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Tripoli accetta ‘Road map’. Unione africana per un cessate il fuoco

Tripoli accetta ‘Road map’. Unione africana per un cessate il fuoco

| Il 11, Apr 2011

Lo ha annunciato il presidente sudafricano Jacob Zuma, giunto nella capitale libica con una delegazione di mediatori dell’Unione

Tripoli accetta ‘Road map’. Unione africana per un cessate il fuoco

Lo ha annunciato il presidente sudafricano Jacob Zuma, giunto nella capitale libica con una delegazione di mediatori dell’Unione

 

(ANSA) TRIPOLI – Il governo libico ha accettato in serata la ‘Road Map’ proposta da una delegazione dell’Unione Africana per porre fine al conflitto in corso dal 17 febbraio. Lo ha detto il presidente sudafricano Jacob Zuma, giunto nella capitale libica con una delegazione di mediatori dell’Unione. ”Dobbiamo dare una chance a un cessate il fuoco”, ha detto Zuma dopo un incontro della delegazione con il leader libico Muammar Gheddafi. ”Ho impegni che mi obbligano a ripartire ma abbiamo completato la nostra missione con il ‘fratello-leader”’, ha affermato il capo di stato sudafricano dopo un colloquio durato diverse ore e tenutosi nella residenza bunker del colonnello di Bab al-Aziziyah, a Tripoli. ”La delegazione del fratello-leader ha accettato la Road Map presentata da noi, dobbiamo dare una chance a un cessate il fuoco”, ha proseguito. Zuma ha aggiunto anche che la delegazione della Ua si spostera’ ora a Bengasi per colloqui con i leader degli insorti. Quasi due mesi dopo l’inizio della rivolta in Libia, il 17 febbraio scorso, le giornate continuano ad essere ritmate dal tam tam della guerra di posizione che vede contrapporsi l’esercito di Muammar Gheddafi e le milizie ribelli nelle due città chiave di Misurata, a ovest stretta tra Tripoli e Sirte, e Ajdabiya, ultima linea del fronte sulla strada verso la capitale dell’insurrezione, Bengasi. La Nato intanto estende il raggio d’azione, colpendo anche i rifornimenti del regime, mentre sul piano diplomatico è da segnalare l’iniziativa dell’Unione africana (Ua), forse unica organizzazione di spicco sul piano internazionale a tentare ancora una mediazione tra le parti in conflitto. In una domenica assolata, con un caldo torrido da gita fuoriporta, le famiglie libiche si ritagliano il tempo per un fugace pic-nic sul verde dei prati, o sulla sabbia delle spiagge: nelle stesse ore fonti mediche annunciano un primo bilancio, evidentemente parziale, delle ultime 48 ore di guerra. Le ultime stime parlano di almeno 23 i morti, tutti tra i ribelli e i civili, nel fine settimana a Misurata e Ajdabiya, dove infuria la battaglia. Gli insorti corrono ai ripari e lungo la strada da Tobruk a Bengasi sono sfilati numerosi pullman carichi di soldati: “Vanno a Ajdabiya”, assicura una fonte vicina ai ribelli. Ma le forze ribelli sono ridotte, non possono far fronte a un esercito bene armato e ben retribuito. “Bengasi oggi è una città sicura, ma per Tripoli, Misurata, Zenten, l’incubo non è finito”, ha detto Mustafa Abdel Jalil, capo del Consiglio nazionale transitorio, chiedendo anche all’Italia “di fare di più perché la nostra gente possa affrancarsi dal giogo del regime”. Un appello che la Nato sembra però aver già fatto proprio. L’Alleanza infatti, che oggi ha annunciato di aver distrutto 25 carri armati di Gheddafi (e tra venerdi e sabato ne aveva colpiti altri 17), non si limita più a garantire la no-fly zone e a distruggere le armi pesanti del regime, ma attacca anche i depositi di munizioni e le linee di rifornimento delle forze legate a Tripoli. “La situazione a Ajdabiya, e a Misurata in particolare, è disperata – ha detto il generale canadese Charles Bouchard, comandante dell’Operazione Unified Protector -. Per aiutare a proteggere questi civili noi continuiamo a colpire duramente le forze (di Gheddafi) “. I ribelli confermano e ringraziano: “Abbiamo constatato un netto miglioramento dell’intervento della Nato a Misurata, fra ieri e stamani”, ha detto un portavoce. Fonti concordanti affermano che grazie a questi interventi, le forze anti-governative sono riuscite a rimettere piede a Ajdabiya, o quel che ne resta, ma la situazione resta caotica, soprattutto perché i soldati fedeli al rais utilizzano tecniche di guerriglia, quindi sono poco interessate alla conquista di una cittadina deserta, ma mirano piuttosto ad impedire una nuova offensiva a sud, che metterebbe a repentaglio il controllo sull’area petrolifera e dei terminal, a Ras Lanuf e Marsa el Brega. Insomma, nulla di nuovo rispetto a qualche settimana fa.

