Taurianova, ai domiciliari Ernesto Fazzalari. Condannato a 30 anni e detenuto al 41 bis era stato fino al giugno 2016 il latitante più ricercato dopo Matteo Messina Denaro
redazione | Il 26, Gen 2025
Ai domiciliari Ernesto Fazzalari. Condannato a 30 anni e detenuto al 41 bis era stato fino al giugno 2016 il latitante più ricercato dopo Matteo Messina Denaro
La vicenda processuale ed umana di Ernesto Fazzalari ruota attorno all’eterno conflitto tra libertà e
autorità. Nell’ambito di questo conflitto, la reclusione in carcere, che è espressione massima di autorità, non può risolversi in una totale e assoluta privazione di libertà; può comportarne una grave limitazione, ma non può certo determinarne la soppressione. Chi si trova in stato di detenzione, infatti, conserva la propria libertà per il tramite di quel valore supremo che è la dignità umana che, essendo intrinseca all’esistenza dell’uomo, non può essere conferita, graduata o revocata e permane al di là di ogni circostanza e condizione: è, in altre parole, il fondamento della precedenza e dell’anteriorità che l’individuo vanta nei confronti dello Stato.
Ernesto Fazzalari era stato condannato all’ergastolo nel processo Taurus (processo che ha giudicato numerosi imputati per i delitti, consumati tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, relativi alla “Faida di Taurianova”, culminata con il famoso “Venerdì Nero”), pena successivamente ridotta a 30 anni dalla Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria su richiesta del suo difensore per effetto della sentenza della CEDU nel caso Scoppola v/s Italia, ed è stato arrestato dopo oltre 20 anni di latitanza.
Durante questo periodo era stato inserito al secondo posto, dietro il solo Matteo Messina Denaro, nell’elenco dei latitanti di massima pericolosità, una lista redatta dal Gruppo integrato interforze per la ricerca dei latitanti più pericolosi (GIIRL) della Direzione centrale della polizia criminale nell’ambito del Programma speciale di ricerca.
In seguito al suo arresto, avvenuto il 26 giugno 2016, a Trepitò, in provincia di Reggio Calabria, il Fazzalari è stato sottoposto al regime del 41 bis. Durante la sua detenzione gli è stata diagnosticata una grave patologia che ha indotto la difesa, rappresentata dall’avvocato Antonino Napoli, a chiedere il differimento della pena o la detenzione domiciliare sul presupposto che da alcune recenti sentenze, emesse dai giudici del merito, emergeva che dell’operatività di Fazzalari Ernesto, quale capo di una cosca di ndrangheta, non si aveva dimostrazione concreta nel periodo antecedente alla sua cattura.
Si è accesa così una lunga e dura battaglia legale tra la difesa di Ernesto Fazzalari e la magistratura di sorveglianza di l’Aquila, prima, e Bologna, poi.
La detenzione domiciliare al Fazzalari è stata concessa dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna dopo che la Corte di Cassazione, accogliendo i ricorsi della difesa, ha annullato ben tre ordinanze di rigetto del differimento della pena o della concessione della detenzione domiciliare, una emessa dal Tribunale di Sorveglianza di L’Aquila e due ordinanze emesse del Tribunale di Sorveglianza di Bologna, in seguito al trasferimento del Fazzalari presso il centro diagnostico e terapeutico del carcere di Parma, quest’ultimo tribunale, riunendo due giudizi di annullamento della Cassazione, ha dovuto finalmente accogliere la richiesta della difesa.
Tuttavia, anche contro quest’ultimo provvedimento è stato proposto ricorso in cassazione perché, ad avviso della difesa, il Tribunale di Sorveglianza non si sarebbe adeguato ai principi di diritto, sanciti dalla prima sezione della Cassazione con la sentenza di annullamento con rinvio, secondo i quali il TdS avrebbe dovuto differire la pena.
L’avvocato Antonino Napoli, difensore del Fazzalari in tutti i ricorsi presentati, nel commentare questa importante decisione ha affermato che “il Tribunale di Sorveglianza di Bologna concedendo la detenzione domiciliare ad Ernesto Fazzalari ha – di fatto – applicato il principio di civiltà giuridica che sancisce la prevalenza del diritto alla salute come garanzia della dignità del detenuto e dell’umanità della pena. E’ dovere del giudice, nelle proprie decisioni, di riuscire a trovare sempre un equilibrio tra empatia, compassione, comprensione, rigore e severità, in modo che l’applicazione del diritto sia avvertita dai tutti i cittadini, in primis i condannati, come legittima e giusta perché la decisione giudiziaria non è mai un atto di pura tecnica giuridica, ma un atto di coscienza: la coscienza del “giusto”. Il rispetto della dignità umana dev’essere sempre la “bilancia” su cui pesare le compressioni di libertà autoritativamente imposte alla persona detenuta perché anche se lo Stato punisce, mai si deve vendicare!”.