Viaggio nella nostra Piana: Polistena Domenico Caruso ci racconta la storia della città
Polìstina mi pari ‘na riggina
seduta ‘ntra ‘nnu tronu d’olivàri,
lu suli chi tt’abbàsa la matina
ti ggira e ppoi si jetta ‘ntra lu mari. //
‘Nu mari chi ssi pìgghia cu’ li mani,
cu nn’acqua chi nnui sulu possedimu
guardandu ‘ntra li timpi e ppe’ li chiani
lu Stròmboli ti pari cchiù vicinu.
Da: F. Laruffa, Poesie di ieri e saggi folkloristici, Tip. Marafioti – Polistena, 1969)
Un po’ di storia
Le origini
Il nome si presta a diverse interpretazioni (città forte e molto stretto) e per G. Pensabene (v. Dizionario Etimologico – DES) “zona di frontiera, […] alla base era Pori èxtima (estremità del Poro)”. Si presume che Polistena fosse abitata fin dalla preistoria – come dimostrano alcuni reperti del periodo neolitico rinvenuti nella zona.
Costituì, in seguito, una stazione di passaggio per Locri che aveva fondato la colonia magnogreca di Medma (Rosarno). Anche importanti testimonianze dell’epoca romana sono affiorate nella contrada Villa. Lo stanziamento dei monaci basiliani, durante il periodo bizantino, è rappresentato dall’introduzione dei culti di Santa Marina e della Madonna dell’Itria.
Nel 1266 il Segreto di Calabria pose in subappalto la gabella della Bagliva di Polistena. La cittadina appartenne, quindi, a varie nobili famiglie prima di giungere ai Milano d’Aragona (1568) che la detennero fino all’eversione della feudalità (1806). Questi ultimi, che furono i veri protagonisti delle vicende politiche e culturali, diedero a Polistena il titolo di città e di marchesato. La stessa divenne – così – un centro ricco di conventi e di chiese, nonché del Palazzo Marchionale (con annesso un vasto teatro e la Cappella Musicale di Corte – in cui operarono artisti famosi); vi erano ancora la Zecca per l’emissione di monete e una tipografia.
Nel 1783 il Flagello, che distrusse gran parte della Calabria, rase al suolo anche Polistena. Ricostruita su progetto dell’architetto napoletano Schiantarelli, nel 1799 – con l’ordinamento Championnet – fece parte del cantone di Seminara. Nel 1807 la città divenne sede di un governo comprendente i Luoghi di San Giorgio, Giffone, Melicucco e Cinquefrondi, prima di essere a capo di un circondario con giurisdizione sui comuni di Rizziconi e di S. Giorgio (1811).
Aspetti religiosi
La Cappella di Sant’Anna
Il più antico edificio di Polistena è quello di S. Anna. I fedeli della città manifestano una particolare devozione per la madre di Maria e sono parecchi coloro che il mercoledì (giorno di mercato), prima di accudire alle spese quotidiane, si radunano in preghiera nella Cappella.
“E’ certo che essa”, osserva Adriana Caruso, “risale a tempi remoti e che venne utilizzata dai monaci basiliani: faceva allora parte del vecchio Convento e della sovrastante Chiesa della Trinità. Durante il terremoto del 1783, nella Cappella venivano raccolti e bruciati i cadaveri del Flagello come testimonia la lapide in latino ivi collocata”. L’intero ambiente è avvolto di mistero, “anche le campane poste sul cancelletto destano curiosità e interesse per la loro singolarità”, prosegue l’artista Caruso. “Tutti questi elementi, armoniosamente fusi fra loro, creano un’atmosfera che induce alla riflessione e dimostrano che, non ostante l’odierna carenza di valori, è ancora possibile riesumare la profonda religiosità della nostra gente”.
(Dalla “Tesi per il Corso di Storia dell’Arte”: Polistena: Memorie artistiche – Accademia di Belle Arti di Reggio Cal., 1990/91).
False credenze popolari
“Allorquando l’ammalato è presso a finire, e per naturale fenomeno gli si prolunghi oltre l’usato l’agonia, si ha dei terrazzani che credono poterlo fare uscire presto di vita, e così toglierlo all’ambascia che lo travaglia, col mettere sotto il letto ove ei si giace un giogo da buoi”. “Plinio ci fa sapere essere stata nei nostri antichi la ferma credenza che Milone Crotonese fosse riuscito sempre vittorioso nelle guerre per la sola virtù delle pietre allettorie, delle quali, come dicesi, quel guerriero andava sempre munito. Se ciò fosse vero, la credenza nella mistica azione delle pietre sarebbe a dire antichissima nelle nostre Calabrie”. (Da: Domenico Valensise, Monografia di Polistena, Pellegrini Ed. – CS, luglio 1971).
L’angolo del folklore
’U mangiari di lu Signurinu:
“Frìttuli e gambuni a Carlevàri; / sguti, tiralli e sozzizza a Pasca; / tagghiaredi e crapa da’ Madonna ‘i l’Itria; / zzìppuli e nacàtuli a Natali; ma pe’ mia vedanu / zzappaturi fatica e tridenti, comu tutta ‘a pòvara genti”.
(Il pranzo del Signorino: “Cotenne e gamboncello a Carnevale; ciambelle, taralli e salsiccia a Pasqua; tagliatelle caserecce e capra per la festa dell’Itria; zeppole e nacatole a Natale; ma per me contadino zappatore lavoro e tridente, come tutta la povera gente).
Scunortu:
“Trùscia ‘a matina, truscia a mezzijornu, truscia la sira: Signuri chi rovina, Signuri chi talornu, pe’ mia non faci mai jornu!”.
(Sconforto: “Fame al mattino, miseria a mezzogiorno, penuria la sera: Dio che dramma, Dio che tormento, per me non sorge mai il sole!).
Ciangiulini:
“Tu non tessi non fili e non canni, ma ‘stu gghjòmmaru grossu d’undi ti veni?”. (Piagnoni: “Tu non tessi non fili e non incanni, ma questo grosso gomitolo da dove ti giunge?”. Vale a dire: Come mai possiedi tanto danaro senza lavorare?).
(Proverbi e aneddoti fanno parte della raccolta di Francesco Lazzaro: …E l’antichi dissaru – Ediz. 2000 a cura della Pro Loco – Polistena, Litogr. Bieffe).