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TAURIANOVA (RC), MARTEDì 26 NOVEMBRE 2024

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Viaggio alla scoperta delle origini di Cinquefrondi Prosegue l'itinerario di Domenico Caruso nei comuni della Piana

Viaggio alla scoperta delle origini di Cinquefrondi Prosegue l'itinerario di Domenico Caruso nei comuni della Piana
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di Domenico Caruso

«Questa Terra sta situata in una amenissima pianura, partecipando più delle montagne che delle marine e perciò gode un aere molto delizioso e salubre.
E’ circuita di forte muraglia in forma di cinque angoli, a ciascheduno dei quali vi si vede una torretta tonda e molte mezze torrette frammezzate benché in parte diroccate dalla antichità e dalla insolenza dei tempi».
(Padre Giovanni Fiore da Cropani, 1622-1683)

Un po’ di storia
La nascita
Secondo la leggenda Cinquefrondi risale al tempo della Magna Grecia, (inizio del V sec. a.C.), allorquando i Locresi vi costruirono due templi pagani: il primo detto delle Muse in una zona impervia (oggi chiamata Musucampu) e l’altro della dea latina Proserpina (Persefone per i Greci), punto d’incontro delle genti, nei pressi del quartiere più antico (ove si trova la Chiesa del Rosario). E’ probabile che un gruppo di cinque villaggi limitrofi, (come si rileva dai ritrovamenti archeologici), riuniti per difendersi dai feroci assalti dei Saraceni, sia all’origine etimologica di Cinque Fronde (latino quinque frondum), mutato poi in Cinquefronde, Cinquefrondi.
«I nomi di questi villaggi, ognuno dei quali votato a un santo», afferma il dott. Francesco Gerace, «erano: San Demetrio, San Pantaleone, San Lorenzo, Santa Maria e Sant’Elia». (Da: CINQUEFRONDI storie e memorie, a cura dell’Amm. Comunale, Tip. Bieffe – Polistena, 1996).
Scarse, comunque, sono le tracce delle suddette località e controverse le loro vicende. Quando i Locresi fortificarono il luogo prescelto, (attorno al monastero di S. Filippo d’Argirò), centro di scambi tra Jonio e Tirreno, esisteva già il castello.
Per G. Pensabene (v. Dizionario Etimologico – DES) il toponimo si riferisce a zone di frontiera: cingo frontem (chiudo la frontiera). Un tempo era una semplice segnaletica di zona di guerra: Poli èxtima (estremità del Polo).
Sotto i Normanni, Cinquefrondi fu posseduto dalla famiglia Caracciolo (fino alla metà del XV sec.) e poi dai Correale, da Vincislao Giffone, dai Pescara Diano che lo mantennero fino all’eversione feudale.
Il terremoto del 1783 rase al suolo sia i templi che il borgo, passato con l’ordinamento amministrativo del 1799 nel Comune di Seminara. Nel 1809 una guarnigione francese, insediatasi per controllare il popolo che si era ribellato all’oppressione napoleonica, fu massacrata dai calabresi. Murat fece allora distruggere il paese che, ricostruito nel 1811, divenne Comune ed incluso nel Circondario di Galatro. Gli edifici sacri di Cinquefrondi (Matrice di San Michele Arcangelo, Madonna del Carmine, Rosario, S. Francesco e Madonna della Montagna) offrono pregevoli opere d’arte.
Segnaliamo il Crocifisso ligneo e il gruppo dell’Arcangelo nella Matrice; un Crocifisso del 1458, monumento nazionale, nella Chiesa del Carmine; alcuni oli settecenteschi su tela in quella più antica, intitolata alla Vergine del Rosario, edificata sulle rovine del tempio pagano della dea Proserpina.
Leggende e curiosità
Bellezza incomparabile di Cinquefrondi
S.E. il principe D. Luigi Pignatelli, Duca di Casoria, nato e cresciuto nella bella Napoli, insieme alla consorte D. Maria dei Marchesi Aiossa e famiglia, negli anni precedenti la sua immatura fine faceva dei frequenti soggiorni in Cinquefrondi. Autentico gran signore, un giorno fu invitato a casa dell’avv. Albanese sita in una vicina contrada.
«Nell’attesa dell’inizio del banchetto il Principe volle isolarsi per meglio contemplare dall’alto della torre, costruita dallo stesso proprietario a ridosso del villino, il meraviglioso panorama.
La contemplazione si prolungava e gli ospiti esitavano a richiamarlo. Rotto finalmente il ghiaccio, il Principe rispose: – Eccomi, ma debbo confessarvi che mi distacco a malincuore, perché avrei preferito di far pascere il mio animo di questa visione d’incanto».
Anche l’istitutrice viennese del nobile, che in precedenza aveva servito altre famiglie aristocratiche e conosceva, oltre che molti Stati europei, anche l’America e l’Australia, quando vide per la prima volta la splendida pianura «andò in visibilio, dando in frequenti espressioni di acceso entusiasmo ed asserendo che luoghi così incantevoli non aveva mai visti in nessuna altra parte del mondo».
(Da: Michele Guerrisi, CINQUEFRONDI – Provincia di Reggio Cal., Ed. Scuola Salesiana del Libro – Roma, 1941).

