, sentito del comandante provinciale dell’Arma, colonello Giancarlo Scafuri, che prendendo la parola durante la messa in suffragio dell’appuntato Stefano Condello e del carabiniere Vincenzo Caruso, i due militari dell’Arma uccisi dalla ’ndrangheta in contrada Razzà, ha voluto scuotere le coscienze dei presenti evocando uno dei mali della società contemporanea: l’indifferenza. A 40 anni dall’eccidio, la commozione è ancora palpabile e le affermazioni del colonello sono lo specchio che il ricordo di quella strage non è un format predefinito. Non il solito cliché. È qualcosa di vivo e presente tra i carabinieri e nella società. Non c’è retorica nella attestazioni di Scafuri. E nel rammentare quegli eventi, l’ufficiale dell’Arma si rivolge ai tanti alunni delle scolaresche presenti alla commemorazione.
«Ricordatevi ragazzi – dice il colonnello – di non essere mai indifferenti e di non girarvi dall’altra parte quando qualcosa non va. Non lo fate mai».
Nel giorno del quarantesimo della rievocazione dei due militari uccisi, era il 1° aprile del 1977, una santa messa in suffragio, officiata dal cappellano militare don Aldo Ripepi e concelebrata da don Pino De Masi e don Antonio Spizzica, ha aperto la giornata a cui è seguita la deposizione di una corona di alloro presso la Piazza intitolata ai due caduti, entrambi medaglia d’oro al valor militare. Alla cerimonia erano presenti i familiari dei due militari dell’Arma assassinati, alcuni rappresentanti della magistratura del distretto reggino, le massime autorità civili, militari e religiose della neonata città metropolitana.
È toccato alla figlia dell’appuntato Condello, Antonietta, ricordare il padre e il collega Caruso: «È un qualcosa che ti segna tutta la vita. Io purtroppo – rammenta – sono rimasta senza papà, mia madre senza marito in giovane età. Ma penso che mio padre abbia fatto il suo dovere».
I FATTI
Era il 1° aprile del 1977, alle 13.00, tre militari del Nucleo Radiomobile della Compagnia di Taurianova, l’Appuntato Stefano Condello ed i Carabinieri Vincenzo Caruso e Pasquale Giacoppo, iniziano il loro turno di servizio. Una volta usciti dalla caserma, i tre carabinieri percorrono la statale 101-bis, diretti in contrada Razzà, dove notano che nei pressi della masseria di un pericoloso pregiudicato sono posteggiate quattro auto ed una Vespa. Ci sono tre Fiat 127 ed una 126. La 126, osserva il Carabiniere Caruso, appartiene ad un altro pregiudicato del posto. Quel pregiudicato, aggiunge l’Appuntato Condello, è anche noto per aver favorito dei latitanti.
L’Appuntato Condello ed il Carabiniere Caruso, lasciano il collega Giacoppo a presidio dell’auto di servizio e si incamminano per la mulattiera. Nella casa diroccata, si trovano due pregiudicati, armati con pistole. Condello e Caruso, lottando, riescono a disarmarli, ma da tutte le direzioni i carabinieri vengono investiti da una pioggia di colpi di lupara e di pistola. Condello risponde al fuoco, ma viene ferito alle spalle.
Caruso lo raggiunge e riesce a colpire, ferendoli mortalmente, gli aggressori, ma arrivano ancora altri malfattori, ed anche lui – infine – soccombe sotto i colpi che senza tregua lo raggiungono. Il Carabiniere Giacoppo, che ha udito gli spari, decide di avvicinarsi ai colleghi, e nel percorrere la mulattiera si imbatte con tre individui armati di fucile, ne nasce un altro scontro a fuoco, senza feriti: i tre malviventi si dileguano tra la vegetazione.
Giacoppo, giunto sul posto, trova i suoi due colleghi stesi a terra, esanimi. I vertici dell’Arma e della Magistratura calabrese giungono subito sul posto. Le indagini fecero piena luce sull’eroico comportamento dell’Appuntato Condello e del Carabiniere Caruso: quel giorno i tre carabinieri, nella casa colonica, avevano sorpreso undici mafiosi che stavano tenendo una riunione di ‘ndrangheta. A prendervi parte erano esponenti delle più potenti famiglie della Piana, che intendevano confrontarsi per gestire i propri spazi di potere e per spartirsi appalti e tangenti.