JALIL, ROMA FACCIA DI PIU’, FERMEREMO MIGRANTI Grazie all’ Italia per quello che ha fatto ma occorre fare di più. Il capo del Cnt libico (Consiglio nazionale di Transizione) Mustafa Abdel Jalil, alla vigilia della sua missione a Roma, tributa il riconoscimento dei ribelli di Bengasi e lancia un appello al composito fronte internazionale che, in una intensa settimana di appuntamenti incrociati, cercherà di trovare una prospettiva ad una crisi la cui soluzione non è più solo militare e non è ancora diplomatica. “In questa fase drammatica siamo riconoscenti al governo italiano per quello che ha fatto e sta facendo per noi”, sottolinea Jalil, che arriva domani sera nella capitale per la sua prima visita all’estero e incontra, martedì, il presidente della repubblica Giorgio Napolitano, il premier Silvio Berlusconi e il ministro degli Esteri Franco Frattini. E lancia una segnale accattivante al Bel Paese, sommerso dall’ondata migratoria. “Ci impegniamo – scandisce – a combattere l’immigrazione clandestina”, in cambio di una “mano” a “proteggere le nostre frontiere”. Ma il leader del Cnt, al quale non piace l’idea di dover in qualche modo ‘convivere’ con Gheddafi, chiede all’Italia e al resto del mondo “di fare di più perché la nostra gente possa affrancarsi dal giogo del regime”. Cosa é possibile fare proveranno a capirlo, tra oggi e venerdì, praticamente tutte le istituzioni internazionali a vario titolo coinvolte in una crisi che, ormai è chiaro, potrebbe andare avanti per molto. Di un cessate il fuoco immediato e dell’ “apertura di un dialogo politico” tra Tripoli e Bengasi parlerà la delegazione di mediatori dell’Unione Africana (Ua) guidata dal presidente sudafricano Jacob Zuma, giunta oggi pomeriggio nella capitale libica per colloqui con Gheddafi e che domani sarà a Bengasi per vedere gli esponenti del Cnt. Il 12, mentre Jalil sarà impegnato stringere ulteriormente i legami con Roma, che insieme a Parigi e Doha é la sola ad aver riconosciuto il Cnt, la crisi libica sarà al centro della riunione dei ministri degli Esteri dell’Ue a Lussemburgo. Ci sarà anche Mahmud Jibril, incaricato degli affari esteri per il Consiglio di transizione, invitato per un incontro “breve e informale” con i 27 divisi anche su questo, con Svezia, Gran Bretagna e altri membri non ancora del tutto convinti dell’affidabilità degli insorti. E ancora, si parlerà di Libia mercoledi 13, in Qatar, dove si riunisce il gruppo di Contatto e poi il 14 e il 15, alla ministeriale Nato a Berlino, presente il segretario di Stato Usa Hillary Clinton. Appuntamento importante, per definire le prossime mosse dell’Alleanza che continua le operazioni militari (all’Italia é stato chiesto un maggiore impegno militare, in particolare la possibilità che i nostri aerei partecipino ai bombardamenti) ma che ieri, per bocca del suo segretario generale Anders Fogh Rasmussen, si è detta convinta che non esiste una soluzione militare ma che c’é bisogno di una soluzione politica. Intanto, sul terreno, si continua a bombardare. Oggi gli aerei della Nato hanno distrutto 25 carri armati di Gheddafi e ucciso almeno 15 lealisti. Le bombe, afferma il capo dell’Operazione Unified Protector, il generale canadese Charles Bouchard, di fatto rispondendo all’appello del Cnt a fare di più, mirano anche ai depositi di munizioni e alle linee di rifornimento delle forze legate a Tripoli. A una soluzione diplomatica punta anche la conferenza internazionale del 14, convocata al Cairo dalla Lega Araba: ci saranno il segretario dell’Onu, Ban Ki Moon, il presidente dell’Ua Jaen Ping e il capo della diplomazia Ue Catherine Ashton, che ieri aveva informato lo stesso Ban della disponibilità europea ad una missione militare di appoggio umanitario in particolare per Misurata, assediata dalle truppe di Gheddafi e ormai allo stremo.

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