La Vergine piangente
Nel 1971 Cinquefrondi assurse agli onori della cronaca per un fenomeno che richiamò migliaia di pellegrini. Dalla signorina Bettina Iamundo una suggestiva immagine della Santa Vergine (ora custodita in una vetrina del corso) avrebbe più volte versato lacrime, che si arrestavano in corrispondenza del cuore. La Madonna, inoltre, apparendo all’anziana donna avrebbe dettato degli allarmanti messaggi che i fedeli diffondevano. La notizia è stata riportata da noi su Il Tempo di Roma (Anno XXXI n. 61 del 3 marzo e n. 156 del 9 giugno 1974).
Poeti e scrittori
Carlo Carlino (1953-2004), poeta, scrittore e saggista. Ricordiamo fra le opere poetiche: Nulla è mutato e Il sogno delle cicale. In: Re, poeti e contadini prende in esame Cardone, Martino e Pelaggi. Ha presentato le Poesie di Pasquale Creazzo e la Ceceide di Vincenzo Ammirà. Ha tradotto opere dei Viaggiatori stranieri in Calabria.
Pasquale Creazzo (1875-1963), poeta dialettale e reazionario in politica. Abbiamo parlato di lui nell’agosto 2004 (Anno III n. 8).
Michele Guerrisi (1885-1952), avvocato, funzionario del Ministero del Lavoro. Autore della monografia su Cinquefrondi (1941).
Francesco Gerace (n. nel 1960), laureato in lettere moderne, giornalista professionista che vive e lavora a Roma.
Terminiamo con un classico della poesia dilettale di Pasquale Creazzo (Cinquefrondi 1875 – 1963):

Da: La zappa e la sciabola
Nc’era ‘na zappa ’mpendut’a ’nu muru
di ’nu catòju nìru e affumicatu,
china di rùggia, queta ’ntra lu scuru,
cu’ ’na lucenti sciàbula di latu.

La sciàbula ’nci dissi:
– Oh zappa strutta,
vattindi, esci di jocu pe’ favuri:
non è lu postu toi, tamàrra brutta,
vicin’a mmìa chi lustru di sbrenduri! – …

A tanta arroganza:
La zappa cchjù non potti risístiri,
e nc’issi: – Veramenti si’ mprisusa…
m’a mmìa non mi cumbínci lu to’ diri,
ca si’ potenti guappa e valurusa.

Lu vi’, pe ttìa ’sta casa è ruvinata;
spitu di ’mpernu, facci di guccèri,
’mpama, spaccuna, brutta sbuccazzata,
vattindi tu de ccà, ca tu non meri.

Tu feti di peccati di sassìna,
tu lustri di dolùri, chianti e guai,
di sangu tu si’ lorda chiina chiina,
e tu smerdiji a mmìa pecchì zappài? –