Rallentare la progressione del morbo di Alzheimer con plasma da sangue “giovane”.
L’idea, emersa da una ricerca sui topi, è stata sperimentata su 18 malati in uno
studio della Stantford University. I risultati indicano che la possibile terapia
è sicura per la salute e senza effetti collaterali. Dal punto di vista terapeutico
ci sarebbero indicazioni di piccoli miglioramenti. Tali miglioramenti sono stati
registrati sul campione di pazienti con un livello di Alzheimer considerato ‘medio’
e trattati settimanalmente con infusioni di plasma proveniente da giovani uomini
sani e con meno di 30 anni di età. Secondo il personale che si prendeva cura dei
malati, dopo il trattamento i pazienti hanno conversato di più e sono apparsi più
‘presenti’ nelle attività quotidiane. Ma i ricercatori non hanno registrato miglioramenti
misurabili di memoria e ragionamento. L’azienda che sta lavorando alla possibilità
di sviluppare un prodotto a base di plasma giovane, ma depurato da varie sostanze
come l’immunoglobulina – la Alkahest – sta mettendo ora a punto una sperimentazione
clinica su 40 malati di Alzheimer che dovrebbe dare risultati statisticamente più
significativi. Secondo gli autori di questi primi test, la teoria è che l’Alzheimer
sia scatenato da processi infiammatori che il plasma “giovane” contrasterebbe. Lo
studio è stato presentato alla Conferenza sull’Alzheimer in corso a Boston. Giovanni
D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, associazione che si occupa
anche della tutela degli ammalati di tali malattie neurodegenerative, ricorda che
circa 47 milioni di persone in tutto il mondo sono affette da demenza senile, ed
il morbo di Alzheimer è il tipo più comune. L’inesistenza di una cura, poiché
le medicine attuali possono solo temporaneamente alleviare i sintomi, comporta il
fatto che non solo chi è colpito dalla malattia ne subisce le conseguenze che lo
portano ad un decadimento progressivo sino alla morte, ma anche i propri familiari
che devono assisterli. È difficile, quindi stimare, per la loro enormità, i costi
sociali che la malattia porta ai sistemi di welfare, ma è ovvio che la scoperta
di una cura efficace potrebbe da una parte portare sollievo a milioni di persone
nel mondo, ma anche ridurre notevolmente la spesa pubblica sanitaria a livello globale.