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Gli avvocati di Giuseppe Giglio e Alessandra Sarlo rompono gli indugi

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Ecco la loro verità sui procedimenti penali che vedono imputati i due coniugi

Gli avvocati di Giuseppe Giglio e Alessandra Sarlo rompono gli indugi

Ecco la loro verità sui procedimenti penali che vedono imputati i due coniugi

 

 

Riceviamo e pubblichiamo:

I sottoscritti Avvocati Saveria Cusumano e Francesco Albanese, nella qualità di difensori del Dott. Vincenzo Giuseppe Giglio e della Dottoressa Alessandra Sarlo nei procedimenti penali in cui costoro sono attualmente imputati, comunicano quanto segue.
Il Dott. Giglio è stato arrestato, imputato e condannato in primo grado in quanto ritenuto responsabile dei reati di favoreggiamento, rivelazione di notizie coperte da segreto e corruzione.
Secondo la prospettiva dell’accusa, condivisa dal Tribunale milanese con una decisione che è già stata impugnata, il Dott. Giglio avrebbe:
– rivelato ai fratelli Giulio e Francesco Lampada che presso la Procura di Reggio Calabria non c’era alcuna iscrizione per associazione mafiosa, che erano invece indagati per riciclaggio e che non pendevano a loro carico procedimenti di prevenzione (da queste asserite rivelazioni sono seguite le imputazioni di rivelazione di notizie segrete e favoreggiamento);
– stretto un accordo corruttivo con il consigliere Francesco Morelli chiedendo ed ottenendo per la moglie Alessandra Sarlo l’incarico di commissario straordinario presso l’ASP di Vibo Valentia ovvero, in alternativa, vari incarichi regionali e, a titolo di corrispettivo, svelando al Morelli che a suo carico non vi erano iscrizioni per procedimenti per fatti di mafia.
Ebbene, il dibattimento milanese ha dimostrato in modo inoppugnabile che le notizie suddette, peraltro pressoché totalmente false (i Lampada erano indagati a Reggio Calabria per associazione mafiosa da quattro anni, non erano invece indagati in quella stessa sede per riciclaggio, sarebbero stati coinvolti in un procedimento di prevenzione a Milano) erano sì in possesso dei fratelli Lampada ma in virtù di contatti con fonti completamente estranee al Dott. Giglio il quale, per conto suo, non disponeva né poteva disporre di alcuna delle notizie che è accusato di avere rivelato.
Non paghi di questi risultati, che da soli sarebbero stati sufficienti a giustificare un’ampia assoluzione, i sottoscritti hanno chiesto ripetutamente al Tribunale milanese, ma ancor prima al Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria e al direttore del CISIA di Lamezia Terme (cioè l’ufficio che ha la gestione tecnica dei dati del REGE), di attestare se (ed i caso positivo chi e per conto di chi) taluno avesse illecitamente interrogato il REGE (registro generale delle notizie di reato) della procura reggina per acquisire informazioni sui Lampada e sul Morelli.
Si badi bene: l’accertamento al CISIA richiesto da questa difesa può essere disposto solo dall’autorità giudiziaria, essendo la difesa impossibilitata ad acquisire quella prova a mezzo di investigazioni difensive.
Ebbene, il Tribunale milanese ha rigettato la richiesta ritenendola priva di interesse processuale. Le altre autorità ed organismi, più semplicemente, non hanno ritenuto di rispondere anche solo per motivare il loro eventuale rifiuto.
L’aspetto kafkiano di questa vicenda è che poi, nonostante il predetto rifiuto, il Tribunale milanese ha affermato a chiare lettere che la notizia dell’assenza di iscrizioni a carico dei Lampada, essendo di tipo procedimentale, non poteva che essere tratta dal REGE di Reggio Calabria.
Lo stesso è avvenuto per la notizia che il Dott. Giglio avrebbe dato a Francesco Morelli nel contesto del loro preteso accordo corruttivo. Il dibattimento dimostra l’impossibilità che tale notizia potesse essere stata chiesta e data, la difesa chiede in ogni caso l’accertamento sugli accessi al REGE, il Tribunale lo nega e poi, senza battere ciglio, attesta che la divulgazione della notizia è cosa certa e che la stessa proviene dal REGE di Reggio Calabria.
Pare a questi difensori che trovare una logica in tutto questo sia operazione ardua se non addirittura impossibile. L’unica loro possibilità è quella di appellare una decisione che appare radicalmente sbagliata e assunta in palese violazione dei più elementari diritti della difesa.
Nonostante l’esito appena commentato, questi difensori avevano auspicato che il parallelo procedimento catanzarese, condotto a carico della Dottoressa Sarlo in quanto accusata di avere concorso nella pretesa condotta corruttiva contestata al Dott. Giglio, si svolgesse secondo prospettive più attente ai diritti costituzionalmente riservati alle persone che subiscono un’indagine, prospettive che impegnano gli uffici inquirenti a cercare la verità con ogni mezzo opportuno, anche a favore degli indagati.
L’ auspicio era che la Procura catanzarese disponesse tutti gli accertamenti ritenuti utili e cercasse finalmente di comprendere, senza preclusione alcuna, come si è davvero svolta la vicenda che ha originato il capo di imputazione.
Occorre dire con grande rammarico che questo auspicio , almeno dal punto di vista difensivo, è andato deluso.
In un anno abbondante di indagini la procura catanzarese non ha fatto altro se non recepire le copie degli atti di derivazione milanese, acquisire la copia della sentenza milanese di primo grado e interrogare tre testi, due dei quali già sentiti nel dibattimento milanese.
Di più: benché sollecitata specificamente dalla difesa, la procura catanzarese non ha provveduto, con assoluta noncuranza , all’accertamento sugli accessi al REGE.
Ed infine: il 12.11.2013 si è tenuta l’udienza preliminare , nel corso della quale la difesa ha nuovamente insistito perché il GUP accogliesse la sua richiesta ma il giudice, ascoltato il parere contrario del PM che lo ha supportato facendo ricorso alla motivazione della sentenza milanese, l’ha rigettata per l’ennesima volta ed ha ovviamente disposto il rinvio a giudizio della Dottoressa Sarlo.
In conclusione: due cittadini di questa Repubblica sono allo stato imputati, sia pure in diverse fasi processuali, per avere rivelato o concorso a rivelare notizie coperte da segreto senza che nessuno abbia mai provato quando, come e da chi costoro le abbiano apprese a loro volta. E dunque: l’accusa non solo non prova e non mostra interesse a provare la sua tesi ma non consente alla difesa di provare il contrario e, quindi , di svolgere la sua funzione processuale all’interno di un effettivo contraddittorio
Negazione di diritti difensivi che, nel caso di specie, è ancora più profonda se si considera che la prova richiesta può essere fornita solo dalla autorità giudiziaria sicchè la difesa è inerme ove le istituzioni competenti si rifiutino perfino di ascoltarla.
Questi difensori, ed assieme ad essi i loro assistiti, non avrebbero voluto emettere questo comunicato. Appartengono infatti alla schiera di coloro che pensano che i processi si debbano fare solo nelle aule giudiziarie con le forme e i mezzi previsti dalla legge.
E tuttavia gli eventi indicati hanno determinato tale decisione.
È bene dunque che l’opinione pubblica sia informata e lo sia sulla base di ciò che succede davvero nelle aule di giustizia. Perché alla lunga sono sempre i cittadini a pagare lo scotto dei guasti istituzionali.
Avv.ti Saveria Cusumano e Francesco Albanese