Telefono a scuola. Lo squillo in classe, gli insegnanti di fronte al dilagare degli smartphone tra i ragazzi
Giovanni D'agata | Il 07, Apr 2014
Lo si può portare in classe? Usare? Chi viene scoperto, si vede ritirato il dispositivo (solo la sim viene restituita) fino alla fine dell’anno. Per lo “Sportello dei Diritti” serve una nuova norma del Ministero dell’Istruzione che ponga fine alla jungla regolamentare
Telefono a scuola. Lo squillo in classe, gli insegnanti di fronte al dilagare degli smartphone tra i ragazzi
Lo si può portare in classe? Usare? Chi viene scoperto, si vede ritirato il dispositivo (solo la sim viene restituita) fino alla fine dell’anno. Per lo “Sportello dei Diritti” serve una nuova norma del Ministero dell’Istruzione che ponga fine alla jungla regolamentare
Smartphone e cellulari ultraconnessi sono ormai alla portata di tutti, anche dei giovanissimi e dei bambini, tanto da costituire l’ennesimo problema di una scuola, quale quella italiana, già piena di questioni di difficile soluzione.
E così accade quotidianamente che nel bel mentre di una lezione, in un momento che nei ricordi della vecchia e austera scuola di un tempo era quasi sacrale, uno squillo, l’ultima hit del momento come suoneria, o la vibrazione vanno a interrompere i tentativi di raggiungere un po’ di concentrazione di un’intera classe.
Per non parlare delle foto scattate nei bagni, le chat avviate a ripetizione con le app di messaggistica istantanea tipo “Whatsapp” e quei post sui social network, tra tutti Facebook che alimentano il bullismo, fenomeno mai sopito e forse amplificato da queste nuove possibilità nelle mani del bullo di turno.
Insomma, per la scuola ed il personale docente è un vero e proprio disastro.
Come reagiscono gli istituti scolastici di fronte al dilagare degli smartphone tra i ragazzi? Al momento, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, ci troviamo di fronte ad una jungla regolamentare cui forse dovrebbe porre rimedio il Ministero dell’Istruzione con un provvedimento su scala nazionale che possa fornire riferimenti certi ai dirigenti scolastici che si trovano in seria difficoltà nello gestire e nel trovare una soluzione a questo dilagante fenomeno.
Perché la direttiva del 15 marzo 2007, ormai troppo risalente e non adeguata all’evoluzione informatica degli ultimi anni ha sì impegnato tutte le istituzioni scolastiche a regolamentare l’uso a scuola, con esplicito divieto durante le lezioni, ma ha anche creato una difformità di trattamenti per quelli scolari che violano le norme e non poteva prevedere l’ampia diffusione e disponibilità delle connessioni ad internet e delle applicazioni utilizzabili.
Molte scuole, infatti, hanno introdotto dei veri e propri divieti, dove nelle più intransigenti il telefonino non si può portare (salvo rarissime eccezioni) e le “sanzioni” previste pesanti. Chi viene scoperto, si vede ritirato il dispositivo (solo la sim viene restituita) fino alla fine dell’anno scolastico. Altrove questo avviene solo nei confronti dei recidivi. In altre, niente cellulare e chi sgarra deve mandare i genitori a prenderlo dopo ben 2 settimane.
Quasi ovunque la regola è chiara: spento e in cartella. E chi viene pizzicato dovrà chiedere ai genitori di andare a riprenderlo. Alcune scuole sono state costrette a un cambio in corsa: i ragazzi costringevano spesso i genitori a correre subito a scuola per recuperare l’iPhone. Così è stata introdotta una sorta di settimana di “quarantena”.
Tolleranza, fino a un certo punto – C’è poi chi è più tollerante, dove la prima volta in cui si viene pizzicati basta un richiamo, oppure che riconsegna il telefono alla fine delle lezioni senza l’intercessione dei genitori. Tale ultima prassi è certamente alimentata dal timore che il sequestro non sia legale. In mancanza di normative specifiche ed adeguate ai tempi i dubbi, e non sono pochi, rimangono.